1.4 Ambienti collaborativi per gestire la dimensione sociale in rete: dinamiche di gruppo e qualità dell’apprendimento
1.4.2 Computer-Supported-Collaborative-Learning (CSCL): un paradigma emergente per la pratica in educazione
Con significativo richiamo ad approcci teorici e metodologici esplicitamente riferentisi al costruttivismo psicopedagogico ed alle prospettive di indagine contestualista e culturalista sulla cognizione (cfr. Santoianni, Striano, 2003), si parla comunemente di CSCL, o computer supported collaborative learning, per riferirsi ad un ambito di ricerca fortemente interdisciplinare che individua nelle reti telematiche gli strumenti capaci di facilitare i processi di apprendimento e di pratiche collaborative in rete.
Specificità metodologiche ed operative peculiari, non reperibili in ogni iniziativa di e-learning, caratterizzano il CSCL, che, pur essendo un settore ampio e variegato – basti pensare a sue specificazioni come il networked learning, l‟informal e-
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learning, l‟online learning communities, la knowledge building community e la virtual learning community –, ha come fulcro la priorità della dimensione sociale
dell‟apprendimento, laddove questo è visto soprattutto come esperienza pratica ed attiva. Il ruolo particolarmente delicato, che le tecnologie giocano in tale prospettiva risiede nel fornire lo spazio e gli strumenti per lo sviluppo di esperienze, ovvero facilitare gli incontri e quindi l‟edificazione delle relazioni e consentire la conoscenza tra i partecipanti: l‟obiettivo è – soprattutto – consentire l‟attivazione di relazioni sociali significative attraverso la costruzione di framework operativi coinvolgenti anche dal punto di vista emotivo e relazionale. A tal proposito non pare inutile svolgere un breve excursus.
L‟accento è stato definitivamente spostato verso la dimensione della comunicazione, e quindi dell‟interazione interumana, supportate dalle tecnologie soprattutto a partire dagli anni „90, con l‟avvento delle reti telematiche nell‟ambito delle tecnologie dell‟educazione. La ricerca nel campo delle CSCW (Computer
Supported Cooperative Work), nella quale si sperimentano applicazioni per la
condivisione di risorse informative e l‟automazione dei processi produttivi, ha dato nuovo impulso all‟innovazione, specie nelle grandi organizzazioni, grazie a strumenti conosciuti con il nome di groupware, attraverso i quali vengono ridefinite le mansioni del personale (business process reengineering), in particolare servendosi di una diversa articolazione dei processi di creazione, utilizzazione e scambio delle informazioni (workflow). Questo fattore, essenziale a garantire l‟efficienza, e quindi a sostenere il peso della competitività nell‟era della globalizzazione, ha fatto sì che in pochi anni le reti telematiche abbiano dato prova di poter rappresentare un fattore determinante. In varie parti del mondo, nello stesso periodo, si registrano esperienze didattiche che si avvalgono di tecnologie simili per lo sviluppo l‟istruzione e la formazione. Infatti, il primo workshop a proposito di apprendimento collaborativo, tenutosi nel 1991, inaugura l‟uso dell‟acronimo CSCL, che sostituisce alla lettera “w” di “work” la “l” di “learning”, e muta il “Cooperative” in “Collaborative” per evitare una concordanza troppo stretta con il modello del cooperative learning (Koschmann, 1994, p. 220). Si identificano da allora con lo stesso termine tanto gli sviluppi teorici ed empirici sull‟argomento quanto gli appuntamenti periodici, a livello mondiale, di confronto tra ricercatori ed istituzioni educative. Il raggiungimento di obiettivi di apprendimento, mediante pratiche collaborative rappresenta, se mira del CSCW è il miglioramento della comunicazione per il raggiungimento di obiettivi di produttività, quanto il CSCL persegue attraverso la comunicazione strutturata.
Ciò che caratterizza al meglio un impianto didattico basato sull‟utilizzazione delle tecnologie di rete è un complesso di vantaggi costituito in estrema sintesi dalla partecipazione qualificata e in prima persona da parte dei discenti, dalla loro collaborazione e da una forte interattività sia verticale (tutor-corsista), sia –
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soprattutto – orizzontale fra pari9. Tali sono i vantaggi che a tutt‟oggi, nell‟ambito del CSCL, le reti forniscono: nonché dover pensarsi come meri strumenti per la formazione a distanza, oggi esse vengono considerate tecnologie in grado di favorire e migliorare il lavoro di gruppo nei contesti tipici dell‟istruzione scolastica10. La radicale novità della prospettiva sull‟insegnamento così introdotta coniuga assai evidentemente l‟utilizzazione delle più recenti tecnologie informatiche con modelli didattici di impronta costruttivistica. Il lavoro attivo e partecipato da parte degli studenti è largamente facilitato – come si può vedere – dall‟infrastruttura strumentale. Se si ha in mente un paradigma ingenuo dell‟insegnamento, secondo il quale vi sarebbero conoscenze precodificate da trasmettere ai discenti, allora non insegnano né i docenti né i computer; nondimeno il CSCL rappresenta un paradigma emergente per le tecnologie dell‟educazione (Koschmann, 1996), perché, permettendo di vedere il computer non più come “macchina per insegnare” – le tradizioni comportamentistica e cognitivistica erano responsabili di questa visione –, ma come strumento per la co-costruzione della conoscenza, tale approccio consente di ripensare la stessa natura e gli scopi dell‟apprendimento (McConnell, 2000). È vitale comprendere che il ruolo dello strumento passa dall‟essere un mero mezzo di trasmissione di contenuti a quello di elemento capace di supportare e facilitare la comunicazione interumana e di costituire lo spazio condiviso per la costruzione di contenuti ed esperienze: per quanto riguarda gli aspetti tecnologici è dunque possibile parlare di “nuovo paradigma”. Se è vero questo, invece per quanto concerne la pratica educativa, il CSCL si inserisce nell‟ambito di quei movimenti a cui va riconosciuto il merito di aver sottolineato l‟importanza della dimensione sociale e collaborativa nei processi apprenditivi e di costruzione delle conoscenze. Ma allora tanto più proficuo è l‟apporto di questo campo d‟indagine, specie considerando che in questa prospettiva il processo formativo viene visto nella rete delle complesse dinamiche e implicazioni derivanti dall‟interrelazione sociale e non si caratterizza esclusivamente per trasformazioni al livello cognitivo che si possono rilevare soggettivamente. Ma in tal modo appare con forza come la stessa prospettiva teorica attraverso la quale inquadrare l‟apprendimento sia cambiata, non essendo più di matrice esclusivamente psicologica, dacché il focus di attenzione si è spostato dalle tecnologie agli studenti ed al loro lavoro. Per di più, come si diceva, l‟odierna ricerca in campo pedagogico che si avvale dell‟uso delle tecnologie informatiche si serve dell‟apporto di tradizioni di ricerca come quella antropologica, sociologica o
9 Le prime esperienze in questo campo si ebbero luogo in Nordamerica con scolari dei cicli K-12 che
lavoravano con computer Apple connessi in reti locali.
10 Più di molte altre hanno fatto scuola in questo campo ricerche che fa qui d‟uopo menzionare, anche
come caso rappresentativo di questo tipo di applicazioni: lo CSILE Project (Computer Supported Intentional Learning Environment) ideato più di un decennio fa da Marlene Scardamalia e Carl Bereiter presso il “Centre for Applied Cognitive Science” all‟Università di Toronto (Ontario Institute for Studies in Education).
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linguistica forniscono: si mostrano in tal modo, nuove e più utili modalità d‟indagine del ruolo svolto dalla cultura e dal contesto sociale nell‟influenzare e determinare nello specifico l‟apprendimento di ciascuno (Koschmann, 1996, p. 11). Il debito nei confronti di quelle idee che, a partire dai lavori di Dewey (1965, 1967), hanno evidenziato l‟importanza, nell‟educazione della pratica e dell‟esperienza attiva e diretta degli studenti (learning by doing) è dunque pienamente riconosciuto dal CSCL. Sia negli Stati Uniti (soprattutto tra le due guerre mondiali), sia in Europa l‟apprendimento collaborativo, a partire dall‟attivismo deweyano, ha una lunga tradizione. Nel corso del XX secolo, e soprattutto nel vecchio continente, anche attraverso gli stimoli derivanti dalle ampie trasformazioni sociali in atto secolo sotto la spinta delle rivendicazioni sociali (diritti politici, al lavoro, alla salute, all‟istruzione, ecc.) ed economiche, sono stati molti gli autori che hanno caratterizzato e dato nuovo impulso alla ricerca educativa, la quale va ora ispirandosi anche a quei valori11. Al giorno d‟oggi esistono svariati nuclei di ricerca impegnati nella valorizzazione di questi principî, anche ben oltre i modelli che vedono la centralità delle tecnologie per la realizzazione di esperienze educative basate sulla collaborazione. Si possono certamente citare i lavori sul cooperative learning svolti alla University of Minnesota di Minneapolis (Johnson e Johnson 1989; Johnson e Johnson, Smith, 1991; Johnson e Johnson, Holubec, 1996), quelli elaborati alla Johns
Hopkins University di Baltimora (Slavin, 1983, 1986, 1987) e dall‟israeliana Tel Aviv University (Sharan e Sharan, 1998). Oltre a tali studî è doveroso menzionare le
ricerche che vanno sotto il nome di Structural Approach (Kagan 1990, 1992), quelle sulla Complex Instruction (Cohen, 1991, 1994) e quelle italiane sull‟apprendimento nei gruppi (Comoglio, Cardoso, 1996). Esiste un consenso generale, pur nella diversità dei modelli, sul valore dell‟interazione tra pari finalizzata all‟attivazione di dinamiche il cui risultato finale è sostanzialmente superiore a quello ottenibile separatamente da ciascuno degli stessi soggetti indagati come gruppo. Kaye (1994, p. 9) ha proposto, a nostro avviso, una buona definizione di collaborative learning, che ha il merito di chiarire il rapporto tra individuo e gruppo, poiché menziona l‟«acquisizione da parte degli individui di conoscenze, abilità ed atteggiamenti che sono il risultato di un‟interazione di gruppo o, detto più chiaramente, un apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo». Le diverse metodologie sono per lo più volte alla definizione dei presupposti operativi capaci di promuovere la collaborazione – che fin troppo evidentemente non può verificarsi in modo automatico –, e di aumentare la consapevolezza del suo valore all‟interno della comunità. Diversi sono i fattori che, stando invece a Schrage (1990, 1995), garantiscono il successo: l‟esistenza di un obiettivo condiviso, il rispetto e la fiducia reciproci, una sostanziale eterogeneità all‟interno del gruppo e la condivisone di
11 In particolare, come noto, la cooperazione è approfonditamente studiata nei lavori di Freinet e, in
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regole che portino alla creazione e manipolazione di spazi conoscitivi. La “tensione conoscitiva” comune ai partecipanti diviene in tal modo l‟obiettivo prioritario e l‟esigenza principale è ora pertanto quella di adeguare il clima, anche attraverso un‟opportuna utilizzazione dei dispositivi, in maniera da rendere quella possibile. Ma diventa quindi tanto più evidente che le tecnologie non sono in sé elemento necessario alla collaborazione, e neppure sufficiente a garantire ulteriori vantaggi (Salomon, 1992). La dimensione della collaborazione può essere valorizzata soltanto da una chiara organizzazione del setting, ciò che consente a quella di trarre beneficio dall‟apporto delle tecnologie. Soprattutto i modelli che sono interessati alla risoluzione di problemi reali (problem-based learning) (cfr. Koschmann et. Al., 1994) attraverso pratiche di discorso (cfr. Pontecorvo, 1993; Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995; 2004) ed in particolare mediante processi di indagine progressiva (cfr. Hakkarainen 1998; Muukkonen, Hakkarainen, Lakkala, 1999; Hakkarainen 2003) sono quelli che, in ottica costruttivista, hanno contribuito maggiormente alla valorizzazione delle tecnologie telematiche come strumenti per la costruzione collaborativa di conoscenza. Questi paradigmi rivelano tutta la loro utilità in situazioni in cui gli studenti vengano stimolati ad attivarsi, per la risoluzione autonoma dei problemi conoscitivi proposti, e per l‟analisi dei quali, attraverso le tecnologie, sia vitale l‟apporto del gruppo. Tali gruppi devono la loro grande efficacia al clima di responsabilità condivisa che viene vissuto secondo la metafora della comunità di scienziati impegnata nella costruzione di nuova conoscenza a partire da problemi concreti: l‟idea di fondo è sostanzialmente quella delle comunità di apprendimento teorizzate e sperimentate da Brown e Campione nell‟intento di superare l‟idea di scuola come luogo in cui si trasmette conoscenza (cfr. Brown, Campione, 1990, 1994; Brown, 1996; Ligorio, 1994). Ciò che si propone, ed è questa la grande novità, è una scuola dove il gruppo collabora, proprio come una comunità di scienziati, alla produzione di nuova conoscenza e dove pertanto non si vive come danno o come errore metodologico il fatto che, in corso d‟opera, possa darsi la formulazione di teorie “di lavoro”, inizialmente ingenue, da discutere poi con gli altri e da sottoporre a valutazione critica. In conseguenza di ciò, attraverso percorsi che possono prevedere momenti di circolarità e ricorsività, nello svolgimento delle attività sono messe a punto le soluzioni del gruppo ai problemi posti anche attraverso la consultazione di informazioni scientifiche: la conoscenza è quindi distribuita e condivisa, con l‟impegno di ciascuno a fornire la spiegazione del proprio punto di vista e all‟ascolto e alla comprensione delle idee e delle opinioni degli altri (cfr. Scardamalia e Bereiter, 1993). Si comprende come, in tal senso la diversità sia una risorsa per la comunità che si arricchisce e si alimenta grazie proprio allo scambio reciproco ed alla composizione di punti di vista diversi. Il concetto vygotskijano di
zona di sviluppo prossimale, dovuta al supporto ed alla reciproca attivazione
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dialogo investigativo, ruotano queste esperienze. Si comprende come il modello epistemologico implicito in questo tipo di pratiche non possa prevedere un‟idea di conoscenza come elemento oggettivo, definito, monolitico, concluso. I gruppi di lavoro sono chiamati a svolgere la strutturazione di una propria “visione” del problema conoscitivo: si parte infatti dall‟idea che la conoscenza sia complessa, spesso caratterizzata da notevole variabilità e quasi sempre anche da elementi scarsamente definiti. Inoltre, la stessa operazione di riduzione della complessità (svolta tipicamente dall‟insegnante) in genere priva gli studenti dell‟opportunità di confrontarsi con la reale complessità dei problemi, ovvero di apprendere in maniera diretta e quindi più efficace (cfr. Koschmann, 1996), anche contenuti di discipline che abbiano saputo codificare determinati ambiti del sapere con una concettualità specifica. Sono in tal sede quindi chiaramente acquisite e istanziate le riflessioni che – nell‟ottica di un approccio situato all‟apprendimento – suggeriscono di privilegiare il momento processuale dell‟appropriazione della conoscenza, anche nelle dimensioni meno esplicite e formalizzabili che questa assume, attraverso la partecipazione attiva dei partecipanti (cfr. Brown, Duguid, 1993).
Il CSCL ha visto in quasi 10 anni di sviluppi molte direzioni prese e altrettanti varianti che ai modelli iniziali hanno apportato i diversi gruppi di ricerca e di interesse in tutto il mondo: uno dei passaggi più significativi è ad esempio quello che consiste nell‟aver esteso il campo di applicazione dall‟iniziale contesto operativo – quello della scuola dell‟obbligo (il ciclo K12) – all‟università e successivamente alla formazione continua e degli adulti. Quanto ne consegue, nel complesso, è un arricchimento e un ampliamento dei ritmi e delle modalità di lavoro, poiché in larga parte è ancora prevista l‟integrazione di momenti in “presenza” e momenti a “distanza” come nelle prime esperienze CSCL. In modo analogo, grandi sono state le trasformazioni subite dagli ambienti sviluppati e dalle tipologie mediali integrate nelle tecnologie. Il rapido sviluppo di Internet, specie con l‟ampliamento di banda disponibile – ovvero l‟aumentata capacità di trasferimento delle informazioni – anche per l‟utenza domestica, e con la crescente capacità di calcolo della maggior parte dei computer, consente oggi l‟elaborazione di complesse immagini virtuali, mentre l‟uso dei canali audio-video non rappresenta più un problema. Anche sul fronte del monitoraggio e della valutazione delle esperienze si è sviluppato un intenso dibattito a livello internazionale. Ma le riflessioni di chi si occupa di CSCL sono utili anche per focalizzare meglio il nucleo tematico centrale: ogni lettera dell‟acronimo rimanda ai “componenti” necessarî a questo tipo di esperienze e il peso, la portata e l‟interazione tra di essi determinano il campo specifico di ricerca.
La centralità della dimensione sociale dell‟apprendimento, dove questo è visto soprattutto come esperienza pratica ed attiva, è il prius del CSCL e ben si comprende come in tale prospettiva le tecnologie giochino un ruolo particolarmente delicato nel fornire spazio e strumenti per lo sviluppo di esperienze, ovvero per facilitare
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l‟incontro, l‟edificazione delle relazioni e delle cognizioni: non si tratta tanto di possedere strumenti funzionanti, quanto di consentire l‟attivazione di relazioni sociali significative attraverso la costruzione di framework operativi coinvolgenti anche dal punto di vista emotivo e relazionale.