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2.2. La capacità di mentalizzazione

2.2.2. Lettura della mente e psicologia ingenua

Di notevole interesse è dunque il dibattito alimentato da questo ambito di studii: si rimarchevole è la diversità delle definizioni formulate per precisare la comprensione psicologica altrui: «lettura della mente», o «mindreading» (Baron- Cohen, 1988), «funzione riflessiva» (Fonagy e Target, 2001), o «comprensione della soggettività» (Battistelli, 1997), sebbene più spesso si utilizzi l‟espressione «Teoria della Mente», in inglese «Theory of Mind» (ToM). Il complesso di abilità alle quali tali espressioni tutte fanno riferimento stanno nel comprendere ed interpretare il comportamento altrui, oltre che nel predirne le possibili conseguenze, il che, se si tien conto della possibilità di interpretare il comportamento in termini di attribuzione di stati mentali come intenzioni, credenze, desideri, volontà e conoscenze mostra chiaramente come tale facoltà rappresenti un aspetto – peraltro centrale – della cognizione umana. Ma in fondo la ToM è costrutto d‟uso comune, ed è dunque parte di quella che si definisce psicologia ingenua, o folk psychology, corredo comune a tutti gli adulti con uno sviluppo apparentemente nella norma, che dunque di quella si servirebbero nella vita quotidiana di relazione, nella quale mettendo in atto una serie di strategie, più o meno esplicite, a quella fortemente correlate. Secondo questa prospettiva, ma con un ulteriore rafforzamento epistemologico e terminologico, sembra orientarsi anche il filosofo Daniel Dennett, per il quale è sempre necessario adottare una strategia, basata sulla capacità di prevedere il funzionamento degli altri considerandoli agenti intenzionali, che egli definisce atteggiamento intenzionale (Dennett, 1987); si tratterebbe di una risorsa del tutto analoga – secondo il filosofo – a quella che consentirebbe una previsione ragionevole del comportamento di una qualsivoglia entità esterna al soggetto, alla stregua di quanto accade di fare, ad esempio, quando si intenda prevedere il comportamento di una sveglia quando viene riempita di elio liquido: si deve ritornare all‟approccio fisico, cosicché poi, l‟atteggiamento progettuale, tipicamente umano, è la risorsa che consente, di comprendere non solo il funzionamento ordinario degli oggetti artificiali e l‟andamento, codificato secondo leggi, dei fenomeni che coinvolgono esseri inanimati, ma è proprio lo stesso che offre una chiave di comprensione anche del comportamento delle entità biologiche (le piante, gli animali, e i rispettivi organi), ma va specificato che per Dennett, quelle non sono sistemi unicamente fisici, ma anche programmati (cfr. Dennett, 1987:33).

Senza che per questo sia necessario credere che gli individui abbiano letteralmente credenze o desideri – argomenta il filosofo – adottare un atteggiamento intenzionale è semplicemente vantaggioso per la predizione del comportamento.

Ad esempio, analogamente a quanto è necessario fare per prevedere la direzione di un oggetto lanciato nel vuoto, per cui si deve far ricorso alla propria conoscenza

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ingenua della fisica, per un‟attendibile previsione del comportamento altrui in determinate circostanze, è possibile appellarsi alla propria conoscenza ingenua delle menti, ma bisogna por mente al fatto che l‟atteggiamento che informa queste esplorazioni si distingue nettamente da altre strategie, da noi messe in atto quanto interagiamo con tipi di sistemi diversi dalle menti dei nostri simili, pertanto varrà la pena mettere a confronto

i caratteri distintivi dell‟atteggiamento intenzionale con l‟atteggiamento fisico e con quello progettuale, così che i primi risultino, nelle loro caratteristiche fondamentali, di più agevole comprensione, laddove appare chiaro come il primo non sia altro che un‟attitudine che si accorda il laborioso metodo delle scienze fisiche, nel quale, servendoci di tutte le nostre conoscenze sulle leggi della fisica e la costruzione degli oggetti così modellizzati, formuliamo le nostre previsioni. Va poi da sé che tutti i manufatti umani, così come le sveglie, essendo frutto di un progetto (a differenza delle rocce) si prestano ad una splendida scorciatoia che tutti noi usiamo in continuazione (Dennett, 1997 pp. 39-40), ovvero alla previsione compiuta assumendo l‟atteggiamento del progetto: alla previsione de comportamento di oggetti derivati da costrutti schiettamente mentali, si rivelerebbe essere utile scorciatoia di creature mentali sembrerebbe l‟adozione di un atteggiamento intenzionale. Ma a questo punto non si potranno certo obliterare le acquisizioni della scienza cognitiva, che certo modificano la tradizionale visione della natura umana, almeno per quel tanto che vuole le menti – in certo modo al pari degli artefatti progettuali – si prestino a previsione. Questo non stride affatto con le risultanze della più avvertita ricerca in ambito neuroscientifico, che mostrano le modalità con le quali i circuiti cerebrali sono organizzati nell‟elaborazione delle abilità cognitive, cosicché l‟adozione di un atteggiamento progettuale risulta in fondo essere – a ben vedere – in sintonia con quelle acquisizioni, tanto più che – e ciò informa profondamente il nostro lavoro – molta parte del comportamento umano è determinata dal tipo di configurazione neurale attiva al momento dell‟osservazione, cosicché dalla qualità della progettazione di alcune parti cervello umano dipende in modo determinante almeno il funzionamento di quelle capacità cognitive passibili di descrizione tramite il linguaggio delle neuroscienze.

Ma se da quanto detto sopra discende banalmente che alcuni fenomeni apparentemente fisici hanno un‟origine mentale, ovvero che gli individui sono mossi, nell‟esercizio del loro comportamento da stati interni, e che ciò non può non dare origine ad una serie di previsioni sulla base dell‟attribuzione ad altri di una mente, è invece meno scontata una comprensione filosoficamente avvertita di questo stato di cose, proprio per cercare di comprendere la dinamica che porta a far appello ad una vita interiore che non è osservabile, ma che si esprime in termini psicologici, o

mentalistici, perché si possa comprendere il modo in cui gli altri agiscono, sulla base

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stessi o ad altri, uno stato mentale è mostrata chiaramente da enunciati come io credo

che p oppure egli desidera p, noti come atteggiamenti proposizionali (cfr. Quine,

1992).

Quantunque si tratti di un meccanismo così pervasivo nell‟esperienza umana, la manifestazione di tale processo d‟attribuzione, processo di notevole complessità, per diverse ragioni non è immediata. In primo luogo, va specificato che la capacità di mentalizzazione nel bambino non compare prima di una certa età, e in secondo luogo la lettura della mente comprende una serie di abilità che si articolano in modo distinto e che possono dunque essere compromesse in modo selettivo, ciò che a tutta prima potrebbe sembrare controintuitivo. Va da sé: tale nell‟esistenza degli esseri umani è l‟importanza dell‟interazione, che l‟attribuzione psicologica, a quella essenziale, ove subisce qualsiasi deprivazione funzionale o strutturale, determina una compromissione nella capacità di interagire socialmente e quindi di fatto mina la convivenza ed in ultima analisi anche l‟esistenza individuale, del che si tratterà analiticamente nel seguito del presente capitolo.

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