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Gli studii sulle capacità dei bambini di elaborare ciò che conoscono ed inferire proprietà non percepibili da ciò che li circonda consentono di fare un‟osservazione interessante riguardo le relazioni tra gli esseri umani e ciò che li circonda.

Mostrare alcune conoscenze degli oggetti fisici, delle persone, della numerosità sono le competenze acquisite entro il III mese di vita e a partire dal quinto, grazie alle conoscenze spazio-temporali, diviene possibile inferire di un oggetto il suo essere goal-directed (Spelke, 2007).

Elisabeth Spelke ha elaborato, nell‟ambito degli studii sulle competenze innate, una serie di principii che costituirebbero il dominio della fisica ingenua, relativi agli oggetti fisici (Spelke, 2006; Newman et al. in press): maggiore attenzione (controllando i tempi di fissazione dello sguardo, cfr. Bloom 2005) da parte dei bambini si avrebbe nel caso in cui viene mostrato un evento impossibile, ovvero si esibisca – anche attraverso opportuni accorgimenti – un elemento che viola un principio della fisica, come si è osservato in alcuni esperimenti escogitati per rilevare la percezione di oggetti occlusi, gli sperimentatori (Spelke e von Hofsten 2001; Cheries, Mitroff, Wynn, Scholl, in corso di stampa), dunque si comprende come si rendano in tal modo possibili inferenze sulle aspettative prodotte da certi principii.

Secondo la Spelke questo genere di conoscenze costituisce il nucleo della «conoscenza matura di senso comune» (2006 p. 113); sulla base di tali competenze la

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studiosa fornisce prove a suffragio della tesi secondo cui esisterebbero i 4 domini con altrettanti principii-guida del ragionamento infantile, che costituirebbero la conoscenza di base dalla quale prende forma il più sofisticato ragionamento inferenziale: fisica, psicologia, aritmetica e geometria.

Per la verità ciò che forse più conta in questo genere di valutazioni, qualora ancora vene fosse bisogno, è che questo è in certo modo una buona base di partenza per tutti coloro i quali intendano dimostrare che persone in circostanze sociali diverse, con diverse storie, tradizioni e religioni, possano essere capaci di comprendersi tra loro, nonostante le molte sollecitazioni in direzione opposta.

“La conoscenza intuitiva degli oggetti fisici, delle persone, degli insiemi e dei luoghi si sviluppa per arricchimento attorno a un nucleo costante, sì che la conoscenza che guida i primi ragionamenti dei bambini piccoli resta centrale nel ragionamento intuitivo dei bambini più grandi e degli adulti (Spelke, 2006 p. 112)”.

Come afferma Perconti:

“L‟inclinazione ad attribuire stati intenzionali alle altre persone è uno degli aspetti centrali della nostra esperienza. È persino impossibile immaginarci affaccendati nelle occupazioni ordinarie, immaginare che aspetto avrebbe la vita umana intorno a noi senza il reticolo di attribuzioni di stati intenzionali in cui tutto questo si trova. Si tenti di immaginare come si potrebbe dare un appuntamento a un‟altra persona, diffidare delle intenzioni di qualcuno che si incontra in un vicolo o che aspetto avrebbero le aule dei tribunali se queste scene fossero animate da individui privi della capacità di attribuire stati intenzionali agli altri. Possiamo sforzarci di interpretare il comportamento delle altre persone come indipendente da credenze, desideri e timori. Ma questo lo si può fare solo a prezzo di un grande artificio, è una operazione che toglie alle interazioni umane il sapore che hanno ordinariamente. Normalmente interpretiamo il comportamento degli altri come il risultato di certi stati interni che attribuiamo loro. Non facciamo altro che sforzarci di leggere nella mente degli altri per carpire le loro intenzioni, i loro obiettivi, le loro paure. Leggere la mente è l‟attività interpretativa più importante della nostra vita.

Ma cosa è esattamente la capacità di leggere la mente altrui e la propria? Si può cercare di rendere conto di tale capacità senza chiamare in causa una prospettiva scientifica. Si tratta semplicemente di descrivere l‟immagine comune che abbiamo di noi stessi e degli altri come di esseri dotati di stati mentali che causano il comportamento osservabile. Perché Marta è salita sull‟autobus? Perché voleva andare all‟università, si può rispondere. E così facendo ci si figura Marta come un essere dotato di stati interni, non osservabili, che causano il suo comportamento. Generalmente questo dispositivo di spiegazione e di predizione del comportamento degli esseri umani prende il nome di psicologia del senso comune o psicologia del senso comune sulle credenze e sui desideri. Questa espressione sta per tutto ciò che sappiamo sulle altre menti e che consente di entrare in relazione con le altre persone,

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prevedendone il comportamento e adeguando il nostro di conseguenza. In un certo senso possiamo considerare la psicologia del senso comune come l‟insieme dei truismi sul rapporto tra il comportamento e gli stati mentali, nonché sulle relazioni tra gli stessi stati mentali.

La psicologia del senso comune sta alla psicologia scientifica come la fisica ingenua sta alla fisica sperimentale. Esiste una spiegazione ingenua del comportamento dei corpi di media grandezza che nella sua forma è analoga alla spiegazione ingenua del comportamento delle menti. È grazie alla fisica ingenua che tutti sanno che i corpi solidi non sono attraversabili, non grazie alla fisica sperimentale. Ed è grazie alla psicologia del senso comune che tutti sanno che le persone hanno stati interni non osservabili, non grazie alla psicologia sperimentale. Sia la fisica ingenua sia la psicologia del senso comune rendono conto di fenomeni che sono oggetto anche di spiegazioni scientifiche. In entrambi i casi le spiegazioni ingenue precedono quelle scientifiche sia nella storia dell‟umanità sia nella storia di ciascun individuo. Inoltre tali spiegazioni entro certi limiti (che più avanti evidenzieremo) sono impermeabili alle teorie scientifiche”.

Il nucleo centrale del ragionamento di senso comune costituisce nel fatto il tipo di ragionamento intorno ai dominii di base e alla base dell‟ipotesi avanzata dagli studiosi Mark Hauser e Elisabeth Spelke è precisamente questo approccio allo studio dello sviluppo di abilità cognitive prelinguistiche: gli esseri umani svilupperebbero questo insieme di capacità cognitive prima e indipendentemente dall‟acquisizione del linguaggio e che la maggior parte di tali capacità sono condivise con altre specie animali filogeneticamente vicine alla nostra e precisamente questo assunto sarebbe alla base dell‟ipotesi della core knowledge.

La conseguenza di ciò è che l‟elaborazione del linguaggio sarebbe basata su tali competenze cognitive elementari e che queste ultime sarebbero relativamente indipendenti dalle variazioni storiche, sociali e culturali (cfr. Perconti, 2006 p. 26), tanto che il meccanismo che consente l‟attribuzione psicologica sia parte della «core architecture» del nostro cervello secondo alcuni autori, che su questo molto hanno investigato (cfr. Leslie et al. 2004).

I processi che coinvolgono il genere di competenze contenute nei quattro domini sono interessati dalle capacità cognitive ritenute indipendenti e genuinamente autonome dal linguaggio e dalle influenze culturali e sociali.

Inferenze su un livello di conoscenza della fisica che precede e, come vedremo, interviene indipendentemente dalla conoscenza appartenente al dominio della psicologia sono possibili ai bambini già in tenerissima età.

Se indubbiamente secondo questo programma di ricerca nella comprensione del funzionamento degli oggetti che ci circondano facciamo appello alla nostra fisica

ingenua (cfr. Buozzi, 1998), la capacità che consente di produrre inferenze sul modo

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percezione, invece occorre richiamare, come già è stato accennato, le nostre intuizioni psicologiche ingenue, per comprendere che e come le persone siano mosse all‟azione da stati psicologici.

Nel seguito si proverà a sostenere l‟idea che l‟attribuzione psicologica, che si è visto essere un fenomeno tutt‟affatto unitario, sia una capacità che media due particolari esperienze soggettive, il «perspective taking» e il «mental perspective taking»: i meccanismi che li governerebbero queste due capacità intervengono in momenti diversi restituendo due esperienze ugualmente distinte, il che giustifica l‟articolazione in due livelli.

Anche quando si tratta di immaginare cosa si vedrebbe da un punto di vista diverso dal nostro l‟attribuzione psicologica svolge un compito primario, dunque non solo quando siamo impegnati a figurarci cosa passa per la testa delle altre persone. La circostanza di assumere prospettive differenti può realizzarsi in occasioni mediate da meccanismi distinti.

È possibile, ad esempio, immaginare una scena che potrebbe presentarsi se occupassimo un altro luogo, oppure si potrebbe essere interessati ad assumere il punto di vista altrui, il che, considerando gli altri individui creature (o agenti) intenzionali, costituisce un aspetto fondamentale che permette di distinguere i due meccanismi, giacché le due iniziative fanno capo ad un processo che, come vedremo, coinvolge distinti meccanismi attributivi.

Come si accennava, in letteratura si indica con l‟espressione Perspective Taking (PT) o, talvolta, con l‟espressione Mental Perspective Taking (MPT) precisamente la capacità di immaginarsi coinvolti in una scena sperimentando punti di vista diversi da quello reale, per quanto, a ben vedere, l‟abitudine di considerare come sinonimiche le due espressioni appena menzionate possa essere fonte di confusione. Per quanto alcuni studiosi (Castelli, Happé, Frith, Frith, 1999; Vogeley et al. 2000; Ruby, Decety, 2001) facciano riferimento al PT considerandolo una capacità mediata dai processi di mentalizzazione, in realtà ci sono ragioni per credere che le cose stiano diversamente ed in effetti si proiverà nel seguito a mostrare come il PT e il

MPT siano processi cognitivi distinti e come quindi sia preferibile tener distinte le

due espressioni, considerando anche diversi sono i processi di attribuzione coinvolti nell‟esecuzione dei due compiti.

Spesso si propongono situazioni fittizie per suscitare riflessioni sulla natura di tale fenomeno cosicché sia possibile indagare l‟inclinazione a simulare le esperienze realizzate dagli altri individui.

Da sempre il pensiero occidentale ha preso in seria considerazione l‟esercizio di immaginarsi coinvolti nei panni di un altro individuo. Nondimeno, in un celebre articolo Thomas Nagel, che propone un esperimento mentale in cui dobbiamo immaginare di vivere nel mondo avendo le percezioni che sono tipiche di un‟altra specie animale, si è interrogato circa la capacità di immaginare l‟esistenza di

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esperienze qualitative nelle altre creature, proponendo un‟argomentazione singolare. Il titolo del celebre lavoro è What is like to be a bat? (Nagel, 1974), che fa ovviamente riferimento a un tipo di esperienza complicato, se non addirittura impossibile e infatti la provocazione nageliana mirava unicamente a mostrare l‟irriducibilità dei nostri contenuti percettivi e mentali, ma ha avuto quantomeno il merito di fornire spunti interessanti per la filosofia della mente e della coscienza e, soprattutto, ha attratto l‟attenzione su un problema profondo e difficile, ovvero sul fatto che l‟essere coscienti produca un effetto particolare.

Del lavoro di Nagel tuttavia interessano in questa sede piuttosto gli aspetti legati al processo di immedesimazione nelle percezioni di un altro individuo, indipendentemente dal fatto se l‟esemplificazione riguardi un individuo umano o no, poiché rappresentarsi l‟effetto che fa trovarsi nei panni di un altro implica il figurarsi diversi aspetti dell‟esperienza altrui, come la modalità con cui si realizza l‟esperienza cosciente e l‟effetto che fa averla. Nagel suggerisce l‟idea che nella comprensione del tipo di esperienza vissuta da un‟altra creatura vi sarebbero differenti livelli: si può essere attratti dal meccanismo percettivo che ne guida l‟orientamento oppure interessati a comprendere le intenzioni in base alle quali agisce un animale non umano.

Si può ritenere, ove ci si proponga di esaminare le differenti situazioni che è possibile sperimentare quando ci si trova ad immaginarsi nei panni di un altro, che la capacità di assumere una prospettiva diversa dalla propria possa, in alcune circostanze, non richiede l‟attribuzione di stati mentali, ma piuttosto il riconoscimento di una esperienza percettiva: il meccanismo che mettiamo in atto assumendo prospettive differenti si realizzerebbe, stando all‟approccio simulazionista, con un complesso processo di attribuzione.

Agiamo immaginando cosa penseremmo e proveremmo noi se fossimo nelle condizioni degli individui ai quali ascriviamo stati mentali allo scopo di predirne il comportamento.

Il tentativo di immaginare una prospettiva percettiva diversa dalla propria e l‟interesse a comprendere le iniziative psicologiche realizzate da un altro individuo sono quanto la spiegazione simulazionista riflette: quelle due attitudini, infatti, fanno capo a meccanismi articolati, il primo di quali è basato sull‟idea che occorra individuare, ricorrendo al gioco immaginativo, informazioni ambientali suggerite da indicazioni di tipo percettivo per comprendere cosa si percepirebbe occupando un diverso spazio: utilizziamo una abilità, il «perspective taking», che si basa sulla simulazione della prospettiva, in questo esempio visiva, di un altro individuo; nel secondo richiede invece il riconoscimento consente l‟attribuzione di stati mentali: molto probabilmente si agisce “mettendosi nei panni mentali” altrui, quando si osservano uno o più soggetti. Il «mental perspective taking» è l‟abilità alla quale fa

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capo questa seconda fattualità. E si vede allora come distinte siano le capacità di simulazione all‟opera quando si utilizzano quelle due competenze.

Si trova, così, che il PT si realizza quando tentiamo di assumere un punto di vista differente dal nostro immaginando cosa si potrebbe vedere, o sentire, se ci trovassimo in un altro luogo che supponiamo offra una prospettiva eventualmente interessante per i nostri scopi, cosicché raccogliendo le informazioni percettive disponibili possiamo rappresentarci la scena fingendo di occupare lo spazio da differenti angolazioni.

È possibile introdurre distinzioni nelle competenze che mediano la simulazione percettiva. Meccanismi di predizione fondati sulle informazioni ambientali, sono all‟opera in una forma di simulazione dipendente da informazioni disponibili senza il ricorso ad attività di mentalizzazione complesse, ciò di cui tratta il lavoro La

connessione corpo-ambiente di David Lee(Lee, 1993): fondamentale in questo tipo di simulazione si rivela essere la capacità di prevedere come le informazioni percettive sono o potrebbero essere disponibili nell‟ambiente.

Le modalità secondo cui gli individui realizzano previsioni servendosi delle informazioni ambientali è illustrato da esempi a cui ricorre Lee per chiarire i termini dell‟attività predittiva basata sulle informazioni percettive, ilche si rivela essere utile ai fini della comprensione di quanto la capacità di percezione dello spazio sia rilevante nel meccanismo di perspective taking, benché l‟argomentazione di Lee sia orientata al modo in cui le azioni possono essere adattate all‟ambiente attraverso diversi stimoli percettivi, un‟idea che richiama la nozione di affordance (cfr. Gibson, 1979).

“Se vediamo una persona o un animale che si muovono urtando le cose, pensiamo che c‟è evidentemente qualcosa di sbagliato, tanto diamo per scontato il controllo di previsione. Per evitare di entrare in collisione con gli oggetti, si devono percepire le conseguenze del proseguimento della propria azione in atto (dirigersi in una particolare direzione o frenare con particolare forza), e l‟azione di esitamento dev‟essere innescata per tempo (Lee, 1993)”.

Tale esempio mostra come il meccanismo di simulazione percettiva, basandosi su informazioni ambientali, entri in gioco: si osserva una certa azione e per prevedere l‟esito comportamentale più probabile si simula il punto di vista percettivo del soggetto osservato. Va osservato come non occorra, nell‟immedesimazione percettiva, alcuna mediazione psicologica basata sul riconoscimento di stati mentali: la nostra capacità di assumere una prospettiva differente si realizza semplicemente mettendoci nei panni percettivi di un altro.

È possibile far riferimento ad una serie di esperimenti condotti da Kaminski, Call e Tomasello (Kaminski, Call e Tomasello, 2006) per esaminare il comportamento dei primati superiori nella realizzazione della abilità di PT : si trova che alcuni esemplari di scimpanzé, coinvolti in ricerche sperimentali in laboratorio,

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ad esempio possono indovinare cosa un altro individuo riesca o non riesca a vedere, e possono per differenti scopi servirsi di tale conoscenza.

Le credenze ingenue sul funzionamento della percezione sono quanto consente di formulare previsioni che riguardano i differenti campi visivi che è possibile saggiare se posti in luoghi diversi. Quanto che ci aspettiamo di vedere in un altro luogo, e il genere di attribuzione percettiva che compiamo quando simuliamo l‟esperienza percettiva di un individuo, dipendono dalle nostre conoscenze su come funzionano specifici meccanismi mentali.

In termini di dominanza il sistema percettivo che consente di ottenere informazioni sull‟ambiente differisce nelle varie specie del regno animale, com‟è noto.

Il saper attribuire ad altri esperienze percettive differenti può considerarsi abilità determinata dall‟approccio ecologico, che è specie-speficico.

Come già detto, quando si è interessati ad assumere la prospettiva occupata da un‟altra persona si fanno previsioni proiettando sugli altri le proprie stesse esperienze percettive.

Le conoscenze intuitive sul funzionamento della percezione sono ciò che i n simili frangenti torna d‟aiuto, quantunque tali esperienze conducano ad immaginarsi nei panni di un altro individuo che si suppone abbia esperienze coscienti qualitative simili alle proprie, perché il genere di saperi che serve richiamare non riguarda la conoscenza intuitiva sulla possibilità che gli altri individui possiedano stati mentali (folk psychology), capacità che interviene invece nel secondo meccanismo di simulazione, ovvero il MPT: la seconda competenza implicata nella mediazione del

PT è determinata dalla capacità di percezione di sé maturate nel corso dello sviluppo

e presuppone competenze che rimandano all‟idea di kinesthetic visual matching (corrispondenza visiva e cinestetica) elaborata da Robert Mitchell: «una relazione esistente tra la capacità propriocettiva, cinestetica e sensoriale che interviene nella percezione della posizione del proprio corpo e della propria immagine visiva» (Mitchell, 1997 p.73).

Il «Sé ecologico» (Neisser, 1993) è precisamente la grande risorsa alla quale dà accesso, secondo Ulric Neisser, la propriocezione, che quindi ricopre un ruolo rilevante nell‟economia generale – per così dire – dell‟esistenza animale.

Particolari comportamenti che gli infanti tengono costituiscono, per la percezione corporea, un utile campo d‟osservazione nel corso dell‟ontogenesi.

A tal riguardo, errori che, fino ad una certa età, i bimbi commettono nel gioco del nascondino si rivelano essere un ottimo strumento per lo studio dei comportamenti messi in atto dai bambini piccoli, consentendo, infatti, di poter formulare una riflessione duplice sui comportamenti esibiti. Si dà infatti un aspetto ad un tempo divertente e ispiratore di riflessioni proprio riguardo alle

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capacità di simulazione in atto nel tentativo di immaginare un punto di vista differente dal proprio.

Se da un lato, infatti, è buffo che i bambini durante il nascondino cerchino di celarsi alla vista dell‟altro chiudendo o nascondendo i propri occhi e che, ahiloro, proprio per questo vengano immediatamente scorti dall‟osservatore che ha invece il dominio di una scena a quelli del tutto occlusa, dall‟altro lato ciò spinge a domandarsi se in effetti i bambini non abbiano ancora una rappresentazione percettiva del proprio corpo nella sua totalità, e allo stesso tempo non riescono ad assumere i panni di un osservatore, ma poi va specificato anche che in bambini tanto piccoli devono essere immature anche la cinestesia, aspetto fondamentale della teoria di Mitchell, e la propriocezione che – come detto – secondo Neisser fonda la consapevolezza di sé.

La nozione di percezione attraverso cui un individuo si riconosce come appartenente ad un certo ambiente rappresenta allora probabilmente l‟aspetto più utile ai fini della posizione difesa in questo lavoro: l‟abilità di autopercepirsi è determinante nella realizzazione dell‟attribuzione percettiva.

Se si rivolge nuovamente l‟attenzione all‟esempio del gioco del nascondino, risulta che può doversi all‟ancora immatura capacità di integrare la percezione cinestetica e l‟attribuzione percettiva esibita dal meccanismo del PT quanto i bambini piccoli non hanno ancora pienamente sviluppato.

Anche un buon numero di evidenze sperimentali suggerisce che che il

perspective taking sia una capacità genuina e che la sua elaborazione sarebbe

selettivamente localizzata nel cervello, e non manca chi sottolinei come la capacità di first-person-perspective, secondo alcuni studiosi (Vogeley K., Fink G.R., 2003) sarebbe correlata ad aree diverse da quelle coinvolte nella ToM.

L‟area coinvolta nei processi più alti di lettura della mente non sarebbe attiva nei compiti che richiedono l‟assunzione della prospettiva visiva di un altro individuo, secondo quanto rilevato da uno studio pubblicato dalla rivista

NeuroImage alcuni ricercatori (Aichhorn M., Perner J., Kronbichler M., Staffen

W., Ladurner G., 2006), tra cui lo psicologo Josef Perner. Si è osservato, coinvolgendo alcuni volontari in compiti che richiedevano di considerare la prospettiva visiva di un altro individuo, che durante il visual perspective taking non è implicata un‟area, come la corteccia mediale prefrontale (MPFC),

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