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Dalla trasmissione alla costruzione di conoscenze: le origini dell’apprendimento collaborativo in rete

1.4 Ambienti collaborativi per gestire la dimensione sociale in rete: dinamiche di gruppo e qualità dell’apprendimento

1.4.1 Dalla trasmissione alla costruzione di conoscenze: le origini dell’apprendimento collaborativo in rete

Ricostruire l‟impiego che storicamente nella formazione si è fatto delle tecnologie in relazione all‟evolversi delle teorie dell‟apprendimento è quanto ci consentirà di comprendere le origini dell‟apprendimento collaborativo in rete.

In oltre mezzo secolo di ricerche e applicazioni delle tecnologie all‟educazione – il periodo di tempo necessario perché maturassero gli attuali modelli, in cui sono centrali le tecnologie telematiche –, vasta ed approfondita è stata l‟indagine sopra le modalità di impiego di quei mezzi che erano offerti da quelle che di volta in volta sembravano essere le “nuove tecnologie”. Ma è poi notorio che storicamente la più comune strategia didattica è stata quella del “trasferimento” di conoscenze, presupponendo sempre il lavoro individuale del discente: lo stesso libro ha svolto dalla nascita questa funzione. Precisamente la convinzione che il problema prioritario fosse la trasmissione del sapere ha informato, dal punto di vista epistemologico, le

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prime esperienze di utilizzo delle tecnologie nella formazione, che si inseriscono infatti in una concezione positivistica della conoscenza, vista come entità definita e circoscrivibile.

Le tipologie d‟uso dominanti connotano le fasi che hanno caratterizzato l‟attenzione prestata ai nuovi media digitali. Tornando ai lavori di Calvani (cfr. 2001, 2004) in una prima fase, quella dell‟istruzione programmata e dei tutoriali, il

computer, visto come una specie di sostituto di un insegnante che gestisce il percorso

di apprendimento dell‟allievo (computer tutor), fu per lo più utilizzato per la somministrazione di lezioni sotto forma di programmi assistiti, i tutoriali appunto, e

test (denominati CAI Computer Assisted Instruction e CAL Computer Assisted Learning). Ma in un secondo momento, intorno alla metà anni Ottanta del secolo

scorso, l‟elaboratore elettronico è stato valorizzato come utensile cognitivo (computer tool) per un‟utilizzazione attiva e qualificata, ovvero di strumento di lavoro a disposizione degli studenti: dal semplice programma di scrittura si passava ora ai linguaggi di programmazione. Infatti la possibilità di sfruttare i vincoli e le regole operative (lessicali, sintattiche e semantiche) imposti dal linguaggio di programmazione ha avuto grande importanza ai fini educativi e metodologici, soprattutto in quanto si è utilizzato il computer per la realizzazione di compiti che gli studenti stessi ideavano e creavano (Taylor, 1980). Invece il computer è stato interpretato per lo più come utensile comunicativo multimediale solo con l‟esplosione degli ipertesti, degli ipermedia e dei programmi di tipo edutainment, ovvero nei primi anni „90 del secolo scorso (III fase). Oggi giorno (nella IV fase) il

computer è un utensile cooperativo in grado di supportare, attraverso specifici

ambienti comunicativi, forme di apprendimento collaborativo in rete.

Le principali concezioni dei processi apprendimento e insegnamento hanno evidenziato grosso modo gli stessi passaggi. Questi orientamenti teorici giocano infatti un ruolo determinante tanto nella scelta delle metodologie, delle tecniche e degli strumenti, quanto nella strutturazione dei contenuti di apprendimento. A seconda delle differenze e delle peculiarità che si vogliono rilevare, è notoriamente possibile classificare le teorie dell‟apprendimento – non senza incorrere in rischi di arbitrarietà e semplificazione – in varî modi, ma faremo nostra la particolarmente utile distinzione proposta da Hill (2000) tra due posizioni opposte, ovvero tra teorie connessionistiche e teorie cognitivistiche, tenendo presente che nelle prime (di marca comportamentistica), nonostante la diversità delle singole posizioni, un accordo di fondo vi è sul riconoscimento del fatto che “tutte le cose che gli esseri umani apprendono sono forme di connessione fra stimoli e risposte” (ibidem p. 27), ovvero tra elementi di attivazione, solitamente esterni, e i comportamenti messi in atto dall‟individuo come risposta. Le teorie cognitivistiche, invece, sono gli orientamenti secondo i quali svolgono un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento “variabili intermedie più complesse: i cosiddetti processi cognitivi, ossia gli atti di

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percezione, gli atteggiamenti, le convinzioni o le aspettative dell‟individuo nei riguardi dell‟ambiente circostante” (ibidem) e che a loro volta vengono modificati dall‟esperienza. Sul piano pedagogico-didattico, le implicazioni di tali distinzioni sono di primaria importanza, se è vero che, mentre nel caso del connessionismo possiamo parlare di istruzionismo inteso come una situazione d‟apprendimento altamente strutturata, il cui obiettivo può essere definito a priori in modo rigoroso ed eventualmente suddiviso in sotto-obiettivi che si succedono in ordine strettamente gerarchico, in quanto le situazioni-stimolo sono strutturate in modo tale da limitare al massimo le possibilità di errore e il passaggio da una fase all‟altra è vincolato dal superamento delle prove di verifica, invece nell‟ambito delle teorie cognitivistiche è fondamentale il percorso di apprendimento individuale, che si colloca allora naturalmente all‟esterno di una logica di rigide gerarchie tra gli obiettivi dell‟apprendimento e dalle esigenze di costante valutazione.

Come detto, si deve in particolare ai lavori di Skinner se nell‟ambito delle ricerche sul condizionamento, il comportamentismo si incontra direttamente con l‟applicazione delle tecnologie. The science of learning and the art of teaching, celebre articolo di questo studioso (1954), parte dalle esperienze svolte in laboratorio sul comportamento degli animali per prospettare l‟uso di “macchine per insegnare” quali strumenti in grado di migliorare l‟istruzione e sollevare gli insegnanti dai compiti più tediosi: l‟uso di macchine per condurre gli studenti, attraverso lo svolgimento di percorsi predefiniti, verso gli obiettivi comportamentali prefissati è pertanto una delle mire esplicite della teoria skinneriana dell‟istruzione programmata. Ma poi, più che gli stimoli, in questo caso giocano un ruolo primario i programmi di rinforzo, ed in particolare la rapidità con cui questi vengono “fatti girare” da una macchina (cfr. Hill, 2000, p.89-90). In tal modo, per la forza dell‟abitudine, attraverso un meccanismo di ripetizione di stimoli e il conseguente rinforzo (premio) alle risposte corrette fornite, ha luogo l‟acquisizione di un comportamento corretto, ovvero il modellamento (shaping). Si rendono quindi necessarie, nell‟ambito di questo programma, la definizione della conoscenza da trasferire, la sua parcellizzazione in singoli moduli comportamentali e la precisa predisposizione di una gerarchia e di una concatenazione tra le tappe del processo: gli stimoli vanno dunque predisposti con complessità crescente (overlearning) e i rinforzi devono seguire regole non casuali ed essere significativi per lo studente. Il debito che verso il modello comportamentistico ha l‟impiego delle prime tecnologie informatiche in ambito educativo risiede pertanto nell‟utilizzazione del computer come vicario del docente nella funzione di trasmissione della conoscenza in vista dell‟ottenimento dei risultati prospettati.

L‟auto-apprendimento, imperniato sulla fruizione di contenuti attraverso percorsi altamente strutturati (cfr. Banzato e Midoro, 2006, cfr. pp. 75-92; Trentin, 2003) che permettono di far acquisire e rinforzare le competenze dei discenti in

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modo sequenziale e cumulativo (CBT – Computer Based Training) è il modello di istruzione che deriva dagli approcci cognitivistici e neocomportamentistici. Ma va inoltre specificato che oggi giorno molti dei corsi multimediali più largamente utilizzati (come i learning object nell‟e-learning) si basano su una concezione della conoscenza e dell‟apprendimento di tipo comportamentistico ed anche in questi casi la conoscenza viene concepita come circoscrivibile, delimitabile, rappresentabile e quindi “trasmissibile”. Durante lo sviluppo di questo genere di sussidi didattici, nel processo di “instructional design”, lo sforzo dei progettisti – sulla base di quanto mostrato sopra –, si concentra sulla riduzione, sulla segmentazione e la parcellizzazione della conoscenza, così da poter offrire allo studente un percorso che, seppur articolato e strutturato talora anche in modo complesso, presenti tuttavia nozioni ben definite e livelli di complessità graduali e progressivi. Attraverso la fruizione autonoma da parte del corsista ha quindi luogo il trasferimento della conoscenza attraverso i meccanismi classici di connessione tra stimolo e risposta grazie all‟uso continuo di elementi di rinforzo; in questo senso, primaria importanza dal punto di vista didattico i frequenti test di autovalutazione.

Per quando concerne invece le teorie cognitive, può essere utile una distinzione puntuale tra l‟approccio cognitivistico e quello costruttivistico ai fini di una riflessione sull‟intreccio tra quegli orientamenti e le tecnologie dell‟educazione, tenendo nel debito conto anche il notevole ampliamento del paradigma comportamentistico che si deve alle ricerche sviluppate nell‟ambito dei modelli di stampo cognitivistico. Se per il cognitivismo la conoscenza è ancora immagine di una realtà data, oggettiva e modellabile, tuttavia il focus di tale orientamento teorico è soprattutto interno ai processi cognitivi umani, ai sistemi di rappresentazione simbolica di situazioni, pensieri ed avvenimenti, alle modalità linguistiche e formali di trasmissione delle informazioni e di interpretazione della realtà. Esiste un‟interessante circolarità che caratterizza il cognitivismo, in particolare nell‟interesse che tale orientamento manifesta per le tecnologie, ed in particolare dell‟approccio noto come HIP - Human Information Processing (Lindsay, Norman, 1983): il trarre ispirazione dalle architetture interne ai sistemi informatici e porre poi queste come modelli per concettualizzare il funzionamento dei processi cognitivi umani. Il cognitivismo, insomma, proprio ispirandosi alle architetture interne ai

computer, concettualizza il funzionamento della mente nei termini di componenti

(memorie sensoriali, a lungo e breve termine) e di processi di elaborazione delle informazioni (cfr. Boscolo, 1986, p. 13). Partendo da questa modellizzazione del sistema cognitivo umano si sviluppano, parallelamente a queste ricerche, quelle sull‟Intelligenza Artificiale, che progetta e adatta ai varî ambienti operativi, algoritmi in grado emulare comportamenti umani anche complessi. È pertanto intuibile come anche in ambito educativo, gli studi sull‟IA contribuiscano allo sviluppo di programmi tutoriali in grado di dare risposte maggiormente differenziate e reattive a

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seconda del comportamento dall‟utente, come nel caso degli degli ICAI (Intelligent

Computer Assisted Instruction), ovvero di software capaci di imparare dal

comportamento dell‟utente ed ottimizzare le proprie risorse in base alle specifiche preferenze e modalità operative. Ma non si limita a questo l‟apporto fornito dalle ricerche di matrice cognitivistica alla pratica didattica, poiché un altro significativo contributo in quest‟ambito è rappresentato dall‟introduzione degli ipertesti8 tanto come prodotti fruibili, quanto come strumenti di ricerca investigativa, di sistematizzazione concettuale e di produzione. Alcuni risultati della ricerca cognitivistica come ad esempio la rappresentabilità della conoscenza nella sua forma reticolare attraverso le mappe concettuali, sistematizzate in particolare da Novak (1990, 2001) sulla base degli studi di Ausubel (1963, 1978) intorno all‟apprendimento significativo, forniscono infatti giustificazione teorica e metodologica a molti dei programmi “autore” tutt‟ora utilizzati nella scuola primaria, ovvero a quei software che consentono la creazione di prodotti multimediali ed ipertestuali. Infatti si trova che, in linea con la visione significativo-elaborativa propria del cognitivismo (cfr. Santoianni, Striano, 2003), la pratica della costruzione di ipertesti si rivela particolarmente congeniale ad un apprendimento interpretato come processo elaborativo che si basa su meccanismi e strategie di organizzazione, di comprensione e di attribuzione di significati (cfr. Calvani, Varisco, 1995). Tale pratica, che conduce tra l‟altro all‟acquisizione di competenze di controllo del processo e di rielaborazione critica dei contenuti (individuali e di gruppo), riceve positivi riscontri anche in rapporto agli studi sulla metacognizione (cfr. Flavell, Wellman, 1977; Flavell, 1981; Brown, 1978; Cornoldi, 1995) e viene quindi fatta propria e proficuamente utilizzata anche dal costruttivismo.

Una variante all‟interno del cognitivismo (cfr. Merrill, 1991; Wilson, 1995; 1997), una sorta di “cognitivismo ecologico” (cfr. Varisco, 2002, p.12), prende corpo nel corso degli anni Ottanta del XX secolo, soprattutto come reazione sia alla visione meccanicistica e riduzionista della mente umana, concepita come dispositivo per l‟elaborazione di informazioni, sia alla visione ottimistica dei modelli razionalistici e logico-deduttivi che sono alla base dell‟IA (cfr. Pellerey, 1994; Calvani, 2001): ci riferiamo al costruttivismo psicopedagogico. Grosso modo nell‟ambito della stessa temperie entrano in crisi anche molte delle aspettative legate all‟IA poiché, pur dopo i risultati a volte anche importanti dell‟impresa inaugurata da scienziati come Turing, Newell, McCarthy, Simon, Minsky, si iniziano ad intravedere insormontabili distinzioni tra la complessa e variegata fenomenologia dei sistemi cognitivi umani e la parziale – ancorché potente – capacità di calcolo degli elaboratori. E infatti differenze sul piano cognitivo di cui s‟è detto rimandano per la verità ad ambiti semantici di contesti operativi radicalmente diversi, più che a diverse gradazioni su

8 Cfr. I lavori pionieristici di Nelson (1992) e i successivi studî nell‟ambito di studi sulla “tecnologia”

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una medesima scala di abilità. Tra i primi autori che hanno il merito di aver individuato i limiti dell‟impostazione tradizionale dell‟intelligenza artificiale, evitando di proseguire nello sviluppo di macchine intelligenti, si segnalano Winograd, Flores (1987) e Barrett (1991), che hanno indicato nuove modalità di utilizzazione del calcolatore, aprendo in tal modo la strada a filoni di ricerca più preoccupati a sviluppare sistemi in grado di coadiuvare la capacità umana di comunicare e collaborare. Questa nuova impostazione ha tra le proprie priorità la considerazione della conoscenza come di un fenomeno che richiede un‟azione soggettiva caratterizzata sì da continue rielaborazioni individuali, ma all‟interno di precisi contesti sociali in cui vengono costruiti e condivisi i significati. I congegni per “costruire” la conoscenza piuttosto che per accedere a saperi precostituiti diventano ora, in ambito didattico, gli strumenti privilegiati. Si prestò invece grande attenzione, negli anni Novanta, anche in Italia, alle attività di progettazione e realizzazione di ipertesti e prodotti multimediali nell‟utilizzare i quali gli studenti sono principalmente chiamati a confrontarsi con le molteplici modalità di rappresentazione della conoscenza (cfr. Varisco 1995a, 1995b; Calvani 1995b), cosicché si prese ad interpretare l‟elaboratore come supporto, come strumento di facilitazione dei processi cognitivi, tenendo nel debito conto il fatto che – anche a seguito della revisione, in ambito epistemologico, dei concetti di esattezza e compiutezza della conoscenza scientifica – si è fatto sempre più evidente il carattere problematico dell‟idea, per anni dominante in ambito educativo, dell‟oggettivabilità e trasferibilità della conoscenza (Calvani 1999b; 2001). L‟idea ingenua, fatta propria da sostenitori, non avvertiti, di paradigmi riduzionistici, secondo la quale la conoscenza e l‟informazione sarebbero tout court trasmissibili tramite il linguaggio, è invece respinta con forza dai costruttivisti, per i quali le idee si rivelano anch‟esse come costruzioni, appunto, a cui ogni individuo eventualmente può giungere, avendo fatto astrazione dalle proprie esperienze (cfr. von Glaserfeld, 1999). Ecco allora che in tale prospettiva le tecnologie non sono strumenti per la mera “distribuzione” di saperi predeterminati, ma ambienti proficui alla costruzione attiva e significativa delle conoscenze. L‟accento viene spostato, per tutti quegli approcci che si ispirano al costruttivismo, dai contenuti delle conoscenze come prodotti, alle dinamiche attraverso cui quelle acquistano un senso per il discente, favorendo quindi la costruzione di orizzonti personali di senso (ibidem, p. 115) e ciò rimanda ad una concezione di sapere che non è statico e precostituito, ma fluido, aperto, “in rete” (Margiotta, 2005): l‟attenzione è spostata sui processi e sulle condizioni del contesto – come la varietà e quantità dei supporti e dispositivi impiegati (scaffold) – che consentono lo sviluppo delle soluzioni, l‟organizzazione dei problemi, la strutturazione, secondo stili individuali o attraverso giochi di mutua appropriazione, dei percorsi di apprendimento, per quanto non necessariamente la programmazione curricolare venga del tutto eliminata. Felice applicazione trovano poi le tecnologie

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per l‟educazione ai modelli proposti e sviluppati nell‟ambito di questi principi; ne sono validi esempi le community of learners (cfr. Brown, Campione, 1990, 1994; Brown, 1996), le ricerche sull‟apprendistato cognitivo (cfr. Collins, Holum, 1991; Collins, Brown, Newman, 1995) e gli ambienti per l‟apprendimento generativo (cfr. Cognition & Technology Group at Vanderbilt, 1992, 1993).

Il sorgere di alcune nuove teorie dell‟apprendimento che decretano l‟avvento di un secondo costruttivismo, quello socio-culturale, accentua ulteriormente nel corso degli anni „90, la presa di distanza dal concetto di apprendimento nella sua accezione trasmissiva: si ricuperano varie nozioni, tra le quali, il concetto di apprendimento di Vygotsky – che considera quel processo e la cognizione come socialmente mediati –, e quello di Bruner, secondo il quale il sapere e le forme dell‟atto educativo sono il risultato di un‟interazione continua tra i soggetti e gli ambienti culturale, fisico, sociale e tecnologico; si fanno strada il concetto di apprendimento distribuito di Suchman, Winograd, Pea e Hutchins – che riscatta la mente dall‟isolamento nei confronti di persone ed artefatti –, l‟“apprendimento situato” di Lave e Wenger; e si afferma la concezione della “costruzione di conoscenze” di Scardamalia e Bereiter, che Koschmann riconcettualizza come creazione di significati, basandosi su teorie dell‟analisi della conversazione e sull‟etnometodologia.

Nell‟impiego di tecnologie di rete per la costruzione di ambienti di apprendimento virtuali in cui i gruppi cooperano nella realizzazione di un compito comune si rintraccia agevolmente il modello scaturito da tali teorie scaturisce ricco di interessanti applicazioni, ovvero quello di apprendimento collaborativo (cfr. Banzato e Midoro, 2006; Trentin, 2003).

1.4.2 Computer-Supported-Collaborative-Learning (CSCL): un paradigma

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