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Tabella 1 La struttura del modello di analisi per categorie e indicator

5.2. Dimensione deittico-contestuale

5.2.2 La deissi nel linguaggio

L‟ampiezza delle funzioni assolte dalle parti del discorso, cinque variabili e quattro invariabili, viene spesso oscurata da definizioni minimalistiche e riduttive, se si tiene presente, ad esempio, che tanto quelle quanto le loro suddivisioni non costituiscono una semplice tassonomia grammaticale, ma rivelano il modo in cui il linguaggio si apre verso la realtà agganciandosi agli oggetti collocati nel mondo dei parlanti e alle immagini che questi si fanno di essi. In questo luogo preme sottolineare è che in tali definizioni, dove ad esempio si legge che i pronomi sarebbero parole utilizzate in sostituzione di nome, di un sintagma o di una frase, oppure indicanti un elemento del mondo esterno, anziché chiarirsi, si finisce per rendere opaca e frammentaria la realtà della deissi (o indessicalità), una proprietà generale del linguaggio che coincide con quella continua apertura di questo verso il mondo esterno di cui s‟è detto, mondo al quale quello si aggancia precisamente attraverso parole con una funzione peculiare, dette deittici.

È notorio che esistono cinque tipi di deissi:

- deissi personale: coinvolge gli elementi del contesto che nell‟interazione descrivono e rappresentano i ruoli: io, tu, noi, voi e le rispettive forme di complemento

me, mi, te, ti, ci e vi. Può esprimersi anche attraverso una forma flessiva verbale: Dammi

(tu) la scatola. I pronomi di terza persona: lui, lei, loro, essi, esse, invece, non sempre sono considerati intrinsecamente deittici in quanto il loro significato può non essere connesso alla conoscenza delle condizioni spazio-temporali e delle altre condizioni della deissi; si ha deissi nel tipo: “Dillo a lei”; non la si ha invece in: “Maria è andata in

chiesa: lei voleva pregare”, in cui sembrerebbe non esser possibile una risposta univoca

alla domanda “Chi voleva pregare?”, qui infatti il pronome potrebbe riferirsi ad altro elemento del cotesto, per cui si potrebbe trattare solo di un rimando intratestuale di tipo anaforico, come si dirà più avanti. La deissi personale, quindi, specifica con nettezza,

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pertanto grammaticalizzandoli, i ruoli nell‟interazione: essa non concerne solo i pronomi personali ma anche i possessivi, e gli aggettivi possessivi delle prime e delle seconde persone; il possesso è indicato in modo diretto, e codificato nella maniera a noi familiare, unicamente se il possessore è il parlante stesso, dunque raramente queste forme sono usate come non-deittici: l‟io al quale ci si riferisce in psicoanalisi e in filosofia è un sostantivo.

- deissi spaziale: è relativa alla collocazione di un elemento nello spazio rispetto alla posizione dei locutori rispetto ai tre assi vestibolari, orizzontale, frontale e sagittale (per cui si divide il corpo o una parte di esso in parti simmetriche) e ad opposizioni come davanti/dietro, destra/sinistra, sopra/sotto. Tale deissi può essere assoluta: A un

chilometro dalla stazione, o relativa: Qui sotto. E‟ espressa da avverbi di luogo come qui, qua, lì, là, e dai pronomi e aggettivi dimostrativi. Tre sono i tipi di deissi spaziale:

1. quella espressa con deittici che suddividono e misurano lo spazio; 2. quella che colloca qualcosa all‟interno dello spazio così suddiviso e misurato; 3. quella che si serve di descrittori di movimento fra le parti dello spazio stesso.

- deissi temporale: attribuisce un significato ad espressioni avverbiali come: prima, dopo, adesso (marcatori di cronodeissi) o del verbo. E‟ espressa da avverbi di

tempo, morfemi temporali, indicativi di tempo in generale, esempi: Allora ero ragazzo.

Frequentavo i convegni della Carta dei dialetti italiani. Dal 1967, più di quaranta anni fa. Il Sabato e la Domenica trascrivevo le inchieste dialettali. Ma probabilmente

questo tipo di deissi si appoggia anche ad aggettivi e a pronomi dimostrativi, a interiezioni come ecco, questo, questi, quello e quelli che fanno riferimento ad oggetti vicini o lontani dal locutore. È poi chiaro quale parte debbano in ciò avere anche i morfemi verbali del presente e del passato e del futuro: temo, temei/temetti, temuto,

temerò, l‟interpretazione dei quali può aver luogo dal momento dell‟enunciazione.

Come si vede, i dimostrativi sono inseriti sia nella deissi spaziale sia nella temporale.

- deissi sociale: individuata dal Fillmore, codifica lo status sociale dei partecipanti attraverso i pronomi allocutivi (usati per rivolgere la parola): it. lei, voi (di cortesia) o

tu; o attraverso l‟uso di titoli onorifici: Onorevole, Magnifico, Sua eccellenza).

- deissi testuale: è un tipo di deissi complanare alle altre, ma è anche tecnica di

organizzazione testuale, poiché costruisce riferimenti intratestuali; può realizzarsi attraverso l‟impiego di elementi spaziali: “Come affermavo qui sopra” o di elementi temporali: “Dirò fra poco”, dal che risulta evidente come il cotesto funga da contesto. Mentre gli elementi che costituiscono i tipi sopra citati sono esofòrici, perché sembrano rivolgersi ad elementi esterni, questo tipo è endofòrico. Questa deissi differisce, però, dall‟anafora: “Antonio andò da Carlo e lo prevenne” (anàfora), “Antonio gli raccontò quella cosa” (deissi testuale).

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Quella appena fornita è un‟illustrazione, fedele alla classificazione di Charles J. Fillmore e John Lyons24, dei 5 tipi principali di deissi, ma varrà ora la pena chiarire genesi e significato di tale concetto.

La deissi e l‟anàfora pronominale (come in: La finestra non la apro) furono già distinte da Dionisio Trace e Apollonio Dìscolo, grammatici greci. Nei primi del Novecento Brugmann e Wackernagel ripresero il concetto di deissi, una sistemazione del quale si deve però solo a Karl Bühler (1879-1963), nella sua Sprachtheorie, Jena, 1934. Il termine viene dal greco déiksis (o déixis) “indicazione”(da déiknymi, „io indico‟), e discende dalla stessa radice indoeuropea del latino index „indice‟, a sua volta connesso al latino dico (ind. pres, I pers. sing del verbo dire). Nemmeno l‟etimo di “dimostrativo”, a ben guardare, è nuovo e la radice è identica, poiché demonstrativum è traduzione fornita dai grammatici latini per il greco deiktikòn (sempre affine a

déiknymi), usato con riferimento ad articoli con funzione indicativa già lessicalizzati, i

quali per ciò stesso, benché di natura non direttamente pronominale, e tuttavia diversi dai nomi comuni, venivano a costituire una categoria grosso modo funzionalmente omogenea.

La deissi si definisce come la funzione linguistica che collega il testo del discorso comunicativo al suo contesto spazio-temporale, o referente, nonché ad elementi del testo stesso, ossia del cotesto, e a coloro che partecipano al processo di condivisione, mostrando anche lo stato sociale che caratterizza questi ultimi.

Alla distinzione e classificazione delle forme di deissi si rivelano essere utili formulazioni che allignano in epoche e forme di pensiero tra loro molto diverse. In primo luogo, giova tener conto dei due concetti linguistici di enunciato e di

enunciazione, e così si trova che la maggior parte dei linguisti divide la deissi associata all‟enunciato dalla deissi associata all‟enunciazione, ossia la deissi fòrica o contestuale, che rimanda alle forme verbali, la prima, dall‟altra, la deissi indicale o mostrativa, correlata con identità, spazio e tempo. A ben guardare, come noto, questi

due tipi di deissi, sono dovuti in larga misura al lavoro di Karl Bühler che introdusse anche le due nozioni di campo: il campo mostrativo o dimostrativo o indicale (Zeigfeld) e di campo simbolico (Symbolfeld, Zeichenfeld), indicando col primo un sistema di coordinate spazio-temporali e personali, il cui centro si configura di volta in volta in relazione alla situazione espressa dall‟enunciato, cosicché l‟emittente del messaggio diviene il centro o “origo” di un campo indicale, pertanto il parlante costituisce il centro

deittico del contesto ed è condizionato dai tre fattori ego, hic, nunc „io, qui, ora‟; a

questo centro, il cui concetto fu ripreso da Jakobson nel 1957, o “origo deittica”, sono

24 Vedansi per Fillmore le Santa Cruz Lectures on Deixis, Bloomington, Indiana University Linguistics

Club, 1975; le principali opere di Lyons sono state tradotte da Elena Mannucci e Francesco Antinucci e pubblicate da Laterza nel 1978.

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ancorati gli enunciati, ma il concetto di ancoraggio deittico si deve a Charles Fillmore.

Se la deissi prevale nel campo mostrativo o indicale, in quello simbolico, invece, prevarrà il senso della coordinazione fra la parola e l‟oggetto significato, insomma la rappresentazione concettuale, con il che un conto sarà dire: “Guarda là!” (campo mostrativo, la deissi, assume valore solo per la situazione in esame, altrimenti non sapremmo mai chi e dove deve guardare) e altro è “La strada è lunga.” (campo simbolico). Un esame della gestualità coverbale offrirebbe ulteriori conferme circa il differente ancoraggio contestuale delle due espressioni.

La deissi, pertanto, consente infine all‟emittente ed al ricevente di orientarsi nella realtà, o di ancorare il discorso, precisamente per via dei suoi riferimenti al parlante stesso, ai destinatari, alla loro sfera sociale, al contesto situazionale ed a forme del testo stesso, ossia del cotesto. Questa potente strumentazione concettuale e tecnica appare di estrema rilevanza nell‟insegnamento: la semplice notazione degli elementi morfo- sintattici di un testo e dei rapporti tra quelli, cara alla grammatica tradizionale, è vacua di fronte alla trasposizione linguistica delle forme relative agli attori della scena (origo

deittica) e della situazione spazio- temporale: nel contesto io, tu, qui, là ecc. assumono

pregnanti valenze, ciò che può avere sul discente effetti notevoli. È anche merito di Erving Goffman se adesso, sulla scorta delle sue indagini sociologiche, è possibile in pragmatica – dove oggi si viene privilegiando l‟interazione faccia a faccia –, definire

egocentrica la lingua, dovendo questa ancorarsi al referente, a chi dice io. L‟utilità

pedagogica di un approccio di questo tipo si rende a nostro parere manifesta proprio in una fase, come la presente, nella quale si è più avvertiti circa la necessità di sviluppare una pluralità di potenzialità nei discenti, mettendosi all‟ascolto delle loro esigenze, e appunto tenendo bene a mente quanto invece nell‟ambito dello studio e nelle osservazioni metalinguistiche tradizionali, purtroppo invalsi nell‟insegnamento primario e secondario, quel centro sull‟io tenda a scomparire, spesso facendo sì che risulti soffocata la personalità dello studente con l‟inevitabile appiattimento, che da quel tipo di approccio discende: il livellamento delle varie forme di intelligenza di gardneriana memoria, per l‟utilizzazione e lo sviluppo delle quali è vitale che l‟allievo possa costantemente vedersi protagonista del discorso e dell‟azione didattici.

Solo, però, tenendo conto del fatto che l‟intera fenomenologia linguistica si misura sulla gradazione deittica dell‟espressione, queste suggestioni possono essere meglio focalizzate, soprattutto considerando che vi sono fenomeni non deittici come: il tempo,

l‟essere, dove?, chi? cui s‟aggiungono:

a) forme prevalentemente deittiche, io, tu, qui, ora, vengo etc... ossia: deissi

inerente

b) forme di deissi dipendente dal contesto, come tratti relazionali della coniugazione verbale, a destra, dopo, etc... ossia deissi contestuale. Bühler stesso seppe efficacemente schematizzare il suo costrutto attraverso un flusso, il quale ha luogo grazie la deissi, che va dall‟emittente del messaggio agli oggetti e alla situazione (stato

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di cose) significati, quindi al ricevente; va da sé non ci si riferiva agli oggetti “reali” o “in sé”, poiché ampio e forse incolmabile è il fossato che separa lingua e realtà e pertanto ci si varrà del referente che per Jakobson è compreso, come notato, nel concetto di contesto. Non si pensi inoltre che il richiamo o appello al ricevente sia rituale: è anzi cogente, poiché talora sono due le categorie, tutt‟affatto peculiari, che a quello riportano: i vocativi e gli imperativi. Bühler riconobbe tre tipi di deissi:

1. la “demonstratio ad oculos”, che presuppone un modo diretto o gestuale, quasi ostensivo , e che ha luogo nel campo mostrativi, poiché è ben connessa alla situazione che l‟enunciato richiede come referenza esofòrica, ovvero esterna all‟enunciato, anche a mezzo dei cosiddetti pronomi personali di prima e seconda persona che segnalano l‟emittente e il ricevente. Il contesto spazio-temporale è segnalato da forme come: là,

questo, qui, ora, etc... Es.: Voglio quella penna. (Esoforica)

2. sintagmàtica: anàfora e catàfora o modo indiretto: rappresenta il richiamo di un segmento di testo coreferenziale a quello dell‟enunciato della deissi, ove tale referenza vien detta endofòrica, perché ha riferimenti interni all‟enunciato. Es.: Anàfora: “La finestra non la apro”; Catàfora: “Non la apro la finestra” (Endofòrica). Alcuni studiosi ritengono che la deissi sintagmatica contrassegni invece solo dei rimandi intratestuali dell‟enunciato che contiene la deissi.

3. infine si ha la deissi fantasmatica o di fantasia (Deixis am Phantasma) o modo

analogico che, in chiara opposizione alla “demonstratio ad oculos”, allude invece a

oggetti non presenti nella situazione connessa al discorso, così da rimanere di pertinenza della memoria, dell‟immaginazione. Es.: Ricordo che in quegli anni, viveva là un signore, quella casa aveva le finestre...

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