2 DIMENSIONE DISCORSIVO-DIDATTICA C CIRCOSTANZIALI TEMPORALI E/O BIOGRAFIC
C. CIRCOSTANZIALI TEMPORALI E/O BIOGRAFIC
C.3 Esposizione didattica:
C.3.3 Esposizione didattica con connotazione critica o laconica centro-periferia Lo sviluppo è determinato dall‟interiorizzazione di riti e simboli della propria
cultura: il bambino prima interagisce con l‟esterno e poi impara ad organizzare i propri processi mentali e ad usarli autonomamente. Grazie all‟interazione sociale (intesa nella sua dimensione socioculturale: valori culturali, regole, concezioni del mondo, conoscenze scientifiche...) il soggetto impara a narrare a sè stesso e agli altri quello che ha fatto e che farà: è quindi dotato fin dall‟inizio di intenzionalità, di capacità potenziali che l‟interazione sociale sviluppa. L‟uso di una capacità cognitiva nel contesto dell‟interazione sociale viene PRIMA della padronanza individuale della capacità stessa: è un percorso che va dall‟esterno (società e cultura) verso l‟interno del soggetto. L‟interazione sociale è dunque strumento di facilitazione per lo sviluppo delle capacità cognitive.
Ciò che mi ha colpito maggiormente durante lo studio di questo modulo, è stato realizzare che effettivamente l‟interazione sociale come processo comunicativo (anche qualora non si realizzasse naturalmente come ad esempio nella discussione in classe) sia alla base dell‟apprendimento e quindi dello sviluppo di ognuno di noi. In quest‟ottica, la vita di ogni individuo credo possa considerarsi come un “lungo” (speriamo) processo educativo, dove ogni elemento si costituisce e struttura nei rapporti e grazie alle interazioni sociali, cosicchè l‟educazione non possa mai definirsi come un evento concluso, ma come una sorta di tensione, di aspirazione ideale verso un divenire. Mi colpisce inoltre come viene affrontato da “Vigotschi” (all‟italiana è più facile da scrivere...) il tema della potenzialità e dello sviluppo. Un insegnante che tenga in considerazione quella potenzialità, quella possibilità di “divenire” e quindi agisce e coopera con gli studenti con questa consapevolezza, assume sicuramente il ruolo di facilitatore e cooperatore all‟apprendimento e sviluppo di colui che impara ma credo possa anche generare o magari incrementare nei propri studenti il gusto per la conoscenza, il desiderio di crescere ed apprendere.
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5.4 Dimensione metalinguistica. Parafrasi, ripetizioni, domande, segnali discorsivi
5.4.1. La parafrasi
Il problema concettuale e metodologico che consiste nell‟ approfondire come l‟atto della comunicazione non serva soltanto a trasmettere contenuti ma a discutere e analizzare lo stesso linguaggio e lo stesso codice tramite cui si trasmettono i contenuti è ciò su cui non può evitare di interrogarsi chi studia la comunicazione dell‟insegnante come condizione rilevante per il successo o insuccesso di progetti educativi. A tale scopo è parso essenziale in questa ricerca giungere ad inquadrare la dimensione metalinguistica dell‟apprendimento in rete così da poter comprendere quali siano gli strumenti in possesso degli allievi e del tutor per permettere un continuo e costante monitoraggio del livello di comunicazione e di ricezione dei contenuti e del livello di empatia e relazionalità con cui quelli vengono trasmessi, condivisi e valutati. Perché ciò fosse possibile, si è resa necessaria l‟individuazione di alcune strutture discorsive peculiari, in chiaro riferimento ai contenuti dell‟apprendimento, che corrispondessero all‟utilizzazione della funzione metalinguistica. Allo scopo si è voluto riprendere il concetto di parafrasi, secondo una prospettiva largamente presente in letteratura, per comprendere fino a che punto e in che senso ad un determinato atto comunicativo si possa attribuire il valore di parafrasi rispetto ad altri che invece rientrano tutti in una medesima categoria di atti comunicativi, semanticamente equivalenti e riferibili ad una identità di intenzione comunicativa, ma solo se rilevanti dal punto di vista educativo.
Tuttavia ingenui dal punto di vista della teoria linguistica della parafrasi, impliciti e intuitivi sono per lo più questi giudizi dell‟analista nella realtà della ricerca educativa, mentre d‟altra parte gli strumenti statistici concorrono a far sottovalutare o ignorare la componente parafrastica del processo di categorizzazione della comunicazione educativa. Benché il notevole impegno profuso dai linguisti nello studio delle interazioni in ambito didattico come situazioni ideali per la ricerca sugli aspetti pragmatici si sia sviluppato in modo parallelo e complementare rispetto ai sistemi di categorie di origine psicopedagogica, i loro lavori si rivelano invece notevolmente fruttuosi per lo studio del problema cognitivo che qui viene definito in termini di parafrasi e normalmente affrontato e risolto indirettamente, mediante il calcolo della concordanza tra le attribuzioni alle singole categorie da parte di più analisti o osservatori, un calcolo che valuta l‟adeguatezza della definizione delle categorie in base al tasso di quella concordanza. L‟approccio linguistico-pragmatico al problema della parafrasi è fondamentale: se ne possono ricavarne criterii per un‟applicazione più rigorosa delle categorie corrispondenti ad atti comunicativi psico-pedagogicamente rilevanti, tali, posta la loro “felicità” – ovvero la loro correttezza –, da poter favorire il
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successo di progetti di istruzione. Non si avverte, dunque, alcun bisogno di costruire nuove categorie ad hoc, più o meno alternative a quelle coniate da pedagoghi e psicologi dell‟educazione: piuttosto si rendono necessarii nuovi, più rigorosi criterii per l‟applicazione di quelle esistenti allo studio psico-educativo della comunicazione dell‟insegnante. Gli atti linguistici coi quali si comunica incoraggiamento o con cui si veicolano spiegazioni, a proposito dei quali il confronto con la problematica della ricerca linguistica sulla parafrasi è sembrata sufficientemente pertinente, sono quelli sinora sottoposti a più attento esame. Soprattutto all‟importanza che in quel tipo d‟indagini viene riconosciuta alla capacità dell‟insegnante di incoraggiare la partecipazione dell‟allievo al processo didattico può essere fatta risalire anche la rilevanza della definizione di parafrasi nello studio della comunicazione dell‟insegnante e dei suoi effetti sull‟apprendimento dell‟allievo.
Anzi precisamente il riconoscimento dell‟importanza dell‟incoraggiare l‟autonoma iniziativa dell‟allievo nell‟insegnamento/apprendimento rappresenta un discrimine sicuro e ricorrente tra la cosiddetta istruzione tradizionale e l‟ampia varietà di alternative innovative attuali. In particolare varrà la pena ricordare in questa sede quelli che paiono essere, se si vuole, i due estremi delle nuove tecniche didattiche: per un verso ci si riferisce al ruolo che nel microteaching di Allen e Ryan (1969) è attribuito all‟abilità dell‟insegnante di rinforzare la partecipazione dell‟allievo, e per l‟altro verso si sottolinea la funzione centrale del feedback dell‟insegnante nei modelli più recenti di stimolazione dell‟autoregolazione o autocontrollo dei processi cognitivi (comprensione della lettura, soluzione di problemi matematici) che vanno sotto le etichette di
reciprocal teaching (Palincsar & Brown, 1984) o di contingent instruction (Wood et al.,
1986; Wood & Wood, 1996). Una proposta da questo punto di vista estremamente interessante di Rogers è quella di incoraggiare gli atteggiamenti di accettazione incondizionata e di empatia (Rogers, 1951): la risposta a riflesso o rispecchiamento.
Rogers, con la sua teoria della personalità, non aveva certo omesso di specificare perché il rispecchiamento abbia una buona probabilità di esercitare un effetto di incoraggiamento presso il destinatario: questa tecnica comunicativa ha la massima probabilità di produrre rassicurazione ed offre la massima garanzia circa la possibilità di evitare ogni forma di frustrazione; infatti, nella misura in cui è atto rigorosamente a- valutativo (sia esplicito sia implicito) e in quanto non comporta la minima pressione o restrizione esterna – diversamente dalle domande, dai consigli, dagli inviti, dalle esortazioni o dai suggerimenti – il rispecchiamento è anche certamente chiara manifestazione di attenzione scrupolosa per quanto l‟interlocutore sta dicendo ed testimonianza tangibile del fatto che il contesto comunicativo è centrato su di lui. Al clima rassicurante in tal modo instaurato si ascrive anche una buona probabilità di promuovere nella mente dell‟interlocutore un aumento della flessibilità e dell‟apertura all‟esperienza (così cognitiva come affettiva) e un‟intensificazione della motivazione a partecipare al contesto di apprendimento dominato da quel clima, precisamente in forza
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di tale probabilità e di tale garanzia: ma allora quella peculiare risorsa comunicativa ha anzitutto il vantaggio di una precisa fondazione teorica, che argomenta la previsione dei suoi effetti di incoraggiamento della partecipazione attiva dell‟interlocutore. Ma poi anche nel quadro di programmi di ricerca diversi dalla scuola rogersiana per orientamento teorico (behaviorismo) e per tematica (stimolazione della concentrazione in attività ludiche e facilitazione dell‟apprendimento scolastico) questa previsione ha ricevuto ulteriori conferme sperimentali, il che rappresenta una seconda, fondamentale acquisizione.
D‟altra parte, dotarsi di criterii oggettivi da applicare nell‟analisi delle interazioni
in modo da valutare gli atti comunicativi dal punto di vista della loro adeguatezza ad implementare effettivamente l‟intenzione di incoraggiare è precisamente quanto mette
in condizioni di tener nel debito conto le argomentazioni teoriche della proposta rogersiana e di garantirne poi un‟applicazione tale da giustificare la previsione degli effetti riscontrati in quelle ricerche, cosicché divenga possibile distinguere rigorosamente tra prestazioni che siano coerenti con quella proposta e rispecchiamenti
falliti. Quello della definizione di indicatori in base ai quali si possa confrontare
l‟enunciato “rispecchiando” (che l‟intervistatore, terapeuta o insegnante, ha l‟intenzione di rispecchiare) con l‟enunciato “rispecchiante” con cui a quell‟intenzione è stato dato corso, giungendo quindi a categorizzarlo come rispecchiamento riuscito o fallito, è precisamente il problema che rimane ancora aperto.
Solo la sua soluzione di tale questione consente una generalizzazione rigorosa della proposta rogersiana e quindi una sua applicazione oggettiva alla valutazione della comunicazione dell‟insegnante, e si rivela dunque di importanza decisiva.
È assolutamente necessario che il rispecchiamento consista in una riformulazione
rispettosa dell‟enunciato che viene rispecchiato, o di quella sua parte che l‟interlocutore
ha inteso fedelmente riformulare, in quanto l‟effetto rassicurante di quella attività di parafrasi attiva viene ricondotto alla condizione che il destinatario lo percepisca come
una dimostrazione di attenzione nei confronti del proprio discorso e non vi colga invece
elementi di sollecitazione dall‟esterno, che allora paiano estranei, poiché in effetti ciò che viene percepito dall‟interlocutore è l‟evento linguistico stesso – e non certo la buona intenzione di chi lo ha prodotto –, quindi quello solo può dare luogo all‟esperienza rassicurante a cui va ricondotto precisamente l‟effetto d‟incoraggiamento.
Tuttavia, non sembra fuor di luogo far osservare in questa sede che probabilmente Rogers ha in certo modo aggirato il problema, nel momento in cui ha deciso di proporre a dei giudici scale con una pluralità di intervalli di empatia e di accettazione incondizionata, chiedendo quindi loro di vagliare in base a quelle i singoli interventi dei terapeuti da giudicare: ma poiché questa forma di valutazione non è fondata su indicatori oggettivi, essa non sembra essere soddisfacente, poiché si trova che le ricerche condotte con quegli strumenti non sono in grado di fornire alcun contributo alla conoscenza delle condizioni che contraddistinguono gli esempi di rispecchiamento
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eventualmente da giudicarsi fruttuosi circa lo scopo di incoraggiare l‟iniziativa dell‟ interlocutore e ciò, evidentemente, anche qualora si ottenesse un accordo tra i giudici che sia accettabile da un punto di vista statistico.
La definizione che lo stesso Rogers offre del rispecchiamento come parafrasi
ipotetica dà l‟abbrivo anche alla prospettiva di ricerca che riguarda quella tecnica
precisamente, appunto, come forma di parafrasi, già delineata da Lumbelli (1992) in cui essa è assimilata al tipo di “glossa” (Garfinkel & Sacks, 1970; Orletti, 1983) che consiste nel riformulare quanto l‟interlocutore ha appena detto, al fine di verificare se lo si è correttamente inteso o per riceverne eventuali ulteriori precisazioni.
La spiegazione parafrastica, come detto, è una riformulazione, tale da:
(a) escludere espansioni, chiarificazioni, spiegazioni, che spesso vengono fatte rientrare in quella categoria di parafrasi che viene contraddistinta come pragmatica o
situazionale rispetto a quella linguistica o sintattico-lessicale (Martin, 1976, 77-118;
Mortara, 1979, 82-83; Wunderlich, 1980, 81-92; Fuchs, 1982, 57-74); in sostanza la parafrasi non deve contenere integrazioni di informazioni assenti dall‟enunciato rispecchiato;
(b) evitare ogni modifica di espressione linguistica che comporti il rischio della percezione di qualcosa di estraneo da parte dell‟interlocutore (per ragioni che potrebbero essere qualificate come sociolinguistiche), così da mantenere inalterato il contenuto informativo, concettuale o proposizionale dell‟enunciato “rispecchiando”;
(c) trasformare quello che era originariamente un enunciato assertivo in una
specialissima forma di domanda, modificando dell‟enunciato-target il solo aspetto
illocutivo o performativo, cosicché la nuova formulazione contenga ora qualche elemento lessicale, sintattico o sovrasegmentale che segnali la richiesta implicita di dichiarare se la riformulazione sia corretta o invece richieda rettifiche o completamenti.
Si è potuta delineare la seguente definizione di rispecchiamento in termini di teoria degli atti linguistici (Searle, 1969) sulla base di numerose osservazioni fatte nel corso delle applicazioni di questa forma di “interrogazione” a svariati contesti comunicativi: una combinazione di tre aspetti fondamentali consente a questo tipo peculiare di atto linguistico di garantire il massimo di rassicurazione potenziale all‟interlocutore, e da questa peculiare potenzialità può dedursi la previsione dell‟aspetto perlocutivo dell‟atto stesso, che consiste nel fatto che l‟interlocutore “risponde” al rispecchiamento con la prosecuzione del discorso e con quella eventuale aggiunta di informazioni che comunemente si persegue con l‟atto illocutivo della domanda diretta, concepita e pianificata dall‟ interrogatore stesso. La combinazione di cui si diceva è tra, 1), l‟aspetto locutivo o proposizionale di quest‟atto, relativo, cioè, alla parafrasi di qualche enunciato