• Non ci sono risultati.

La capacità di lettura della mente può essere divisa in due categorie: detecting, che è la capacità di attribuire stati mentali nell‟immediato; e reasoning, che è la capacità di usare informazioni in base ad inferenze sugli stati mentali di un individuo

129

passati o futuri, sul suo comportamento e, più in generale, sull‟ambiente in cui quello vive. Come detto, sulla base dei loro studii, Nichols e Stich sono giunti ad ipotizzare che la capacità di comprendere le altre menti possa non essere associata alla capacità di intrattenere pensieri rivolti a sé: i processi inferenziali di lettura della “nostra” mente (mindreading first-person) sarebbero paralleli a quelli di lettura delle menti altrui (mindreading third-person), quindi si darebbero due distinti meccanismi della lettura della mente: uno rivolto alla produzione di inferenze sugli altrui stati mentali, e l‟altro – come già visto –, definito Monitoring Mechanism, che è, invece, un sistema di “scoperta” di stati mentali, non di produzione di inferenze in base ad essi. È plausibile, inoltre, ipotizzare una descrizione delle facoltà autocoscienti partendo dal presupposto che “the mind comes pre-packaged whith a set of specialpurpose

mechanism for reading one‟s own mind” (Nichols & Stich, 2003, p. 199).

La nostra psicologia ingenua deriverebb,e secondo i sostenitori della Teoria della simulazione, dalla capacità di ragionamento pratico, cioè dall‟attitudine a pianificazione dell‟azione ed in particolare della capacità di immedesimarci nella situazione altrui, simulandone il comportamento. Mettendoci “nei panni degli altri” possiamo prevedere il comportamento o spiegare le azioni altrui (Paternoster, 2002). La simulazione di un comportamento è ottimale quando possiamo porci nella stessa situazione percettiva del soggetto osservato: se, ad esempio, dobbiamo spiegarci il significato dell‟espressione di terrore sul volto di un nostro amico che, insieme a noi, sta nuotando tranquillamente in mare, ci comportiamo guardando nella direzione del suo sguardo, che ha già visto la colonia di meduse davanti a noi, e attraverso un meccanismo di simulazione siamo presi anche noi dal panico nel vedere quello “spettacolo urticante”.

In linea di principio, la simulazione non dovrebbe essere guidata da nessuna teoria, se è vero che tutti gli esseri umani ragionano allo stesso modo e, quindi, che tutte le persone tendono ad adottare lo stesso genere di decisione pratica in situazioni analoghe: il ragionamento intenzionale non richiederebbe conoscenze psicologiche specifiche, bensì solo una certa quantità di conoscenze di tipo generico associate alla capacità di vestire i panni di un altro, una propensione facilmente spiegabile alla luce della somiglianze tra le esperienze umane, giacché è facile immaginare quello che pensa o che farà qualcuno in una certa situazione, se anche noi abbiamo vissuto prima quella circostanza, oppure se, più semplicemente, abbiamo già acquisito i meccanismi cognitivi o neurali che ci consentono di prendere coscienza di cosa faremmo, se ci trovassimo in una data situazione.

Esistono due versioni della Teoria della simulazione: quella “moderata” di Alvin Goldman (1993) e di Harris (1996) ed il cosiddetto “simulazionismo radicale” di Gordon (1996).

Il processo interpretativo che mettiamo in atto quando vogliamo comprendere il comportamento di qualcuno oppure quando determinare quale stato mentale possa

130

aver determinato una certa reazione, si sviluppa secondo i teorici della simulazione moderata in quattro atti specifici: a. osserviamo (o immaginiamo di osservare) la persona nell‟ambiente in cui si trova; b. adottiamo il suo punto di vista; c. in base a questa prospettiva, “osserviamo dentro noi stessi” ciò che potrebbe accadere, se fossimo noi al posto di quella persona; d. infine, attribuiamo all‟altra persona il risultato di questa nostra riflessione personale.

Goldman, che è del parere che la conoscenza dei nostri stati mentali proceda per via introspettiva difende – come detto – l‟autonomia della Teoria della simulazione moderata, in quanto ritiene che essa sia alla base delle nostre capacità psicologiche ingenue. La conoscenza della mente altrui, secondo l‟autore, è una conoscenza di carattere qualitativo e proveniente da un accesso introspettivo e privilegiato ai nostri stessi stati interni, perché avrebbe natura non teorica e verrebbe espressa in prima persona, dunque, secondo questa prospettiva uno stato mentale è definito dalle sue stesse proprietà intrinseche e qualitative, il che vale tanto per gli stati come il dolore quanto per gli atteggiamenti proposizionali: l‟autoattribuzione di uno stato qualsiasi avviene quando va a buon fine l‟associazione tra la percezione di sé in un determinato istante e una rappresentazione categoriale, entrambi qualitativamente determinati, e quando tale processo (che in gergo viene definito matching) viene conservato nella memoria a lungo temine.

Nell‟approccio teorico di Goldman al simulazionismo s‟intravvede un riferimento alla tradizione ermeneutica ed in particolare all‟idea che la conoscenza dell‟altro si realizzi con un atto di comprensione empatica o Einfühlung (Goldman, 1993; Gordon, 1996): l‟interpretazione psicologica non si formula in virtù di un sapere strutturato in leggi causali (come nelle scienze della natura), bensì è fondata sull‟empatia. Tuttavia, se ciò che i teorici del simulazionismo ricercano è sostanzialmente una spiegazione causale, cioè sono interessati all‟individuazione delle architetture cognitive che permettono di spiegare in modo causale la nostra capacità di leggere la mente (la nostra e quella degli altri), è anche vero, però, che esistono sostanziali differenze tra l‟ermeneutica e le Teorie della simulazione.

La teoria dello sviluppo ontogenetico della psicologia ingenua di Harris, tra quelle che appartengono al “simulazionismo moderato”, si basa proprio su questa connessione (anche se vedremo che l‟autore parlerà più di differenziazione) tra simulazione ed empatia. L‟attenzione di Paul Harris (1996) si concentra prevalentemente sullo sviluppo della psicologia ingenua. Lo studioso reputa che cruciale la simulazione solo nel primo periodo dello sviluppo ontogenetico, quando cioè i bambini imparano ad interpretare i comportamenti ed è anche in base a questa esperienza che sono in grado di costruire in forma di leggi delle generalizzazioni.

Grande è l‟importanza che l‟approccio di Harris riconosce alle emozioni: grazie alla capacità che i bambini possiedono di intrattenere relazioni emotive con gli altri, essi acquistano un‟adeguata capacità imitativa. Secondo questa prospettiva, il

131

bambino, rafforzerebbe le sue capacità imitative attraverso l‟intrattenimento di relazioni emotive, fin quando, intorno ai 4 anni di età, diventa capace di attribuire atteggiamenti preposizionali, ma Harris opera una netta distinzione tra simulazione ed empatia, quantunque la simulazione sia collegata alla dimensione emotiva, poiché ravvisa distinti processi: quando, attraverso la simulazione, siamo in grado di riconoscere uno stato emotivo, semplicemente lo attribuiamo agli altri, senza doverne per forza esserne “contagiati”. La posizione di Harris, alla luce dei dati sui neuroni

mirror, non può essere accettata, quanto meno non completamente, poiché, come

hanno mostrato i lavori di Marco Iacoboni e colleghi (1999; 2005), il meccanismo- specchio presente a livello dell‟insula, che permette di rappresentare, al livello neurale, le emozioni provate da un altro individuo, procurandoci tra l‟altro un forte coinvolgimento empatico, ribaltano la tesi di Harris della separazione tra il dominio della simulazione e quello dell‟empatia (vedi anche Gallese, 2003; Singer e colleghi, 2005), ma Harris ritiene di poter argomentare affermando che il livello simulativi necessariamente deve essere svincolato dall‟emotivo: i bambini cominciano precocemente, già verso la fine del secondo anno d‟età, ad intervenire attivamente per modificare lo stato emotivo di una persona (ad esempio, consolano la mamma o fanno dispetti ai fratelli maggiori); se provassero la stessa emozione, continua Harris, sarebbero praticamente paralizzati da quella.

Quattro sono le tappe, le quali corrispondono diversi livelli di simulazione in cui si articolerebbe secondo Harris lo sviluppo della psicologia ingenua. La prima tappa è raggiunta verso la fine del primo anno di vita: il bambino (che è già capace fin dalla nascita di provare emozioni) è il centro dell‟attenzione emotiva e impara, altresì, ad esprimere la stessa emozione che legge negli altri. A questo livello di sviluppo corrisponde la capacità di simulazione elementare, data dal fatto che il bambino è capace di elaborare gli stati percettivi dell‟altra persona, senza però essere in grado di distinguere tra l‟emozione simulata e quella che lui stesso prova.

Durante il secondo anno di vita, il bambino raggiunge la seconda tappa di sviluppo: egli è ora capace di attirare l‟attenzione su qualcosa ed ha gli strumenti cognitivi per modificare l‟emozione di qualcun altro.

Comincia, tra l‟altro, ad indicare il centro d‟attenzione da lui scelto attraverso l‟uso del pointing dichiarativo e a comportarsi in modo da cambiare, come abbiamo appena detto, lo stato emotivo altrui. Invece, la simulazione, corrispondente a questa seconda tappa dello sviluppo della psicologia ingenua nel bambino, non dirige e non determina il suo comportamento in modo altrettanto forte, poiché infatti il bambino comincia, infatti, ad attribuire all‟altra persona il risultato della simulazione.

Il terzo stadio di sviluppo, che corrisponde al terzo anno di vita, segna il momento in cui il piccolo capisce che lo stato mentale in cui si trova un individuo può essere diverso dal suo: gli altri possono percepire qualcosa che lui non vede e, di conseguenza, avere nei confronti di quell‟oggetto uno stato mentale diverso dal suo.

132

Però a quest‟età il bambino ancora non riesce a comprendere che le persone possono avere atteggiamenti diversi rispetto alla stessa situazione: questo livello di comprensione si realizzerà solo alla fine del quarto anno, quando il bambino è in grado di superare il Test delle false credenze.

Giunto alla terza tappa di sviluppo, il bambino è pertanto capace di prendere decisioni sulla base di situazioni immaginarie: può, ad esempio, pensare che l‟altra persona, vedendo qualcosa che a lui comunque è nascosta, prenda la decisione che egli stesso, attraverso la simulazione, ha preso. Tuttavia solo intorno ai 4 anni egli potrà cominciare a considerare le situazioni controfattuali: imparerà, infatti, a immaginare situazioni sempre più lontane dalla realtà e sarà ora pienamente cosciente del fatto che atteggiamenti diversi e/o contrari ai suoi possono essere reazioni altrettanto legittime delle sue al medesimo stato di cose.

Robert Gordon (1996), con la sua visione radicale, intende superare le difficoltà del “simulazionismo moderato”, in particolare negando ogni forma di concettualizzazione degli stati mentali, anche quelli in prima persona, ed escludendo quindi anche l‟intervento, durante la simulazione psicologica, di meccanismi introspettivi. Egli parte dalla considerazione che per interpretare il comportamento altrui si cambia, nella realtà e/o nell‟immaginazione, il proprio punto di vista e che tale mutamento – anche se immaginario – non è mentale ma fisico. Come nel caso delle teorie “moderate”, il meccanismo di presa delle decisioni si trova nella modalità

off-line (Goldman, 1993; Gallese e Goldman, 1998). Dove si colloca il punto di

distacco dal resto delle Teorie della simulazione di stampo moderato? Quando si adotta un atteggiamento di simulazione – secondo Gordon – si perde la propria identità, si diviene “altro da sé”, si diventa l‟altro, nonché solo fingere di essere l‟altra persona, cosicché il riferimento del pronome “io” cambia, perdendo quella sua peculiare caratteristica di riferirsi all‟utilizzatore. Cambiando, infatti, identità possiamo dimenticare la nostra esistenza ed adottare direttamente la decisione altrui.

I concetti intenzionali (anche nel caso in cui questi vengano usati per attribuire stati mentali e non solo per predire il comportamento) sono inoltre rigorosamente evitati da Gordon, il quale preferisce piuttosto parlare di “strategia ascendente”, cioè di un processo che permetterebbe di rispondere ad una domanda su uno stato mentale con un‟altra domanda di livello semantico inferiore, che non faccia però riferimento all‟oggetto in questione e che sia privo di concetti intenzionali (livello oggetto); solo il metalivello contiene quella tipologia di concetti che, in questo caso, sono di primo ordine, sebbene nella realtà essi siano utilizzati per riferirsi ad un livello superiore, prettamente metarappresentativo.

Quella di Gordon è una tesi “radicale” in quanto supera il tipico argomento eliminativista che sostiene, fondamentalmente, l‟esistenza della Teoria della Mente, anche se essa è radicalmente falsa; e quindi la sua teoria si segnala nel modo in cui

133

sostiene l‟inesistenza della Teoria della Mente, andando oltre sia il realismo sia,come detto, l‟eliminativismo.

La capacità di simulare gli altri è fortemente collegata a quella di imitarli nei loro gesti e comportamenti. Già il bambino molto piccolo mostra questa naturale e innata propensione all‟imitazione delle espressioni facciali (Meltzoff, 1999). Precisamente a partire dalla constatazione implicita delle somiglianze fisiche il bambino comincia a comprendere che non solo il corpo, ma anche le menti sono simili e che, conseguentemente, tutti gli individui possiedono stati interni e schemi di ragionamento dello stesso tipo. Si è detto, inoltre, di come l‟imitazione costituisca un elemento importante nel gioco di finzione ed intervenga presumibilmente tanto nella determinazione e nel ragionamento sul contenuto degli stati mentali quanto nella costruzione di complesse metarappresentazioni.

Nell‟immaginare di “vestire i panni” di un altro in una certa situazione, spesso affiorano alla memoria esperienze vissute in simili frangenti, ma poi, ancor più di frequente, tali esperienze si caratterizzano per “qualità” o caratteristiche, che, aggiungendosi al nostro sistema valutativo di circostanze, motivi e reazioni, arricchiscono il ragionamento intenzionale consentendo quindi di fare previsioni e abbozzare spiegazioni sempre più accurate dell‟altrui condotta. Il meccanismo di simulazione lavora off line (Goldman, 1993) nei ai quali si applica: il sistema elabora anche rappresentazioni di tipo differente, provenienti quindi da situazioni, appunto, figurate nella mente invece che dall‟osservazione diretta della realtà; un siffatto meccanismo di predizione e spiegazione del comportamento, inoltre, consente nelle situazioni di pianificazione ordinaria, che le azioni subiscano una sorta di “supervisione”, la quale nondimeno non coinvolge unicamente i sistemi cerebrali di controllo delle azioni, in quanto la simulazione non viene realmente messa in atto ma serve solo a fini interpretativi; infine, un sistema di lettura delle intenzioni altrui che lavori nella modalità off line riesce, a differenza di un meccanismo con modalità on

line e proprio perché costantemente capace di distanziarsi da se stesso, a migliorare

134

Capitolo terzo

Il contesto della ricerca

Outline

Documenti correlati