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Motivazione della ricerca e interrogativi di partenza

Sempre maggiore attenzione viene rivolta all‟importanza fondamentale della componente socio-affettiva dell‟interazione comunicativa e collaborativa tra i membri del gruppo e alla figura sempre più emergente del tutor online: lo si è evidenziato nel primo capitolo, a proposito del nuovo contesto d‟apprendimento mediato dalle tecnologie dell‟informazione e della comunicazione, dove appunto quella componente emerge. La costruzione di veri e propri modelli di emozioni legate alle varie fasi d‟apprendimento, come è stato sottolineato nel cap.1.2, è uno degli effetti di maggior rilievo della crescente attenzione al possibile ruolo che in rete svolgono le prime nell‟ambito del secondo: si è osservato che è più agevole assistere il discente nel suo cammino verso la comprensione del processo formativo dopo averne identificato correttamente lo stato emotivo.

Si è già detto della necessità, da più parti riconosciuta, di restituire centralità all‟empatia. Non parrà inopportuna in questa sede una ricognizione delle definizioni e delle interpretazioni che di tale concetto sono state date storicamente.

Due sono le prospettive, radicalmente opposte, che hanno informato sinora lo studio dell‟empatia: per l‟una, essa è esperienza primariamente affettiva, mentre per l‟altra prettamente cognitiva. Ciò ha ingenerato una separazione fallace, una dicotomia riduttiva e artificiosa che, come tutte le semplificazioni di fenomeni complessi, è a ben vedere priva di senso, ed ha fatto sì che negli ultimi anni si sia cercato invece, soprattutto dai ricercatori più avvertiti, di ricomporre un quadro teorico che rendesse ragione della complessità del fenomeno, delle sue diverse modalità di espressione e quindi dei processi cognitivi ed emotivi che lo mediano. Un‟empatia che sia solo comprensione dello stato mentale dell‟altro non è tale e la persona empatica condivide e partecipa allo stato emotivo altrui: una partecipazione di questo tipo non può esaurirsi nella mera condivisione cognitiva, ma comporta quindi, con tutti i limiti epistemologici che tale nozione deve mostrare di possedere, un sentire comune; senza almeno un segno di risonanza emotiva, non vi è empatia (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998). Ma d‟altra parte, affermare che l‟esperienza emotiva di condivisione sia mediata da processi cognitivi non significa snaturare l‟identità dell‟empatia, poiché anzi conduce a ritenere questa un fenomeno non unitario né unidimensionale, un concetto che comprende molte dimensioni o livelli interconnessi (cognitivo/affettivo/sociale), per quanto

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rappresentare la complessità non debba poi equivalere a rinunciare alla massima chiarezza epistemologica possibile.

Ma se queste considerazioni, meramente teoriche, dovessero avere la psicologia cognitiva come unico campo di applicazione, se ne trarrebbe sì profitto, nel senso di una salutare discussione preliminare che possa portare ad un nuovo apparato concettuale in grado di meglio sintetizzare l‟acquisito, però non per questo ne verrebbe nuova conoscenza, a meno che poi si potesse dimostrare la validità di quelle anche sul piano empirico, il che sembrerebbe poter dirsi invece proprio da qualche anno a questa parte. Si trova infatti che, volendo tener presenti, anche solo per amore del rigore nell‟indagine, i risultati raggiunti dal filone di studi neuroscientifici, proficui sono stati i contributi all‟argomento in oggetto: le nuove prospettive offerte dalle scoperte sui neuroni specchio nell‟uomo (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006) per la prima volta offrono fondamento neuropsicologico alla capacità di comprendere le azioni altrui fornendo un quadro teorico e sperimentale unitario, entro cui è ora pensabile una prima decifrazione della compartecipazione di azioni e emozioni, presupposto di ogni esperienza intersoggettiva.

Gli studi delle neuroscienze che hanno indagato i legami tra l‟empatia e i meccanismi neurofisiologici ad essa sottostanti, identificando quelle che possono essere considerate le fondamenta anatomofisiologiche di quel tipo di sentire, rappresentano ora la nuova frontiera e paiono integrarsi molto bene col modello multifattoriale che di quel concetto è stato formulato e che prevede un approccio integrato basato sul ruolo congiunto di cognizione e affetti (Hoffman, 2001; Davis, 1984; Vreek, Van der Mark, 2003). Date queste premesse, appare con forza come uno studio scientificamente avvertito dello studio dell‟empatia non possa non tener conto di questi contributi e come quell‟atteggiamento riduttivistico che ha di fatto espulso dall‟ambito della ricerca scientifica la componente soggettiva e intersoggettiva, intenzionale e relazionale, non sia pienamente fondato. L‟ostacolo maggiore alla introduzione di idee e stili di pensiero innovativi risiede, oltre che nella obsolescenza dei metodi tradizionali, anche, ma allora con tanto maggior pericolo, nella radicatezza di alcuni pregiudizi, come quello che vuole l‟empatia possibile solo nella confidenza inaugurata dal contatto fisico, ma allora in modo tale che poi l‟attività percettiva e sensoria focalizzerebbero, come principale riferimento, solo – appunto – qualcosa di visibile e di esteriormente percepibile; nondimeno, se così fosse, il passaggio da interazioni fisiche a interazioni virtuali proprie della rete non consentirebbe l‟attivazione del processo empatico, il che contrasta in modo stridente con le osservazioni sopra riportate.

In realtà, la costanza, nell‟invio di segnali neuronali, delle relazioni biochimiche esistenti tra le zone talamiche, sottotalamiche e gli emisferi cerebrali superiori, continuamente coordinate attraverso integrazioni di quei messaggi, annullano

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qualsiasi limitazione, sia in condizione di vicinanza fisica che in rete, di quei tipi d‟interscambio al solo fenomeno empatico, che anche di quelli si sostanzia.

Ma infine quale rapporto esiste tra empatia e mutamenti tecnologici? Come nasce e come evolve l‟esperienza empatica in rete? Tali interrogativi, come noto, hanno informato il presente studio, poiché nuove sono le domande che emergono dall‟analisi del contesto della formazione online, dove il contatto interpersonale è parte costitutiva dell‟esperienza di apprendimento, e dove allora – come visto – fondamentali si rivelano essere le abilità comunicativo-relazionali dell‟e-tutor, competenze tra le più complesse e delicate, ma al tempo stesso di importanza cruciale, poiché possono arrivare a costituire il perno stesso di una buona ed efficace azione di e-tutoring (Rizzi e Tassalini, 2006; De Luca e Friendenthal, 2006; Rotta e Ranieri, 2005; Fata, 2004).

Come è possibile attivare l‟empatia nell‟e-learning? Quanto incidono le competenze comunicativo-relazionali ed emotive dell‟e-tutor nell‟attivare il processo empatico in quanto facilitatore dei rapporti sociali e come figura motivante all‟apprendimento? Quali sono le specificità linguistiche del processo empatico in rete?

Questi sono gli interrogativi che animano il campo d‟indagine di questa ricerca, mossa dalla convinzione di una reciproca fondazione e correlazione operativa tra processo empatico e processo di apprendimento in rete.

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