2.5. Le basi neurofisiologiche dell’empatia e il dibattito sulla teoria della mente
2.5.2. Imitazione ed emozion
Tuttavia non si può certo evitare di chiedersi, sulla base dei dati messi ora in campo sulle “competenze” dei neuroni-specchio, se questo sistema neuronale sia alla base dell‟imitazione. È noto come gli esseri umani siano animali sociali, che per vivere (meglio per sopravvivere) hanno fatto dell‟interazione sociale, costituita non solo da scambi fisici ma anche comunicativi, il loro punto di forza: l‟imitazione è certamente uno dei meccanismi basilari dell‟interazione sociale, se è vero che sin da piccoli, siamo “addestrati” ad imitare determinate azioni e niente ci risulta più familiare e immediato, cosicché capita spesso di imitare certi gesti, senza dover essere per forza consapevoli di come si sia in grado di far ciò, mentre solo da qualche anno ci è dato sapere che ciò si deve ai neuroni-specchio. Come sostiene Felice Cimatti (2005), “possiamo imitare l‟azione altrui perché il nostro cervello risuona, per dir così, insieme a quello della persona che stiamo osservando”. L‟interazione sociale, l‟imitazione, il metterci nei panni di… diventano gli elementi basilari delle relazioni intenzionali. Comprendiamo il significato delle azioni, delle emozioni e delle sensazioni provate da altri individui perché siamo noi stessi, in prima persona, a farne esperienza? E siamo in grado di fare ciò perché abbiamo alla base dei meccanismi nervosi comuni che sottendono tale comprensione? Sembrerebbe proprio che sia così.
È emerso ormai qualche anno fa da uno studio condotto da Marco Iacoboni e colleghi (2001) che nell‟imitazione di un‟azione, oltre all‟attivazione del solco temporale superiore destro (STS), si evidenziava anche la parte posteriore del giro frontale inferiore sinistro, cioè del polo frontale del sistema dei neuroni-specchio: questa attivazione era tanto più forte rispetto a quella riscontrata durante le presentazione di azioni motorie di tipo non imitativo. Iacoboni aggiunge che questi dati sono espressione di un chiaro e inconfutabile coinvolgimento dei neuroni- specchio, che pertanto forniscono l‟adeguato meccanismo di traduzione immediata dell‟azione osservata (Iacoboni et al., 2001), nell‟imitazione di azioni già presenti nel patrimonio dell‟osservatore.
La capacità di imitare non è in sé determinata dalla ricchezza del patrimonio motorio, né allo scopo bastano i neuroni-specchio : questi sono sistemi necessari, ma non sufficienti per imitare (Williams et al., 2001), infatti, affinché vi sia imitazione è necessario un sistema di controllo sull‟attività dei neuroni-specchio, risorsa la presenza della quale sarebbe dimostrata da parecchi dati, soprattutto di origine clinica.
Pazienti con estese lesioni al lobo frontale, ad esempio, non sono in grado di replicare le azioni compiute dagli altri individui, come i medici che li esaminano (questa condizione è definita imitation behaviour: cfr. Richell et al., 2003).
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Sembrerebbe che le lesioni al lobo frontale blocchino la trasformazione in atti imitativi delle azioni potenziali codificate dai circuiti parieto-frontali: ciò si deve probabilmente ad una inibizione esercitata sulle aree mesiali anteriori, che hanno, invece, un ruolo facilitante sul circuito parieto-frontale (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).
Gli strani casi di imitazione tipici dei neonati diverrebbero inoltre perspicui grazie alla relazione tra meccanismi-specchio e sistemi di controllo; inoltre già 40 ore dopo la nascita i neonati riescono a riprodurre alcuni dei movimenti della bocca osservato nei genitori (come protendere in fuori la lingua), sebbene non abbiano mai visto il proprio volto (Benzoni, 2004). Probabilmente – è una delle possibili interpretazioni – essi possiedano già un sistema di neuroni-specchio e che il loro sistema di controllo sia ancora troppo debole (ciò dovuto anche alla scarsa mielinizzazione e, di conseguenza, ad una scarsa funzionalità del lobo frontale).
In che rapporto stanno con le emozioni i meccanismi senso-motori che permettono di codificare oggetti, di pianificare e controllare i proprii movimenti, di riconoscere le azioni e le intenzioni altrui? In effetti, non appena io faccio esperienza di qualcosa o mi relaziono con qualcuno, non posso evitare di “colorare” quella situazione coi toni dell‟emozione. Le emozioni diventano per il nostro cervello uno strumento essenziale per orientarsi tra le diverse informazioni sensoriali e per innescare le risposte più vantaggiose, che promuovono la sopravvivenza ed il benessere del nostro organismo (cfr.Damasio, 1999), sia che si traducano in sentimenti più o meno consapevoli, sia che scuotano il nostro corpo facendoci arrossire sia che producano solo reazioni fisiologiche interne. In effetti, se è vero che gran parte delle interazioni tra uomo e l‟ambiente così come la maggior parte dei comportamenti emotivi dipende dalla capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, qual è il meccanismo che permette al cervello di leggere sul viso, nei gesti o nella postura del corpo di un altro individuo i segni del dolore, della paura o della gioia? Come è insomma possibile discriminare, ad esempio, una smorfia di dolore da una di disgusto? È probabile che, come nel caso dell‟imitazione, si attivino gli stessi centri cerebrali quando è lo stesso osservatore che prova quelle reazioni emotive? Si può parlare di “proprietà-specchio” per i circuiti neurali deputati al riconoscimento delle emozioni, già riscontrate in quelli per la comprensione delle azioni?
Il provare disgusto e percepire quello degli altri abbiano un comune substrato neurale localizzato a livello dell‟insula: è quanto emergerebbe da una serie di dati clinici ottenuti tramite brain imaging o elettrostimolazione, ma per verificare empiricamente la possibilità che quello di cui si parla sia proprio un “meccanismo- specchio”, era necessario dimostrare che fosse la stessa regione dell‟insula ad attivarsi sia quando siamo si avvertire disgusto sia quando si osserva questa affezione su un viso altrui.
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Un lavoro molto interessante è stato realizzato da Bruno Wicker e colleghi (2003), i quali hanno sottoposto alcuni volontarii ad un esperimento di fMRI, così organizzato: inizialmente, si sottoponevano i soggetti ad una esposizione di tipo olfattivo, con odori che provocavano disgusto; a questa fase ne seguiva un‟altra, questa volta con esposizione di tipo visivo (si chiedeva di osservare delle persone che annusavano inizialmente un bicchiere contenente un liquido che emanava cattivo odore, poi uno dall‟odore gradevole ed, infine, uno di odore neutro), quindi bisognava osservare le espressioni dei soggetti osservati, i quali reagivano alla percezione dei varii odori rispettivamente nei tre casi con smorfie di disgusto, di piacere o con un‟espressione neutrale. Ebbene, l‟analisi delle immagini ottenute con la fMRI ha mostrato un‟attivazione dell‟amigdala e dell‟insula: la prima si attiva sia per gli odori disgustosi sia per quelli piacevoli (con una sovrapposizione di zone nei due tipi di attivazione). Invece, la percezione di odori disgustosi attivava la regione anteriore dell‟insula destra e sinistra, mentre quelli piacevoli un sito posteriore solo dell‟insula a destra.
Circa la seconda parte dell‟esperimento, in cui la stimolazione avveniva tramite elementi visivi, solo per l‟espressione di disgusto si verificava un‟attivazione dell‟insula, ma è interessante osservare che questa attivazione coincideva, nella parte anteriore dell‟insula, con quella verificatasi quando i soggetti annusavano odori disgustosi.
Alla medesima base neurale, costituita dalla regione anteriore dell‟insula sinistra e dalla corteccia del cingolo dell‟emisfero destro, dunque, rinvierebbero l‟esperienza del disgusto e la percezione di quello degli altri. La sovrapposizione delle attivazioni cerebrali riscontrate nell‟esperimento che abbiamo proposto fanno pensare che esista davvero questo meccanismo-specchio per la comprensione degli stati emotivi: lo stimolo visivo attivava in modo automatico e selettivo le stesse aree coinvolte nella risposta emotiva di quello olfattivo, ed era per questo motivo che i soggetti potevano riconoscere immediatamente non tanto un‟espressione qualsiasi, ma quella di disgusto (Wickers et al., 2003). Simili risultanze sembrano potersi ottenere anche per le altre emozioni primarie, come mostra uno studio condotto da Tania Singer e colleghi (2004). Il paradigma sperimentale era organizzato in due momenti: 1) si procurava a dei soggetti uno shock elettrico doloroso nella mano; 2) lo stesso tipo di somministrazione dolorosa doveva giungere anche alla mano di un loro congiunto (i soggetti erano stati preventivamente avvertiti di questa procedura). In entrambe le condizioni si verificava un‟attivazione dei settori dell‟insula anteriore e della corteccia del cingolo.
Occorre fare una precisazione: l‟attivazione dell‟insula nelle risposte emotive dei soggetti esaminati e nella percezione da parte loro delle altrui non implica che il cervello, privato quella struttura sottocorticale, non sarebbe in grado di discriminare le emozioni degli altri: piuttosto, quella concorre alla condivisione delle risposte
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viscero-motorie, che sono una componente delle emozioni e, pertanto essa si rivela essere un elemento indispensabile alla comprensione partecipata delle emozioni provate da altri. Il fatto che l‟osservazione di volti di altri individui che esprimono emozione determina un‟attivazione dei neuroni-specchio della corteccia premotoria ha come conseguenza, riassumendo, l‟invio di una copia di attivazione simile a quella che quei neuroni inviano quando è lo stesso osservatore a provare una determinata emozione; inoltre, quando un soggetto esprime spontaneamente un‟emozione, sia quando la osserva su un altro si attivano aree neuronali comuni che costituirebbero il sostrato organico della comprensione delle reazioni empatiche verso gli altri (cfr. Gallese, 2003).