Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement
2.4 Le comunità digitali nel Web 2
Lo sviluppo di questo nuovo sistema nervoso dell’interazione umana, reso possibile dall'aumento delle capacità comunicative abilitate dai media digitali e formato da una serie enormemente estesa di contatti, reti e relazioni sociali, ha dato vita ad un’inedita forma di trasmissione di contenuti e flussi di informazioni, seppur con perduranti forme di diseguaglianze digitali (Bentivegna, 2009).
L'evidenza e rilevanza sociale della colonizzazione degli spazi virtuali da parte dei protagonisti del cyberspazio si palesa, in particolar modo, prendendo in considerazione quei gruppi che vengono comunemente denominati comunità virtuali, che, come vedremo in seguito, sono tutt'altro che virtuali. Analizzando il concetto di comunità che ha attraversato diversi periodi storici112, si può osservare come questa sia stata in qualche modo influenzata dallo sviluppo delle ICT (Information and Communication Technologies), e come le comunità stesse, attraverso un meccanismo di retroazione, abbiano a loro volta condizionato la stessa evoluzione delle ICT, in funzione delle capacità creative messe in gioco dai membri di tali comunità.
Abbiamo visto in precedenza come la società di massa tipica del XX secolo è stata lentamente sostituita dalla società delle reti: paradigmatico da questo punto di vista è l'emergere delle comunità virtuali, costituite da persone che si muovono in reti sociali di larga scala, che affiancano quelle “tradizionali”, sempre più diradate, basate sull’appartenenza ad un abitato o ascrivibili al proprio lavoro, ovvero su legami fondati sulla compresenza fisica dei membri (van Dijk 2002). All’interno della comunità canoniche la comunicazione dei media, fondamentale per formare l'opinione pubblica e orientare il proprio posizionamento rispetto a valori e norme, avviene secondo logiche interpersonali e l’interazione maggiormente usata è quella faccia a faccia.
I media digitali, di fatto, hanno inciso profondamente sui concetti e sulla percezione di tempo e spazio: le distanze tra gli individui si sono notevolmente ridotte, le comunicazioni (attraverso gli strumenti della rete quali chat, messaggeria istantanea, ecc.) possono avvenire in tempo reali o essere asincrone.
L'apparire sulla scena sociale di nuovi media ha da sempre implicato l'opportunità di conferire nuova linfa vitale alla comunità attraverso varie forme mediate di comunicazione, seppure parallelamente si palesano aspetti critici al riguardo. L'esordio di Internet, in particolare, è stato accolto dagli scienziati sociali sia con favore rispetto agli eventuali effetti benefici sulle comunità, vedendo nella Rete la possibilità di rianimarle, sia, invece, con approccio critico, enfatizzando gli aspetti disgreganti delle reti telematiche sulle comunità; si è trattato, nel primo caso, di una posizione “cyber-ottimistica” che ha visto in questa nuova tecnologia di comunicazione lo strumento per sradicare le diseguaglianze e i mali dalla società, per migliorare l'educazione, per coinvolgere attivamente i cittadini e, non ultimo, per ridare slancio al commercio sotto la spinta di una “new economy” (Degli Esposti, 2017).
Le varie forme di comunità virtuali nate durante gli anni '80 e '90 hanno ridato vigore al dibattito sulla (ri)definizione del significato di comunità, il cui concetto diviene centrale negli studi attuali su Internet, tanto quante lo era nei primi anni della sociologia. La differenza maggiore sembra essere nel dirottamento dell'enfasi dal luogo geografico al sentimento o al senso di collettività.
Una prospettiva di studio delle comunità che ha preso piede sin dagli anni '90 è quella che si concentra sui legami sociali secondo una prospettiva riconducibile all'Analisi delle Reti Sociali (in inglese SNA, Social Network Analysis). L’analisi delle reti sociali è un approccio sia teorico che metodologico che si occupa dello studio delle reti sociali, caratterizzata in primis dall'assunto per cui la società può essere considerata come una trama intricata di relazioni sociali variamente strutturate che costituiscono il focus centrale dell’analisi; ogni fenomeno sociale può, dunque, essere letto in termini relazionali e strutturali: la condizione è che la struttura del fenomeno possa essere espressa in termini di attori sociali (nodi) e di interconnessioni (legami) di varia natura tra quegli stessi attori. In secondo luogo si tratta di una prospettiva fondata metodologicamente e tecnicamente.
112 Per una trattazione esaustiva del concetto di comunità e del rapporto storico con i media cfr. Tönnies, 1957; Durkheim,
1962; Park 1922, Weber, 1962; Merton, 1949; Janowitz, 1952; Parsons, 1967; Licklider e Taylor, 1968; Bell e Newby, 1972, p. 24; Denis e Rivers, 1974; Lewis, 1976, p. 61; Newby, 1980, p. 15; Stamm, 1985; Levy, 1996; Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997; Gallino, 2000, p. 144-145; Plessner 2001.
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Wellman è tra quegli studiosi che si concentra particolarmente sulle comunità virtuali, in particolar modo nello studio di quella che chiama la "questione comunità” (1999), dove spiega le caratteristiche e il valore dell'analisi dei reticoli sociali. L'approccio di rete, secondo il direttore del NetLab di Toronto, permette di eludere i punti di vista individuali nella ricerca, e si focalizza, invece, sulle relazioni tra i nodi e le unità di una rete. Questo criterio fornisce l'opportunità di considerare caratteristiche quali la densità e la “strettezza” delle relazioni, il grado di eterogeneità tra le unità all'interno di una rete e l'impatto che le connessioni e le posizioni interne alla rete possono avere sull'azione individuale o collettiva.
Rheingold grazie alla sua esperienza nella prima comunità virtuale “The WELL (Whole Earth ELectronic Link)”, propone una definizione di comunità virtuali: «[...] sono raggruppamenti sociali che emergono dalla rete quando un certo numero di persone porta avanti delle discussioni pubbliche sufficientemente a lungo, con un certo livello di emozioni umane, tanto da formare dei reticoli di relazioni sociali personali nel cyberspazio»(1993). Secondo Rheingold l’interazione sociale che avviene attraverso la Computer Mediated Communication (CMC) è, quindi, un’interazione “reale”. Il sociologo americano individua tre fattori che favoriscono la coesione sociale nelle comunità digitali:
1. il capitale sociale di rete, cioè la capacità di essere accolti anche in spazi virtuali mai conosciuti; 2. il capitale delle conoscenze, cioè il patrimonio delle competenze, abilità e saperi che gli appartenenti a questi tipi di gruppi mettono in comune;
3. la comunione sociale, cioè il senso di vicinanza e di condivisione che si prova in questi luoghi telematici.
Il concetto di comunità che emerge dall'analisi di Rheingold è mutato poiché si osserva una deterritorializzazione, ossia una progressiva e generalizzata perdita di rilevanza della localizzazione, sia per ciò che concerne le attività sia per quanto attiene alle relazioni umane. Pertanto, al territorio fisico si contrappone un’appartenenza territoriale diversa, virtuale, il cosiddetto cyberspazio, un territorio esperienziale, costituito dalla presenza ed interazione della rete.
Tuttavia, è lo stesso Rheingold a sottolineare gli aspetti critici delle comunità virtuali, quando ad esempio ipotizza: «frammentazione, gerarchizzazione, rigidità dei confini sociali e colonie di nicchia di persone che condividono intolleranze potrebbero in futuro prevalere» (1993b, p. 207).
Anne Beamish (1995) definisce le comunità virtuali gruppi di persone caratterizzati da: 1. un mezzo di comunicazione mediato elettronicamente condiviso da tutti gli attori; 2. informazione comunitaria;
3. discussioni su alcuni temi che interessano tutti i partecipanti; 4. irrilevanza della località geografica in cui la persona si trova.
Pierre Levy afferma che queste nuove aggregazioni sociali favoriscono l'“intelligenza collettiva”, affermando che «il collettivo intelligente non è più il soggetto chiuso, ciclico della terra, identificato dai legami di sangue o dalla trasmissione dei racconti. È un soggetto aperto ad altri membri, ad altri collettivi, a nuove conoscenze, un soggetto che non smette di comporsi e scomporsi, di errare nello Spazio del Saper» (2002).
Granovetter (1998) chiama legami deboli le tipologie di interazione che non fanno capo né a vincoli affettivi né a relazioni familiari, ma che si sviluppano all’interno di luoghi in cui gli attori si trovano in un determinato momento, ovvero in sfere di vita solitamente semplici da abbandonare o da condividere. Nella sua analisi ribadisce l’importanza della costruzione di una fitta rete di questa tipologia di legami, al fine di completare e dare opportunità di ampliare la propria rete sociale: proprio questi vincoli sono quelli che meglio sembrano adattarsi alla sfera della comunità virtuali.
Jones rileva degli elementi caratteristici delle comunità in rete e delle dimensioni che accomunano le proposte di diversi autori (Jones 1998; Smith e Kollock 1999; Wellman e Gulia, 1999): sono abitualmente composte da persone coerenti e stabili (di solito con nomi e pseudonimi che cambiano di rado), relazioni interpersonali condotte su diversi livelli (conferenze pubbliche, e-mail private, etc.), condivisione di un linguaggio, sviluppo di un sistema di norme e ruoli, esecuzione di rituali più o meno complessi che delimitano i confini della comunità. Questi connotati differenziano una vera e propria comunità online da una semplice occasione di socialità mediata dal computer. Le “nuove forme” di comunità virtuali sono definite da Stone (1991, p. 85) come: «spazi sociali in cui le persone si incontrano ancora faccia a faccia, ma con nuove definizioni di “incontrare” e di “faccia” [...] le comunità virtuali sono punti di passaggio per collezioni di convinzioni e pratiche comuni che hanno unito le persone che erano fisicamente separate» (citato in Jones, 1995b, p. 19). Diversamente da precedenti descrizioni della comunità, Fernback ne sottolinea la natura dinamica: «man mano che una società evolve, il concetto di comunità evolve in concomitanza» (Fernback, 1997).
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Tra i principali tratti problematici e maggiormente caratteristici che le comunità virtuali possono assumere secondo Femback e Thompson (1995b), vi è la fluidità associativa che gli individui possono avere rispetto alle suddette comunità. Gli individui possono rapidamente diventare attivi e assumere ruoli rilevanti, e altrettanto velocemente sparire del tutto: «Lasciare una comunità virtuale può essere facile quanto cambiare canale della televisione». Tale fluidità può impattare, secondo i due studiosi, sulla stabilità delle comunità virtuali, con un'intensità maggiore di quella che può interessare una comunità della “vita reale”, andando a contribuire al «panorama già frammentato della sfera pubblica». Sulla accentuata permeabilità in ingresso e in uscita dalle comunità virtuali riflette anche Paccagnella (2010): «nonostante sia estremamente semplice farlo, entrare ed uscire da una comunità online a volte richiede forti investimenti emotivi, sono emozioni decisamente reali ed intense quando si abbandona una comunità virtuale in seguito a dissapori, e nonostante, per l’appunto, occorrano solo pochi click del mouse».
Van Dijk (1999) esamina le comunità virtuali chiedendosi se queste possono, in qualche modo, controbilanciare il senso generale di perdita di comunità che predomina nella società, presentando una definizione operativa di comunità virtuali analoga ad altre enunciate in precedenza, ma sottolineando che esse «sono comunità che non sono legate a un particolare luogo o tempo, ma che comunque perseguono interessi in realtà sociali, culturali e mentali, spaziando da interessi o attività di tipo generale fino a quelli speciali» (1999, p. 40). Van Dijk, inoltre, identifica quattro caratteristiche che secondo lui sono comuni a tutte le comunità: l'avere dei membri, un’organizzazione sociale, un linguaggio e degli schemi di interazione, una cultura e un'identità comuni. Tali caratteristiche sono poi funzionali al confronto delle comunità virtuali con quelle che definisce comunità “organiche”. Tale analisi conduce a una classificazione di tipi ideali, secondo cui le comunità virtuali sono descritte come quelle relazioni relativamente libere, disinteressate a considerazioni di tempo e luogo, che contengono una “paralingua” ben sviluppata e che hanno una composizione pluralistica ed eterogenea. Gli studi e le analisi inducono van Dijk a pensare che le comunità virtuali non possono sostituire le comunità organiche ma, tutt'al più, possono integrarle, in quanto le culture e le identità che le contraddistinguono sono «troppo parziali, eterogenee e fluide per creare un forte senso di fratellanza e di appartenenza» (1999, p. 59).
Baym (1998, 2002) quasi simultaneamente mette a punto un modello teorico di comunità online, capitalizzando gli studi che aveva effettuato sui newsgroup di Usenet113. La ricercatrice americana si concentra sui fattori che inducono le comunità online a manifestarsi e svilupparsi, cercando di capire cosa accade durante il processo dell'essere online che spinge i partecipanti a cimentarsi in questa forma di socialità ascrivibile alle comunità. Baym elabora quello che definisce un “modello emergente di comunità online” (1998, p. 38), sostenendo che sono cinque, in particolare, le caratteristiche preesistenti che condizionano il carattere di una comunità online: il contesto esterno, la struttura temporale, l'infrastruttura del sistema, gli scopi del gruppo e le caratteristiche dei partecipanti. Queste caratteristiche, a loro volta, influiscono sullo sviluppo delle comunità online per quanto riguarda «le forme di espressione, di identità, di relazione e di convenzione normativa specifiche del gruppo» (1998, p. 38).
Komito in un'interessante analisi dei diversi tipi di comunità, sostiene che queste sono aggregati di individui, l'appartenenza al gruppo è temporanea e volontaria, gli spostamenti delle persone e i gruppi sono ridefiniti in base a fattori “ecologici” o personali e tipicamente si tratta di comunità egualitarie (1998, pp. 104-5).
Non tutte le aggregazioni in rete sono comunità virtuali: lo sono solo quelle che hanno compiuto una precisa scelta comunitaria, impostando l’interazione sociale in analogia con le comunità reali, sulla definizione degli spazi, degli ambienti, delle modalità organizzative dell’interazione e del modo in cui sono possibili le influenze reciproche di tutti questi elementi (Giuliano, 2002).
Il fatto di condividere un interesse comune rafforza il senso di comunità, a volte in maniera così profonda che la comunità online si chiude su se stessa, i membri trascurano le interazioni face to face con membri della più vasta società (Fernback e Thompson, 1995): l’estrema apertura di relazioni, profetizzata da Rheingold, si trasforma in chiusura.
L’avere un argomento topico condiviso, in ogni caso, sembra agevolare l'allontanamento della sensazione di estraneità al momento dell’entrata in un nuovo gruppo, e, per quanto riguarda le comunità che offrono servizi tangibili, a far ritornare con più facilità l’utente. Kollock e Smith (1999) sottolineano
113 Usenet è una rete mondiale formata da migliaia di server tra loro interconnessi, ognuno dei quali raccoglie gli articoli (o
news, o messaggi, o post) che le persone aventi accesso alla rete inviano in una data gerarchia, in un archivio ad accesso pubblico, organizzato in gerarchie tematiche che contengono vari thread sullo stesso tema (topic).
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che i gruppi online possono essere importanti per approvvigionarsi di forme di consulenza e di informazioni. Adattando a Internet la “teoria dello scambio sociale” (Ekeh, 1974; Roloff, 1981), Kollock sostiene che le caratteristiche dell'interazione online (in particolare il fatto che informazioni e consigli vengono dati a persone sconosciute che si potrebbero non incontrare mai e da cui non ci si può aspettare una risposta immediata) cambia i costi e i benefici dell'azione sociale, al punto che persino la risposta a una singola persona diventa un bene comune. In aggiunta al potenziale di tali offerte per incrementare il proprio status all'interno di un gruppo, Kollock e Smith (1999) individuano le motivazioni a contribuire a questo ambiente nell'anticipazione di una futura reciprocità e nel senso di utilità che può derivare dal fatto di essere stati in grado di aiutare il prossimo.
Wellman e Gulia (1999) sostengono che c'è qualcosa di caratteristico riguardo all'offerta di supporto, di informazioni, di affiliazione e di senso di appartenenza a un gruppo di persone che quasi non si conoscono e che si possono definire comunità. I due studiosi, inoltre, affermano che, considerata la sovrapposizione tra contatti online e offline, il dibattito sulla capacità della Rete di supportare o di ostacolare la formazione di comunità perde consistenza. Wellman, nello specifico, asserisce che «i legami della comunità sono già geograficamente dispersi, sparsamente uniti, specializzati nel contenuto, ed estremamente legati a sistemi di telecomunicazione (telefono e fax). Benché le comunità virtuali possano acuire ulteriormente tali tendenze, esse offrono un sostegno negli incontri di persona tra i membri della comunità» (1997b, p. 198).
Secondo Wellman, Boase e Chen (2002) le comunità hanno cominciato a trasformarsi da gruppi a reti ben prima dell'avvento di Internet. In principio era diffuso il pensiero che l'industrializzazione e la burocratizzazione avrebbero dissolto i gruppi della comunità lasciandoli isolati, atomizzati come individui alienati. Successivamente gli studiosi hanno scoperto che le comunità hanno continuato ad esistere sotto forma di maglie, reticoli sociali spazialmente dispersi piuttosto che in termini di reti spazialmente dense e simili a quelle riconducibili a gruppi locali afferenti a villaggi e piccole realtà urbane.
Sintetizzando, le riflessioni sugli effetti di Internet sulle comunità sono riconducibili essenzialmente a tre filoni:
Internet indebolisce le comunità: la natura immergente di Internet può essere così convincente che gli utenti di Internet trascurano i loro familiari, amici, parenti e vicini (Kraut et al 1998;. Nie, Erbring e Hillygus 2002)
Internet migliora le comunità: le persone per lo più utilizzano Internet per mantenere i contatti con i membri delle comunità esistenti, sia con l'aggiunta di contatti Internet al telefono e ai faccia a faccia, o spostando i loro mezzi di comunicazione su Internet (Wellman e Quan-Haase 2002).
Internet trasforma le comunità: la connettività di Internet consente alle persone di collegarsi e sviluppare comunità remote di interesse comune, a volte a scapito dei contatti locali (Barlow, 1995; Wellman 2001b).
Con l'affermarsi dei SNS lo studio delle comunità virtuali ha ripreso slancio. Dal punto di vista sociologico, in particolare, il dibattito si è focalizzato intorno agli esiti e alle prospettive delle relazioni che nascono e si sviluppano all’interno delle comunità virtuali stesse, perseverando nell'aspetto dicotomico degli approcci all'analisi: da un lato si tende ad evidenziare gli aspetti positivi ed i vantaggi che possono derivare agli individui dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dalla costituzione di queste comunità; dall’altro, invece, lo sviluppo delle comunità online viene interpretato come un sintomo e una causa della decadenza del senso stesso di appartenenza ad una comunità reale e come un incremento del senso di solitudine sociale. Una terza posizione riprende il concetto di complementarietà tra comunità offline e online, all'interno di un sistema di relazioni in cui lo scambio “reale” sembra vivere una crisi profonda, ed in cui lo scambio “virtuale” funziona non solo da supporto ma assai di frequente da alternativa positiva allo scambio reale, in cui talora e non di rado si tramuta (Bonifati 2012).
Bauman ritiene che la società contemporanea sia basata sull’individualismo e su rapporti flessibili e leggeri, all’interno dei quali l’individuo, nonostante tutto e seppur in grado di esercitare le sue libertà, si sente insicuro, poiché secondo l’autore ciò che realmente manca è la comunità (2003). L’insicurezza, per Bauman, è il termine centrale dal quale far partire la domanda circa le cause di questo rinnovato desiderio di “comunità”. L’insicurezza è infatti l’altra faccia della rapidità, della competitività, della flessibilità che la società contemporanea cerca con insistenza. Secondo Bauman il desiderio di comunità promette una semplificazione che conduce sulla strada di ridurre la varietà in favore dell’identicità. Ma «questo obiettivo può essere raggiunto soltanto attraverso l’espunzione delle differenze: riducendo la probabilità di incontrare e restringendo il flusso di comunicazione. Tale sorta di unità comunitaria è
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fondata sulla divisione, sulla segregazione, sul mantenere le distanze. Sono queste le virtù che spiccano con maggior enfasi nei manifesti pubblicitari dei rifugi comunitari» (Bauman, 2002, p.9).
La parola “comunità”, rinvia dunque ad un luogo “caldo”, nel quale ritrovare simili, un focolare che ci possa riparare dalla tempesta e dal vento freddo. Luogo della benevolenza e dell’aiuto, del vicino e del dono. La comunità, secondo il sociologo e filosofo polacco, è l'esatta antitesi dell'identità.
Quest’ultima significa avere un proprio specifico profilo, significa distinguersi. L’identità è un progetto della modernità. È proprio la difficoltà crescente, nel processo di creazione delle identità individuali, a generare in molti, per Bauman, la necessità di cercare delle “grucce” alle quali appendere le loro paure e ansie «e quindi a eseguire i rituali esorcistici in compagnia di altri individui afflitti dalle medesime ansie e paure» (Bauman, 2002, p. 17). La comunità, in pratica, si paga con la propria individualità.
Anche Tönnies, in “Comunità e Società” (1887), nell’invitare la comunità (gemeinschaft) a tornare dal suo esilio decretato dallo Stato-Nazione al suo formarsi, insieme ai tanti “corpi intermedi” dell’antico regime, rimpiangeva la reciproca comprensione. Quello che emerge dall'analisi di Bauman, quindi, è una collettività labile, che con il tempo ha perso ancora più la sua identità rispetto al passato, in una società caratterizzata da meccanismi in cui i rapporti sociali diventano più flessibili, parafrasando Baumann più “liquidi”. In questo meccanismo per così dire “liquido” l’individuo partecipa con una modalità individualista all’azione collettiva (Castells, 2001, Wellman, 1999).
Questa nuova forma di collettività ha conquistato un ruolo strategico nella vita dell’individuo e del gruppo sociale, al punto che la partecipazione a essa è progressivamente cresciuta negli ultimi anni fino a renderla un fenomeno sociale di massa.