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Evidenze emerse e selezione dei casi studio

Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement

2. Ricerca sul campo, attraverso la metodologia degli studi di caso: studio approfondito di 4 piattaforme particolarmente significative, selezionate al termine dell’indagine di sfondo sulla base della tipicità,

4.5 Evidenze emerse e selezione dei casi studio

Dall'analisi di sfondo sono affiorati diversi aspetti del crowdmapping utili ad inquadrare il fenomeno, a tracciarne l'orizzonte semantico ed evidenziare le categorie concettuali ed analitiche da andare ad investigare ed approfondire nel corso della ricerca empirica, riportata nel prossimo capitolo.

Innanzitutto siamo giunti ad una definizione di crowdmapping meglio delineata e circoscritta, rispetto alla letteratura di riferimento, dove, come si è visto, questo termine viene spesso utilizzato come sinonimo di VGI (Volounteered Geographic Information, Goodchild, 2007), malgrado quest'ultimo si riferisce a tutto l'universo di informazione geografica prodotta volontariamente con l'ausilio sia di piattaforme ad hoc (Google Maps, OSM, Ushahidi, etc.) o mediante quei social media che permettono il geotagging209 (Facebook, Twitter, Instagram, Flickr, etc.) o, più in generale, attraverso la combinazione di strumenti GPS e ICT.

Pur permanendo ambiguità sul significato e sulle effettive applicazioni di crowdmapping, aspetto questo che emerge forte dalle interviste ai testimoni privilegiati, siamo giunti a definire con “crowdmapping” quei progetti di mappatura in modalità crowdsourced (Howe, 2006) che prendono forma attraverso una piattaforma web, che può essere sia proprietaria che open source o una combinazione delle due, e che prevedono lo sviluppo collettivo di un progetto di mappatura da parte di

209 Il Geotagging è il processo attraverso il quale si aggiungono dei metadati per l'identificazione geografica a vai media come

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numerose persone esterne all'entità che ha ideato il progetto stesso. Le persone che collaborano lo fanno volontariamente, rispondendo ad un invito a collaborare.

Chiarito il perimetro semantico dell'oggetto del nostro lavoro, vediamo sinteticamente i risultati dell'analisi di sfondo, partendo dai dati sulla penetrazione di Internet e dei SNS e sul digital divide.

Quello che emerge è, innanzitutto, un differente tasso di diffusione e penetrazione di Internet nelle grandi regioni del mondo, mostrando con chiarezza la disparità esistente di opportunità di connessione tra le aree più industrializzate e i cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Il dato di penetrazione di Internet del 2016, sul totale della popolazione mondiale, è del 46% (nel 2015 era del 42%), dal quale si deduce immediatamente che oltre metà della popolazione mondiale è fuori dalla cosiddetta “Network Society”. Per quanto riguarda l'Italia, sebbene in base al 13° Rapporto Censis-Ucsi210 sulla comunicazione (2016), sia il 73,7% la percentuale di italiani sul web, è ancora ampio il gap tra i consumi mediatici giovanili e quelli degli anziani. Secondo ISTAT (2015), l'incremento dell'accesso alla rete è troppo basso, attestandosi sul livello della Grecia, e le differenze territoriali nell’uso di internet negli ultimi danno conto di una forbice di 12 punti percentuali tra Sud e Nord Est. Lo studio di ISTAT evidenzia che dopo l'appartenenza generazionale, fra i predittori del digital divide vi sono il titolo di studio e la condizione professionale.

In base alla ricerca ISTAT, poi, solo un terzo degli utenti italiani di Internet ha competenze digitali elevate, la maggioranza degli utenti ha invece competenze di base (36,6%) o basse (31,4%), o addirittura nessuna competenza digitale (2,5%). Per quanto riguarda il tipo di fruizione, il 71% usa Internet per fruire di contenuti culturali, il 32,1% per pubblicare sul web contenuti di propria creazione, come testi, fotografie, musica, video, software, ecc. (tra i giovani nel range anagrafico 18-24 si arriva al 50% per questo tipo di fruizione).

Per ciò che riguarda l'interazione sociale, il 56,1% ha creato un profilo utente, inviato messaggi o altro su Facebook o Twitter; l'80% dei giovani dai 15 ai 24 anni utilizza un social network e, fra questi, 7 su 10 vi partecipano quotidianamente (contro il 56,6% della media).

Il gap di competenze che può emergere nei processi “wiki” dove sono mobilitate risorse cognitive collettive per dei compiti di una certa complessità, può, tuttavia, creare una clusterizzazione in gruppi “elitari” dotati di particolari competenze, inibendo lo sviluppo di capitale sociale. È quello che accade, per esempio, quando il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale, in particolar modo nelle occasioni in cui il crowdmapping riguarda zone colpite da disastri naturali dove l'urgenza contingente necessita di tempi di risposta molto brevi.

Considerato, poi, l'ampio range di competenze digitali richieste per poter partecipare alle pratiche di crowdmapping, se ne deduce che le pratiche di crowdmapping più complesse creino delle élite che, inevitabilmente, avranno maggiore voce in capitolo nella strutturazione e gestione della piattaforma.

I testimoni privilegiati, difatti, hanno messo in evidenza l'importanza della co-progettazione con gli utenti stessi dell'architettura di alcune piattaforme, come ad esempio accade in quelle open source, che permette di arrivare a degli standard di usabilità e accessibilità piuttosto elevati che ne incrementano notevolmente le possibilità di fruizione. Spesso, infatti, sono proprio questi aspetti socio-tecnici delle piattaforme web che determinano il livello di partecipazione degli utenti.

Dalle interviste emerge, inoltre, quanto sia importante considerare le dimensioni del capitale sociale e quelle collegate ad aspetti motivazionali nel valutare il livello di digital divide che può condizionare negativamente la partecipazione al crowdmapping. A tal proposito vengono sottolineati i percorsi di accompagnamento per i neofiti organizzati da OSM, nonché l’importanza dello scambio di conoscenza nel dare vita a forme di capitale sociale. Nelle altre piattaforme questo non avviene, considerato anche il livello basic di competenze richiesto per parteciparvi.

Alcuni testimoni privilegiati ritengono che nel concetto di digital divide si combinano la dimensione del capitale culturale, sociale ed economico, in quanto chi partecipa al crowdmapping è spesso una persona con un livello di alfabetizzazione medio-alto, con un reddito economico similmente medio-alto e una rete di relazioni basate sulla fiducia reciproca.

Warschauer (2003) evidenzia come la sola dimensione dell'accesso non sia sufficiente a dar conto del rapporto degli individui con le nuove tecnologie della comunicazione; piuttosto, sono l'abilità di uso, molto più complessa di quanto si possa immaginare, e la capacità di coinvolgimento in pratiche sociali significative a determinare la natura di tale rapporto. Questi dati, difatti, dimostrano che allargando il concetto di digital divide ad altre dimensioni questo risulta tutt'altro che colmato «ciò che è davvero

210 Il rapporto 2016 si intitola “I media digitali tra élite e popolo”, a cura di Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) e UCSI

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importante riguardo alle ICT non è tanto la disponibilità di un computer e di una connessione a Internet ma, piuttosto, l'abilità da parte degli individui di usare quegli strumenti e di impegnarsi in pratiche sociali significative» (Warschauer, 2003, p. 38). Si profila, in pratica, quello che Hargittai (2002) definisce second-level digital divide: più l'accesso a Internet aumenta, maggiore importanza assumono le capacità di sfruttare le potenzialità informative, relazionali o partecipative a disposizione.

Risulta evidente, quindi, la necessità di sviluppare quelle “competenze digitali” (van Dijk, 2005, p. 73), intese come «l'insieme delle competenze necessarie per operare con il computer e la rete, cercare e selezionare informazioni presenti in essa e usare tali informazioni per raggiungere i propri obiettivi».

I dati sopra riportati certificano, inoltre, che l'età si correla negativamente all'adozione delle tecnologie, a cause delle specifiche competenze richieste dai nuovi media (Livingstone, 2010).

Continua ad esserci, inoltre, una forte correlazione tra accesso a Internet in particolare e livelli di scolarizzazione.

Le motivazioni tendono ad essere orientate da bisogni personali, come ad esempio l'auto-percezione, l'auto-stima, l'auto-realizzazione e il conseguimento dei propri obiettivi (Wagner, 1999), così come mantanere la coerenza tra il proprio credo, le proprie attitudini, sentimenti e conoscenza (Festinger, 1957). Tutti i processi contraddistinti dal DIY (Do It Yourself), fanno notare alcuni testimoni privilegiati, sono indotti da bisogni personali che, spesso, si sovrappongono a quelli della collettività. Nel caso del crowdmapping, ad esempio, lo stesso fatto di dare un'interpretazione e una propria rappresentazione del territorio, e quindi di un bene comune e di una risorsa collettiva, può rappresentare un prodromo di partecipazione civica se non politica, espressione di una “achieved citizenship” piuttosto che una “received citizenship” (Dahlgren, 2009), che passa attraverso una “civic agency”.

La sfera pubblica e quella privata anche nel crowdmapping, quindi, si incrociano e si “contaminano” vicendevolmente. L'adesione ad una comunità, fanno osservare alcuni testimoni privilegiati, può essere riconducibile all’obiettivo di massimizzare la propria utilità personale, decidendo di interagire con gli altri e di utilizzare le risorse del capitale sociale per condurre vari tipi di attività di gruppo (Glaeser, 2001).

La forma di interazione prevalente che emerge all'interno delle pratiche di crowdmapping oscilla dall'essere mediamente strutturata, come nel caso di OSM dove esistono standard e norme condivise e l'organizzazione di incontri periodici è prevista da statuto, all'essere del tutto delegata ai crowdmappers. Spesso, come viene sottolineato dai testimoni privilegiati, non vi è nessuna forma di interazione e la pratica viene svolta individualmente. Questo ci induce a fare riferimento alla riflessione teorica sul “Networked individualism”, di Castells e Wellman in particolare, la forma sociale fondata sull'idea che nelle società avanzate le persone operino come individui connessi più che come membri integrati di un gruppo. L'ancoraggio al concetto di network, come dimensione che struttura la forma sociale, impone che al centro dell'analisi sia posto il concetto di “relazione”, nella specifica accezione di legame di tipo connettivo. Individualizzazione, inoltre, non comporta isolamento o chiusura competitiva nei confronti degli altri.

L'avvento della network society, infatti, porta un diverso bilanciamento tra legami basati sull'appartenenza e la solidarietà e legami che si costruiscono all'interno di reti sociali territorialmente disperse. E le tecnologie della comunicazione intervengono in questo processo rendendo più agevole e funzionale l'accesso e la gestione dei distinti network relazionali promuovendo, allo stesso tempo, la percezione che non si dia soluzione di continuità tra le pratiche di interazione offline e quelle online.

Una conferma, quindi di quella “forza dei legami deboli” teorizzata da Granovetter (1973), questi ultimi da lui definiti “ponti sociali” non sono solo ponti verso un’altra persona, ma anche ponti cruciali verso mondi sociali lontani, che ci sarebbero altrimenti del tutto estranei. Granovetter, in pratica, afferma che la nostra organizzazione sociale è basata su una rete frammentata di piccoli cluster molto fitti, all’interno dei quali tutti i nodi sono connessi e comunicano fra loro attraverso pochissimi legami deboli.

La strutturazione e la gestione di questi legami deboli all'interno di queste comunità “liquide” di crowdmapping avviene mediante i SNS, tanto che spesso sono più folte le comunità afferenti a determinati progetti che si aggregano e si relazionano attraverso una fan page (cfr. par. 2.5) di Facebook, che quelle di mappatori che operano attraverso le piattaforme.

La voglia di creatività, di personalizzazione e di individualismo stimolata dall'architettura e dagli strumenti del Web 2.0, è l'anima di quelle pratiche di autoproduzione che hanno indotto una personalizzazione degli spazi virtuali e la (presunta) libertà degli utenti-autori, considerata la mancanza di controllo e potere sugli strumenti di creazione, ossia il codice di architettura e di sviluppo (Fuchs, 2012).