Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement
2.7 Cittadinanza e civic engagement nel Web 2
2.7.6 Media digitali, e-Government e civic hacking
Negli ultimi anni la diffusione pervasiva del web partecipativo ha rianimato il dibattito sull'e- government145, un'espressione che fa riferimento alla possibilità di destinare in parte o completamente ad una piattaforma informatica le attività di voto, di consultazione e, in genere, di partecipazione democratica che è attualmente “limitata” al mondo fisico, rendendole, eventualmente, più frequenti e con una maggiora capacità relazionale grazie, appunto, alle tecnologie dell’informazione. L'e- government potrebbe, in pratica, arricchire di un plusvalore democratico l’attività amministrativa, rendendo, inoltre, più trasparente l'attività della Pubblica Amministrazione. Se, invece, non si terrà conto dei divide e delle diseguaglianze digitali e dei fattori che ne incrementano la diffusione le varie forme di e-democracy non farebbero altro che fare da cassa di risonanza delle disuguaglianze sociali, moltiplicandone gli effetti negativi.
Esercitare forme di cittadinanza digitale significa, a tal riguardo, condividere un sistema di valori che contemplano, oltre ai canonici ideali di democrazia, trasparenza, civismo, anche un'attitudine alla condivisione e alla cooperazione che sfociano in quella che viene definita e-Participation (partecipazione attraverso i media digitali). La e-participation può agevolare la modernizzazione della politica e stimolare la coesione sociale, oltre a supportare nuove forme di relazione fra le istituzioni e i cittadini.
Si tratta, in pratica, della dimensione dell'e-Democracy relativa alla partecipazione diffusa dei cittadini ai processi decisionali, e in particolare alle decisioni, ai processi di formazione e trasformazione delle preferenze, alla definizione dell'agenda politica (De Pietro, 2011). Un'altra espressione dell'e- democracy è la online deliberation: questo termine, alquanto generico, è associabile a tutte le pratiche, ricerche e applicativi volti a favorire e promuovere la discussione informata su internet, come ad esempio: forum civici/ chat online, consultazioni, comunità di pratica, polling deliberativo, ecc. Per attuare ognuna delle diverse declinazioni dell'eDemocracy è innanzitutto necessario che siano realizzate, almeno in parte, le sue più importanti precondizioni: al livello base è innanzitutto necessario che sia garantita l'inclusione sociale (De Pietro, 2011).
Il cittadino digitale che abita questa nuova sfera pubblica, applica le sue competenze e fa leva sul suo capitale sociale per fare pressione sulle istituzioni, avvalendosi di strumenti propri, autogestiti o autofinanziati. È in virtù di questo che sono sempre più frequenti i siti di e-democracy, che offrono al “mediated citizen” (Dahlgren, 2009) una serie di servizi on line creati, progettati, gestiti e finanziati direttamente da singole persone o gruppi, non in contrapposizione ma in sostituzione o, meglio ancora, in anticipo rispetto a quanto le istituzioni pubbliche riescono a fare. Ad esempio facendo riferimento alle pratiche di crowdmapping che rappresentano il tema oggetto di questa ricerca si cita FixmyStreet146.
145 L'Amministrazione digitale, o e-government (a volte anche governo elettronico o e-gov) è il sistema di gestione digitalizzata
della pubblica amministrazione, il quale, unitamente ad azioni di cambiamento organizzativo, consente di trattare la documentazione e di gestire i procedimenti con sistemi informatici, grazie all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC), allo scopo di ottimizzare il lavoro degli enti e di offrire agli utenti (cittadini ed imprese) sia servizi più rapidi, che nuovi servizi, attraverso - ad esempio - i siti web delle amministrazioni interessate.
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Si tratta di un portale del tipo “user generated”, costruito cioè sui contenuti creati e pubblicati dagli utenti della piattaforma, ma può essere anche definito “public authority generated”.
Le pubbliche amministrazioni dei paesi del Regno Unito, ad eccezione dell'Irlanda del nord, ricevono infatti segnalazioni dai cittadini, con l'ausilio di report approntati dal portale, che riguardano questioni afferenti la manutenzione ordinaria di strade, arredo urbano, illuminazione e in base a quelle segnalazioni possono intervenire, risolvere il problema e usare la stessa piattaforma per condividere gli esiti dell’intervento dell’Amministrazione. La funzione di FixMyStreet, però, non si esaurisce nell'aggregazione delle segnalazioni su una mappa, ma contempla anche l'invio delle stesse alle pubbliche amministrazioni per conto dei cittadini e il monitoraggio della presa in carico da parte dei Comuni.
Diverse piattaforme di crowdmapping, sulla scia di FixMyStreet, consentono di offrire uno spazio a tutti i cittadini digitali con spiccato senso etico che desiderino segnalare inadempienze, disagi, anomalie nel contesto della viabilità cittadina; di agevolare, quindi, un dialogo e una cooperazione tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini che hanno le competenze culturali e sociali per esercitare la già menzionata cittadinanza digitale. Un altro aspetto di FixMyStreet (e della gran parte delle applicazioni di crowdmapping civico) è quello di permettere di sviluppare nuove varianti della applicazione originale dato che FixMyStreet mette a disposizione gratuitamente il codice sorgente; questo è riconducibile al processo di riappropriazione tecnologica nelle pratiche di consumerismo di cui si accennava nei paragrafi precedenti.
Da queste esperienze nasce il concetto del cosiddetto “civic hacking” ovvero la capacità di sfruttare il sistema operativo del web, i dati e i servizi disponibili in esso per creare vere e proprie applicazioni di pubblica utilità. I civic hacker sono, secondo la definizione di Ben Campbell: «citizens developing their own applications which give people simple, tangible benefits in the civic and community aspects of their lives» Da queste esperienze nascono eventi come gli “hackathon”, (anche conosciuto come hackday o hackfest) un evento al quale partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell'informatica: sviluppatori di software, programmatori e grafici web. Un hackathon generalmente ha una durata variabile tra un giorno e una settimana e può avere varie finalità: lavorative, didattiche, sociali, ecc. Ad esempio in riferimento all'oggetto di studio di questa ricerca, si citano i mapathon, vere e proprie maratone di hacking civico che vengono organizzate normalmente dalle community di OpenStreetMap, la mappa open source del mondo che è costantemente creata ed editata da milioni di volontari, durante i quali si mappano aree geografiche proposte dall’Humanitarian OpenStreetMap Team147 (HOT) o dal Missing Maps Project148, il cui scopo è quello di assistere, tramite la creazione “crowdsourced” di mappe, le popolazioni colpite da disastri naturali e/o situate in aree dove non esiste cartografia.
I progetti come OSM e quelli appendice ad esso collegati come HOT vedono i volontari, i crowdmappers, prodigarsi non solo nella costruzione del dataset cartografico ma anche nello sviluppo di applicazioni, plug-in, codice, allo scopo di migliorare costantemente la piattaforma di OSM, rendendo evidenti alcuni tratti caratteristici dell'etica hacker. Pekka Himanen nel suo saggio “L' etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione” (2001) riflette sull'etica del lavoro nell'era digitale, sottolineando come il rilascio del cosiddetto codice sorgente, rendendo pubblica la struttura e il funzionamento interno dell'opera open source e consentendo a chiunque, utilizzatore o programmatore, di verificare, correggere, modificare ed estendere l'opera stessa, sia centrale per sviluppare le sue teorie. Viene infatti in questo modo favorita la libera circolazione di informazioni tra coloro che producono software, per professione o per diletto, determinando la nascita spontanea di comunità di sviluppatori, a volte costituite da migliaia di persone. Emblematico in tal senso è il sistema operativo Linux, ideato nel 1991 dallo studente finlandese Linus Torvalds e portato avanti con il contributo degli sviluppatori di tutto il mondo. Si tratta probabilmente del primo grande esempio di delocalizzazione spontanea di un processo di lavoro complesso.
Secondo l'Autore, proprio Linus Torvalds rappresenta il simbolo dell'etica hacker, così come già prefigurata da Steven Levy nel suo “Hackers: Heroes of the Computer Revolution” del 1984 e ripresa ed ampliata dal saggio di Himanen. L'idea di hacker a cui allude lo scrittore e filosofo finlandese, tuttavia, è ben diversa da quella diffusa nella comune accezione, in quanto assume una connotazione positiva. La Internet che utilizziamo oggigiorno è, per Himanen, un prodotto della cultura hacker.
147 http://hotosm.org
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In un momento storico, sottolinea Himanen, nel quale il concetto di proprietà è stato esteso anche alla produzione immateriale e al mondo intellettuale in una misura che non ha precedenti, il progredire della tecnologia, che ha un impatto sempre più consistente sull'organizzazione delle comunità umane, è in gran parte dovuto al principio esattamente opposto della libera circolazione delle informazioni e alla loro condivisione.
Himanen descrive l'hacker come una persona estremamente appassionata del suo lavoro e convinta del suo valore intrinseco, essendo motivata più dall'idea di realizzare qualcosa di socialmente utile piuttosto che semplicemente “fare dei soldi” e, più in generale, come “un entusiasta di qualsiasi tipo nell'ambito della propria attività”. Pertanto, secondo Himanen, il concetto di etica hacker travalica i confini dell'universo informatico per divenire il segno di un “rapporto appassionato con il proprio lavoro”. Circa la definizione del ruolo sociale ed individuale del lavoro, Himanen contrappone il concetto di etica hacker a quello di etica protestante individuata circa un secolo fa da Max Weber nel suo “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”, come tratto distintivo di un nuovo modello di ethos nell'era della società digitale globalizzata.
L'etica e la cultura hacker si inseriscono in quello che viene definito “cyber-utopismo” che, come sostiene Nelson (Isakhan, Nelson e West, 2004), è paragonabile ad una religione secolare della postmodernità.
Il cyber-utopismo incarna la credenza diffusa secondo la quale la comunicazione digitale online sia per sua natura emancipatoria e che internet sia uno strumento abilitante per gli oppressi più che per gli oppressori (Degli Esposti, 2015).
Nonostante il fallimento dell'epoca “dotcom” abbia in un qualche modo inficiato la visione romantica di internet, l'approccio ideologico cyber-utopico non ha conosciuto alcuna flessione sia in termini di partecipazione che diffusione. Le sue radici sono riconducibili ad una serie di credenze che combinano uno stile di vita bohemien, le attitudini antiautoritarie degli anni sessanta del Novecento ed il techno- utopismo e funge da supporto alle politiche neoliberali che costituiscono il substrato ideologico su cui si fonda la cultura della Sylicon Valley agli inizi del 1990, nell'epoca iniziale del boom globale di internet. Anche Shirky (2008; 2010) enfatizza come il potenziale rivoluzionario introdotto dai social media possa essere considerato come un nuovo modello di attivismo in cui le qualità emancipatorie ed abilitanti delle tecnologie digitali fungono da strumento democratizzante. Il cosiddetto movimento cyber- libertario e la sua etica (creata e sostenuta dai primi sviluppatori internet), attraverso la generazione di un'intelligenza collettiva, o connettiva che dir si voglia (Lévy, 1994), si pone come ostacolo allo sviluppo capitalista tradizionalmente inteso.
Sulla stessa scia troviamo Lessig (2009) il quale riflette sull'importanza dei concetti di open culture e di società del remix, individuandoli come elementi fondanti la natura dei prosumer digitali.
Anche la digital democracy, intesa come l'insieme delle pratiche che utilizzano strumenti di coinvolgimento della cittadinanza dal basso, può essere considerata utopia del nostro tempo (Mazzoli, 2012) e parte del progetto cyber-utopico. Attraverso la relazione tra percezione della realtà e mediazione tecno-comunìcativa, condizione stabile per la nostra “realtà esperienziale”, internet può anche essere letto, come sostiene Boccia Artieri (2012) mutuando Foucault, come eterotopia, ovvero spazio che si connette ad altri spazi, sospendendo, neutralizzando ed invertendo i rapporti che disegna, riflette e rispecchia; in questo modo Boccia Artieri propone un superamento dell'illusione progressista o negativista della tecnologia in sé e per sé, tenendo conto del complesso significato di realtà in epoca contemporanea.