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Essere cittadini nella post-modernità

Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement

2.7 Cittadinanza e civic engagement nel Web 2

2.7.1 Essere cittadini nella post-modernità

I cambiamenti indotti dalla seconda modernità, da alcuni definita “liquida” (Bauman, 2002), da altri autori “riflessiva” (Giddens, 1994), nel contesto di uno scenario globalizzato in cui i confini tra le

136 Il principio di sussidiarietà si fonda su un'idea di persona umana pienamente responsabile del proprio sviluppo e della propria

promozione, per cui è indispensabile valorizzare e sostenere la persona, singola o associata che sia. nel pieno rispetto, però, della sua autonomia e della sua libertà. La differenza, cioè, tra solidarietà e sussidiarietà, deriva da una idea di supporto e promozione che. nel primo caso poggia sul concetto di "aiuto e sostegno", nel secondo, invece, diventa "metodo strategico" e modalità che esalti la capacità propria ed autonoma di dare risposte alle diverse esigenze di volta in volta insorgenti.

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culture e le “cittadinanze” perdono sempre più consistenza e “solidità”, hanno modificato inevitabilmente il significato di “cittadinanza”. Le rapide trasformazioni degli scenari sociali, economici, tecnologici, culturali, istituzionali, sono accompagnate da incertezza e insicurezza provocate dalle profonde trasformazioni che hanno riguardato i punti di riferimento canonici (lo Stato, la comunità); in questo panorama esercitare la cittadinanza assume significati molteplici, in quanto non rimanda più esclusivamente ad un legame con il proprio “locus” di appartenenza. In questa realtà globalizzante e globalizzata l'essere ritenuti “locali” viene considerato come una prova tangibile di inferiorità perché “limitante” ed anacronistico (Bauman 2008, p. 5); la “distanza”, caratteristica peculiare della distinzione tra le società e le appartenenze, viene gradualmente annullata dai processi di modernizzazione, per cui il concetto stesso di “confini” viene ridiscusso e ridefinito sotto una prospettiva transnazionale (come accade, ad esempio, nel caso del processo di costruzione dell'Unione Europea o degli organismi internazionali).

La dimensione globale colloca il cittadino tra due tendenze antitetiche: da un lato quella orientata al recupero ed alla valorizzazione della propria individualità onde decodificare al meglio il cambiamento e rinsaldare i propri diritti nei confronti della società globale; dall’altro la necessità di trovare sicurezza e comprensione, ma soprattutto tutela all'interno di una collettività che va ricostruita attraverso una nuova definizione di contenuti e specificità che abbiano contezza dei cambiamenti in atto.

In posizione mediana rispetto a queste due polarità, Bauman pone la condizione attuale del “cittadino globale” che vede come caratterizzata da una tendenza al prevalere della libertà individuale a scapito di un indebolimento della collettività (Bauman 2008, p. 10).

A fronte di una situazione generale di incertezza, causata soprattutto dalla caduta e conseguente mancanza di punti di riferimento per l’individuo, l’unica condizione che possa dare adito ad una forma di sicurezza è riscontrabile nell’appartenenza o adesione alla comunità. L’appartenenza ad un contesto comunitario, in una cornice di “inconsapevole isolamento” e di diffidenza verso gli “estranei” con cui magari si condivide lo stesso quartiere o condominio, viene percepita come un’utopia che rappresenta l’unico modo per superare il senso di inadeguatezza ed impotenza verso gli eventi.

Tuttavia l’inconciliabilità tra la condizione iper-individualista attuale (autonomia, diritto all’autoaffermazione) con le logiche apparentemente collettiviste (Bauman 2001, p. 17) su cui muove la struttura comunitaria, rappresentano il vero limite nel raggiungimento di tale prospettiva utopica.

Altri autori (Miller 2007, Beck, 2003) vedono nello scenario globalizzato delle prospettive per riflettere su un nuovo concetto di cittadinanza, legato soprattutto all’identità culturale piuttosto che all’appartenenza territoriale.

Un concetto di “cittadinanza globale” radicato in una dimensione e una visione maggiormente cosmopolita della società contemporanea, resa possibile attraverso un network di spazi pubblici mediante i quali è possibile comunicare e partecipare a discussioni e movimenti transnazionali. È, in pratica, un tentativo di andare oltre, con l'ausilio di una visione più aperta e “negoziale”, i limiti del locus e della comunità propriamente intesi, per cui alla dialettica tra pubblico e privato si aggiunge quella tra globale e locale con cui le prime due dimensioni si intrecciano inevitabilmente (Papacharissi 2011, p. 98).

Beck (2003) usa il termine “cosmopolita” in un'accezione rivista e corretta rispetto al suo significato corrente: il sociologo tedesco non lo intende come un vago e ideale amore per l'umanità tutta ma «uno sguardo che si interroga sul senso del mondo, senso della mancanza di confini. Uno sguardo quotidiano, vigile sulla storia, riflessivo. Questo sguardo dialogico nasce in un contesto in cui confini, distinzioni e contraddizioni culturali svaniscono. Esso non mostra soltanto la “lacerazione”, ma anche le possibilità di organizzare in una cornice culturale multietnica la propria vita e il vivere insieme».

Ne “La società cosmopolita” (2003), Beck si scaglia contro ciò che bolla come l'errata teoria territoriale dell'identità: «Ciò non toglie che la teoria territoriale dell'identità sia un errore fatale, che possiamo definire errore-prigione dell'identità. Perché le persone diventino consapevoli di se stesse e agiscano politicamente non è necessario tenerle separate le une dalle altre, né orientarle e organizzarle le une contro le altre, men che meno nello spazio di una nazione». L'identità odierna sta, infatti, assumendo vie più le sembianze di un composito intreccio di appartenenze collegate fra di loro secondo lo schema della rete.

Ridefinire i concetti di cittadinanza e partecipazione nell'ambito del dibattito pubblico odierno, contestualizzandoli nel frame della società in rete, permette di interpretare diversamente quelli che sono i segnali di uno scollamento tra questioni riguardanti la cosa pubblica ed esercizio della cittadinanza,

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come messo in rilievo dalle indagini statistiche sul tema137 che danno conto di un livello basso di partecipazione civica da parte dei giovani, per i quali emerge uno scarso interesse sulle questioni di pubblico interesse nei luoghi tradizionali del confronto, nonché un altrettanto scarsa consapevolezza dei loro diritti e doveri in quanto “cittadini”. A tal riguardo Bennet tende a ridefinire tali pratiche alla luce dei nuovi contesti di socializzazione e confronto presenti negli spazi “mediati”, considerando il ruolo che hanno le pratiche comunicative e relazionali, sempre più digitali, nella ridefinizione delle azioni civiche: « […] (it) has been a notable turning away from public life into online friendship networks, gaming and entertainment environments, and consumer pursuits. Where political activity occurs, it's often related to lifestyle concerns that seem outside the realm of government. Many observers properly note that there are impressive signs of youth civic engagement in these non-governmental areas, including increases in community volunteer work, high levels of consumer activism, and impressive involvement in social causes from the environment to economic injustice in local and global arenas. Some even ascribe civic engagement qualities to many activities that occur in online social networking and entertainment communities.»

Le riflessioni sul concetto di cittadino afferenti la seconda modernità, in particolare quella legata alla visione “multiculturalista” di Touraine (1997), quella del “comunitarismo” di Kymlicka (1995) e la riflessione di Bauman sulla “cittadinanza liquida”. Diversi autori (Papacharissi 2010, Dalghren 2009) ritengono la cittadinanza un processo fluido che segue i cambiamenti storico-sociali e riflette i continui mutamenti del rapporto tra individuo e società.

Il politologo Robert Putnam interpreta il concetto di cittadinanza in stretta relazione con quello di “comunità civile”, riflettendo in maniera articolata sulla relazione tra quest'ultima, la società civile e il capitale sociale. Secondo lo studioso americano la cittadinanza deve essere caratterizzata da una coscienza dei propri diritti e doveri, da una tendenza all’aggregazione ed alla costruzione di relazioni e di scambi di valori ed esperienze per poter contribuire con le istituzioni, la cui gestione della cosa pubblica non può più essere esclusiva (1993, 2001).

La crisi della rappresentanza politica e dei rapporti tra istituzioni e società apparentemente influisce negativamente su quei processi di costruzione di un’identità civica condivisa. Tale crisi, tuttavia, va reinterpretata anche in un’ottica di possibile rinnovamento e ridefinizione, alla luce di un nuovo assetto globale, del concetto stesso di cittadinanza e dei rapporti tra istituzioni e cittadini. Alcuni autori (Donati 2000) esaminano i fattori di crisi della cittadinanza più rilevanti, facendo leva su paradigmi interpretativi inerenti a due differenti prospettive: quella “sistemica” e quella “soggettivistica”.

Secondo la prospettiva “sistemica”, osservando i fenomeni dal punto di vista del sistema politico- amministrativo, la crisi della cittadinanza deriva da un eccesso di aspettative, funzioni e compiti riposti nella classe politica e nello Stato, e alla conseguente chiusura auto-referenziale messa in pratica dal sistema politico-amministrativo in virtù delle proprie esigenze “funzionali”, provocando una divaricazione progressiva della forbice rispetto alla società civile. In base alla prospettiva “soggettivistica”, invece, la crisi della cittadinanza è causata sia dalla crescente privatizzazione della vita sociale, sia dall’esplodere dei particolarismi e dei “localismi”. In entrambi i casi si può notare una crescente incapacità delle sfere della società civile nel riconoscersi nelle istituzioni politiche e quindi ad organizzare azioni collettive orientate al bene comune.

Nel campo politico che riguarda la società civile, afferma Dahlgren (2009), la partecipazione rende visibile la cittadinanza e diviene un'espressione di civic agency. Lo studioso svedese intende la cittadinanza in termini di civic agency, un agire civico che sottende una forma attiva di cittadinanza, per cui essa non viene più concepita come uno status acquisitivo (received citizenship), e quindi passivo, ma come il risultato di una agency, di un agire sociale da parte dei cittadini e di una partecipazione attiva tesa al conseguimento del proprio essere cittadini (achieved citizenship).

In questa nuova prospettiva, la cittadinanza va riletta come una componente necessaria per definire le “azioni pubbliche” degli individui che contribuiscono a loro volta a definire la società civile attraverso le reti di relazione (Crossley, 2001) ed il costante intrecciarsi tra la propria individualità e la dimensione collettiva dell’esistenza.

Di contro però, questo emergere sempre più incalzante della dimensione privata nelle relazioni sociali ed il peso sempre maggiore che assumono le istanze particolaristiche all’interno del dibattito civico, denotano una difficoltà di fondo nella definizione di obiettivi e percorsi comuni: la domanda politica tende a spostare l’accento dalle richieste tradizionali DiMaggiore uguaglianza, di liberazione dallo

137 Eurobarometer 84.3: la vita nell’Unione Europea, Europa 2020, crisi economica, cittadinanza europea, uso dei media e

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sfruttamento e di una più equa distribuzione delle risorse, verso richieste di riconoscimento dei propri diritti alla propria differenza in condizioni naturali e sociali che assicurino la realizzazione del proprio ideale privato di vita (Crespi, 1992).

In questo senso la relazionalità assume un ruolo centrale nel dispiegarsi dei rapporti tra agire privato ed agire pubblico, poiché attraverso i cosiddetti “beni relazionali” l’individuo può partecipare al dibattito pubblico e condividere le sue istanze con la comunità. Il rischio di questa rivalutazione e sopravvento della soggettività rispetto alla collettività può essere quello di portare ad un sempre maggiore scollamento tra istanze civili e azione politico-istituzionale, in quanto le peculiarità particolaristiche possono sovrastare la necessità di identificazione di un “bene comune” verso cui dirigere le azioni pubbliche.