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Crowdmapping e digital divide

Processi di VGI come “georiferire” una foto mediante upload su Panoramio75 o Flickr, o creare un percorso su un geoportale o implementare informazioni testuali su un particolare bene culturale, possono essere condizionati da eventuali livelli di digital divide. Questi limiti oggettivi emergono anche nella realizzazione di mappe partecipative, come nel caso del già citato OSM. Questo progetto, che sta avendo un riscontro a livello mondiale con ormai oltre un milione di iscritti, trova nel digital divide uno dei limiti più marcati. Se, infatti, non sussistono differenze sostanziali nella qualità della cartografia realizzata in territori dove viene garantito un accesso diffuso alla rete, esse emergono in modo abbastanza evidente quando non sussistano queste condizioni.

La crescita nel breve periodo (2008-2012) della cartografia di OpenStreetMap (OSM) in Italia certifica la vitalità della sua comunità. Tuttavia, pur manifestando un elevato standard di qualità (paragonabile a scala nazionale), in alcuni contesti territoriali, localizzati più frequentemente al sud, la cartografia appare talvolta ancora carente. Altra criticità, comune all’universo della “cartografia 2.0”, è il rischio reale messo in evidenza da più parti che il digital divide amplifichi anche a livello di rappresentazione cartografica le differenze tra privilegiati e non privilegiati (Graham, 2012). I “geografi volontari” rischiano di rappresentare in modo sempre più dettagliato il mondo ad elevata connettività, ignorando di fatto la parte del globo a bassa tecnologia; si tende così a promuovere e generare una visione distorta del mondo (Brotton, 2012). Pertanto, c’è da chiedersi quanto le variabili demografiche (ad esempio, la densità di popolazione) o le variabili prettamente geografiche (aree urbane e rurali) possano condizionare la qualità e, dunque, il successo del progetto OSM o le diverse pratiche di crowdmapping di cui si è accennato in precedenza.

Da questo ne deriva la caducità della cartografia partecipativa: se si dovesse considerare la complessità di questo universo o il riscontro nella costruzione di una nuova percezione del mondo o, ancora, l’utilità pratica di parte delle mappe realizzate dagli utenti, potrebbero emergere diverse criticità. Potrebbe apparire, infatti, che la cartografia rimane in fondo materia “esclusiva” solo degli esperti di settore o unicamente di quella parte di mondo “connesso”. Nell’analisi critica del ruolo e delle potenzialità del Web 2.0 e degli orizzonti che esso apre nel panorama globale della comunicazione e

73 Si muovono in questa direzione le esperienze militanti di “cartografia tattica” raccolte nel volume Mogel e Bhagat (2008). 74 In questo senso si differenziano dalle esperienze di self mapping urbano (Musarò 2012), mosse da moventi di autoespressione

ma non necessariamente a orientamento collettivo e pubblico.

75 Panoramio è un sito per condividere foto che permette agli utenti iscritti di posizionarle sulla cartografia messa a disposizione

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dell’interazione sociale, nonché del governo delle trasformazioni territoriali, va messo in chiaro innanzitutto che non si tratta di un sistema rivolto a “tutti”. L’utente-tipo, infatti è giovane, preferibilmente appartenente alla fascia d’età della web–generation, e deve possedere le conoscenze minime necessarie per l’utilizzo dei software in questione e per la navigazione online; deve conoscere l’inglese; deve possedere un’attrezzatura tecnologica adeguata, quindi un computer con adeguate caratteristiche, eventuali apparecchi portatili quali notebook, netbook, tablet o smart-phone; deve avere un accesso ad internet, quindi deve potersi permettere la spesa di un abbonamento alla rete.

Il digital divide (Bentivegna, 2009) costituisce un significativo limite all’accesso a questo nuovo sistema comunicativo; anche qualora gli Enti pubblici lo assumono come canale di comunicazione ufficiale si rischia comunque di tagliare fuori dalla partecipazione alla vita urbana tutte quelle fasce di utenti che per motivi diversi non possono essere presenti in rete. Al di là dei problemi connessi con il digital divide, la realizzazione di una mappa globale passa attraverso numerose problematiche di ordine politico ed economico. Brotton afferma che queste nuove applicazioni cartografiche permetteranno un notevole aumento di accesso del pubblico, anche dando alle persone la possibilità di costruire le proprie mappe. Ma sembra ancora più probabile che gli interessi corporativi delle multinazionali porterà un nuovo mondo di mappe online in cui l'accesso viene prescritto dagli imperativi finanziari, soggetti a censura politica e indifferenti alla privacy personale (Plantin, 2013).

Riflessioni conclusive

In questo capitolo abbiamo visto come la cartografia tradizionale si basa sulla rappresentazione del reale, un reale concreto e tangibile: solo ciò che è misurabile può essere rappresentato e la verità può essere trovata unicamente attraverso l’analisi dei dati. La cartografia tradizionale si basa perciò su una precisa nozione di spazio - infinito, assoluto ed omogeneo - tipico della tradizione occidentale che passa dalla geometria euclidea e cartesiana (Warf & Sui, 2010). A partire dagli anni '80 si è sviluppata la cartografia critica. Si è diffusa la consapevolezza che anche la creazione delle mappe, da parte degli stessi centri di potere in grado di produrle, costituisce un atto politico: le mappe sono “configurazioni di potere e conoscenza” legate al contesto sociale che le produce (ibidem, p.198). In altre parole, le mappe costituiscono la realtà almeno quanto si sforzano di rappresentarla: si tratta di strumenti che “costruiscono conoscenza, esercitano potere e possono essere un mezzo per produrre cambiamenti sociali” (Crampton e Krygier, 2005 p.15).

Ogni mappa, in qualsiasi epoca, veicola una narrativa, comprensibile fino in fondo solo se associata al contesto storico e sociale nel quale sorge (Caquard, 2013). Se ad esempio consideriamo la rappresentazione cartografica dell’Impero Britannico in era coloniale. Un tipico esempio è dato dalla “Imperial Federation Map” realizzata da Walter Crane nel 1886. Seduta sul globo, Britannia domina il mondo: ai suoi piedi due donne rappresentano i popoli colonizzati, in un chiaro atteggiamento di sottomissione e devozione. Ma le parole “freedom”, “fraternity” e “federation” assumono significato solo facendo riferimento alla fede socialista di Crane: libertà e fraternità potevano essere promulgate e garantite unicamente dall’Impero britannico. L’utilizzo della proiezione1 del Mercatore, in cui le dimensioni degli oggetti rappresentati aumentano mano a mano che ci si allontana dall’Equatore, aiuta Crane nel mostrare la vastità dei possedimenti dell’Impero e della stessa Gran Bretagna. L’arcipelago, infatti, ha quasi le stesse proporzioni della Spagna (Biltcliffe, 2005). Ne deriva l'impossibilità di considerare il dato cartografico senza tenere conto del messaggio politico che questo veicola.

Come esplicitamente definita da MacEachren, la visualizzazione geografica consiste nell'utilizzare rappresentazioni visuali concrete (sia su carta che attraverso lo schermo di un computer o di altri media) per rendere visibili contesti spaziali e problematiche, così da sollecitare le abilità di ragionamento umane, in particolare quelle legate alla visione (MacEachren 1992). La visualizzazione geografica sfrutta la capacità della mente di vedere più prontamente relazioni complesse tradotte in immagine, e quindi di arrivare a una più chiara comprensione dei fenomeni, riducendo il tempo di elaborazione e rilevando relazioni che in altro modo non sarebbero state notate.

Si tratta di un processo che aiuta le persone a vedere l'invisibile, basandosi sulla nozione intuitiva che gli uomini possono ragionare e imparare più efficacemente in un ambiente visuale piuttosto che usando descrizioni testuali e numeriche.

Le carte sono strumenti che da un lato aiutano a focalizzare l'oggetto di un progetto, di una pianificazione, di un problema ma dall'altro creano "rumore" e portano alla generazione di discussioni. Per questo motivo, esse giocano un ruolo fondamentale soprattutto sul piano della generazione di proposte innovative e sono uno strumento imprescindibile della strategia progettuale (Dematteis 1995). Da un altro punto di vista, la natura esplicitamente politica (Harley 1989), non oggettiva della

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mappa intesa come artefatto soggettivo frutto di interpretazioni progettuali, ne fa uno degli strumenti più utili per la presa di decisione. Innanzitutto, sulla necessità per chiunque si occupi di visualizzazione geografica di fondare le proprie azioni su un'etica cartografica (Harley 1990,1991) che tenga conto delle implicazioni sociali che la cartografia produce attraverso le sue tecniche, le sue convenzioni e i suoi metodi. In secondo luogo, sulla necessità di riportare l'attenzione sulla "costruzione retorica" del discorso cartografico che resta la base del cartografare anche se dalla cara, vecchia, "cartina" di carta, sgualcita dall'uso, si è passati alle nuove moderne GIT (Geographical Information Technologies) che fanno delle enormi capacità di archivio e calcolo dei computer e della smaterializzazione della carta, funzionale a una maggiore capacità di circolazione del mapping i loro atout.

Per fare una buona carta non è sufficiente padroneggiare un software ma occorre essere competenti dal punto di vista comunicativo, occorre cioè, oltre a possedere un vocabolario e una grammatica, essere capaci di variare la comunicazione a seconda del contesto, dello scopo e dell'utente (Habermas 1971; Hymes 1972). E probabilmente, specie in un momento storico in cui sembra che tutti facciano carte tranne i geografi, occorre possedere anche una "anima geografica" che guardi al territorio che intende rappresentare non solo come alla scena dove si dispiegano delle razionalità sociali ma anche come al luogo dove uomini e donne hanno la loro casa e vivono l'intima dimensione dell'abitare questa terra (Tuan 1974), che è poi l'ultimo e definitivo senso della geografia (Vallodoro, 20011).

L'attenzione alla visualizzazione geografica, ai giorni nostri, è diventata sempre più pressante in ragione del rapido sviluppo e della grande diffusione dei GIS, della cartografia multimediale, dei globi virtuali, degli strumenti di cartografia offerti dai webGIS, ma anche alle mappe nei navigatori delle nostre auto e all'utilizzazione delle tecnologie GPS nei nostri telefoni cellulari (Scarni 2008). Ciò presenta sicuramente dei pericoli, legati - come si è visto - alla natura ideologica e alla capacità persuasiva della rappresentazione geografica della quale si può rimanere "vittime inconsapevoli" se non se ne conoscono e governano il linguaggio, i codici, i meccanismi comunicativi; ma, allo stesso tempo, ciò apre delle grandi opportunità che vanno al di là del ricorso alla cartografìa come mero strumento grafico per l'illustrazione "spaziale" di oggetti, concetti, condizioni, processi o eventi riguardanti il mondo. Recentemente, infatti, la visualizzazione cartografica è usata per concettualizzare un range più ampio di pratiche, come l'uso di carte basate sul GIS principalmente come mezzo comunicativo, le strategie di mapping praticate da gruppi di attivisti in varie parti del mondo (Krygier 2002; Kwan 2007), o ancora il ricorso alla "cartografia partecipativa" in progetti o programmi di sviluppo (McCall 2006). La sfida è quella di fare dalla comunicazione visuale del territorio un momento di negoziazione, di costruzione condivisa di scelte, modalità, pratiche, fini (Vallodoro, 2011).

Abbiamo, poi, inquadrato il fenomeno oggetto della ricerca, il crowdmapping, nel contesto del dibattito su luoghi e spazi territorializzati che ha interessato la geografia sociale e le sue interesezioni con la sociologia del territorio, prendendo in considerazione, in particolare, i fattori socio-culturali e tecnologici che ne hanno favorito la nascita e la diffusione. Il termine crowdmapping fa riferimento alla modalità crowdsourced di raccolta e condivisione di informazione geografica, e rappresenta una delle declinazioni del più ampio concetto di Volounteered Geographic Information, coniato dal geografo Michael Goodchild (2007). Nello specifico, per crowdmapping intendiamo quei processi di mappatura collaborativa che avvengono mediante l'utilizzo di piattaforme, come ad esempio quella open source di OpenStreetMap, o di siti che, attraverso le API (Application Programming Interface) dei maggiori dataset cartografici (Google Maps e OpenStreetMap in primis) propongono dei cosiddetti mash-up per la mappatura “crowdsourced” delle tematiche inerenti, spesso, il civic engagement e l'attivismo digitale. Si delineano, quindi, idealtipi di piattaforme di crowdmapping, come OpenStreetMap, e mash-up di crowdmapping, come Ushahidi. Alcuni studiosi includono tra le pratiche di crowdmapping anche la piattaforma di Google Map Maker, poiché da qualche anno si basa su modalità di crowdsourcing che abilitano la sua comunità ad aggiornare il suo vasto dataset cartografico di Google Maps. Al di là del considerare Google Map Maker un processo o meno di crowdmapping, come si è ribadito a più riprese Google Maps, mediante le sue API, entra in ogni caso nei processi di mappatura collaborativa allorquando viene incorporato in un sito/blog e da vita ad un mash-up cartografico. Si è sottolineato, inoltre, che Google Maps è disponibile per la consultazione a chiunque in maniera gratuita (fino a un certo limite), ma i suoi dati (geometrie, coordinate geografiche, dataset, annotazioni, ecc.) sono inaccessibili, anche agli stessi che quei dati li hanno prodotti e che, quindi, contribuiscono a tenerlo aggiornato.

Da qui ne deriva un'ulteriore suddivisione idealtipica, di natura dicotomica: open vs closed, ossia modello di gestione e distribuzione dei dati di tipo open source di OSM e modello di gestione e distribuzione dei dati di tipo closed di Google Maps.

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Sono stati esaminate, inoltre, le declinazioni che assumono queste pratiche di mappatura collettiva e “grassroots” in termini di espressioni di cittadinanza attiva e di civic engagement. Si è visto, inoltre, come il digital divide e fattori legati al capitale culturale e sociale possano ostacolare l'accesso a questo tipo di pratiche.

Nel prossimo capitolo si andrà ad inquadrare il contesto sociale di riferimento dove le pratiche di crowdmapping prendono forma, nello specifico il focus sarà orientato sul Web 2.0 e le relative architetture partecipative, e come queste si riverberano nell'ambito delle nuove sfere pubbliche disegnate dalla società in rete, dando vita a nuove forme di cittadinanza mediata e forme di civic engagement ascrivibili alle forme di partecipazione “con” e “nei” media digitali.

Nello stesso capitolo si analizzeranno, inoltre, i fattori che inibiscono le suddette espressioni di cittadinanza mediata, in particolar modo le disuguaglianze digitali nelle loro varie declinazioni, e, di conseguenza, i processi di inclusione sociale.

Saranno, inoltre, descritti quei processi di sfruttamento del prosumer che, a volte, accompagnano il fenomeno dello User Generated Content nel Web 2.0.

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