Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement
2.7 Cittadinanza e civic engagement nel Web 2
2.7.2 I parametri e le risorse per la partecipazione
La partecipazione è un concetto che viene declinato in un ampio intervallo di accezioni. Articolarla e scomporla, secondo Dahlgren (2009, 2013), in modi differenti può essere funzionale alla definizione delle sue caratteristiche costitutive e, in questo modo, orientare il focus sulla loro centralità per la democrazia. In sostanza, afferma lo studioso, l'obiettivo è quello di offrire gli strumenti per una migliore analisi empirica della partecipazione attraverso i media. Per questo scopo Dahlgren definisce i parametri - traiettorie, visibilità, voce, socialità - e le risorse per la partecipazione - culture, pratiche e identità civiche - tra cui anche le dimensioni delle potenziali sfere pubbliche online (2005, 2009, 2013).
Le traiettorie della partecipazione
Focalizzandosi sulla partecipazione democratica, Dahlgren fa riferimento a tre concetti di base, frequentemente interconnessi, per definire la direzione dell'impegno civico: il consumo, la società civile e la partecipazione politica.
Il consumo, da parte sua, è una categoria ampia che contempla la partecipazione sociale che prende vita mediante logiche commerciali, quindi attraverso le relazioni di mercato. Questa traiettoria, in pratica, coinvolge la maggior parte delle pratiche di partecipazione online. Tuttavia, sottolinea Dahlgren, prospettive di partecipazione di tipo democratico sono presenti perfino in questa dimensione, nonostante queste rimangano spesso ai margini. Si pensi, a tal riguardo, al consumo orientato da motivi politici (Paltrinieri e Parmiggiani, 2007, 2008; Parmiggiani, 2013; Micheletti et al. 2003; Barnett et al. 2010).
La cultura di massa, in ogni caso, tende a sovrapporsi sempre alle sfere pubbliche (Street 1997; van Zoonen 2006; Reigert 2007), poiché di frequente risulta accessibile e in grado di esprimere valori democratici significativi. Essa, inoltrre, invita alla partecipazione, offrendo un facile accesso a comunità simboliche, ad una realtà cui si appartiene oltre la propria individualità. Può succedere che questo rappresenti un primo passo per la partecipazione civica consentendo quella che Hermes (2005) chiama “cultural citizenship”.
Con “società civile” Dahlgren fa riferimento ad una traiettoria che in qualche modo implica l'associarsi liberamente per il raggiungimento di obiettivi comuni che si pongono al di fuori sia del mercato che della sfera privata domestica (Edwards 2009). Esempi di partecipazione in tal senso possono essere anche il fandom, i wikis, e così via - anche se non sempre è possibile pensarle completamente estranee a una logica di mercato. Come sottolinea Dahlgren i confini tra società civile e consumo sono difficili da definire e, al pari del consumo, la dimensione politica è sempre potenzialmente presente nella società civile (Cohen e Arato, 1992). La società civile, secondo i due studiosi, rappresenta un pilastro della sfera pubblica e un terreno soggetto, per sue caratteristiche intrinseche, a conflitti. Per esempio, seguire i mezzi di informazione è un'attività che rientra nell'ambito della società civile; come il mantenersi aggiornati sulle ultime notizie come fa il monitorial citizen (Schudson, 1998), è a tutti gli effetti un indicatore di cittadinanza. Lo stesso giornalismo partecipativo diventa sempre più interattivo, “diverso”, “di parte”. La partecipazione civica ne sta alterando, in effetti, le caratteristiche (Papacharissi, 2009; Rosenberry et al 2010; Tunney et al., 2010).
La terza traiettoria della partecipazione definita da Dahlgren, quella politica, attiene al coinvolgimento dei cittadini in conflitti che hanno luogo nello spazio pubblico relativi a risorse o interessi di varia natura, e rappresenta indubbiamente, in termini statistici, una dimensione secondaria nel panorama mediale. Si può sostenere, secondo l'accademico, che la dimensione politica abbia luogo nella conversazione o in altre forme di comunicazione tra cittadini che incarnano l'auto-riflessione dell'esperienza (Dahlgren, 2009). A tal proposito Bakardjieva (2010) usa il termine “subactivism” per descrivere quella forma di partecipazione civica che ha luogo tra le persone nella loro vita quotidiana, dove le regole vengono messe in discussione, contestate e negoziate, dove il mondo sociale è valutato secondo prospettive di tipo morale, e dove sono sollevate questioni di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato
112
- prima che tutto ciò si traduca in una dimensione politica o che si creino dei collegamenti con le politiche.
Dahlgren sottolinea come l'ambiente della rete offra un grande potenziale civico rendendo disponibili un'ampia gamma di forme partecipative, quelle che il sociologo svedese definisce “pratiche civiche”, le quali, tuttavia, possono essere messe in secondo piano considerata la rilevante “densità” dell'ambiente online che può inficiare la visibilità di tali pratiche: «nel panorama mediale attuale è in atto un'enorme competizione per la conquista della visibilità, anche rispetto a questioni di natura politica, alle quali partecipano tutti gli attori della rete» (2013).
Difatti ai nostri giorni, afferma Dahlgren, le opportunità di partecipazione nel consumo e nell'intrattenimento sono straordinariamente più numerose, praticabili e attraenti per la maggior parte delle persone, se paragonate alle attività che potremmo definire civiche o politiche. Tale modello di partecipazione è andato ulteriormente affermandosi in particolare tra i più giovani, attraverso la diffusione di Internet (Jenkins, 2006, 2008).
È importante sottolineare che i media digitali e il loro utilizzo da parte dei cittadini, pur giocando un ruolo sempre più importante nel determinare la partecipazione, presentano dei limiti in quat non possono eliminare né in qualche modo compensare i fattori di sistema che la ostacolano.
Evitando un approccio tecno-determinista Dahlgren mette in risalto come «le attività in rete si affermano contro le difficoltà vissute dalla democrazia, contro le crisi economiche e i mutamenti socio- culturali della tardo-modernità. Infatti, non considerare il senso del pericolo e della crisi che caratterizza la società contemporanea, non riconoscere la disperazione vissuta da molti cittadini, significa perdere qualcosa di essenziale nello scenario complessivo. Bisogna evitare una lettura riduzionistica che cerchi soluzioni tecnologiche per i mali della società; a volte, i discorsi politici e i commenti giornalistici tendono a fuorviarci in questo senso, ad esempio quando le rivolte in Tunisia e in Egitto vengono presentate semplicemente come “rivoluzioni di Facebook”».
Quando si accenna a spazio e vita pubblica mediati è necessario far riferimento ad un altro aspetto che, soprattutto nell’attualità, va considerato all’interno dello scenario mediatico: la “visibilità”, in stretta connessione con “l’apparire”. Se nelle forme tradizionali di dibattito, caratterizzate dalla compresenza dei soggetti, il riconoscimento delle proprie opinioni e dei propri interessi avveniva attraverso un confronto localizzato temporalmente e spazialmente, oggi questa condizione è completamente cambiata. Ora il confronto e le rivendicazioni si sono spostate sul terreno della visibilità sui media, poiché attraverso di essa avviene il riconoscimento dell’esistenza di questioni considerate minoritarie. Attraverso i mezzi di comunicazione è possibile nell’immediato rendere visibile il quotidiano, riverberandone le immagini a livello globale, e trasformando una scena che in precedenza sarebbe rimasta “invisibile” in un simbolo sociale o politico attorno al quale creare un movimento od una protesta. Attraverso la televisione gli individui acquisiscono familiarità con le realtà rappresentate e con cui in molti casi non verranno mai a contatto fisicamente nel corso della loro vita.
Prima dell’avvento dei media la visibilità di persone o eventi era legata soprattutto alla condivisione di un contesto comune, una questione diveniva pubblica nel momento stesso in cui avveniva davanti ad una pluralità di persone fisicamente presenti (Thompson, 1995, p. 177). Lo sviluppo della comunicazione di massa ha determinato l’avvento di forme di “pubblicità mediata” in cui non è più la compresenza il nodo della condizione di pubblica visibilità.
Gli studi di McLeod (1996) negli Stati Uniti hanno riscontrato che la stampa con i suoi contenuti informativi e l’attenzione verso la comunità tendeva a riattivare o amplificare l’interesse civico e l’attenzione al contesto locale. L’autore sottolinea come l’orientamento verso una forma di informazione più vicina all'intrattenimento (come la televisione) può comportare che l’individuo sia solo fruitore e non più produttore di contenuti. In particolare gli studi sugli usi e gratificazioni dei media (Katz, Blumler, Gurevitch, 1974) hanno individuato due funzioni appartenenti ad essi in relazione alle aspettative dei fruitori: quella di “information and surveillance” e quella di “entertainment and diversion”. Le motivazioni legate alla prima funzione sono certamente quelle che tendono a rafforzare la conoscenza e la partecipazione civica; mentre quelle legate alla seconda sono state oggetto di critiche da parte di autori come Putnam, che considerano l’intrattenimento come il responsabile dell’allontanamento degli individui dalla “vita comunitaria”.
Secondo alcuni anche in questi casi, laddove il fruitore è motivato a seguire le vicende di attualità, l’informazione prerogativa dei media mainstream, tende a riprodurre artificiosi spazi di dibattito, a cui lo spettatore partecipa passivamente illudendosi che i contenuti di cui fruisce contribuiscano a formare una coscienza civica (Thompson, 1995).
113
marchiato da una dimensione di condivisione collettiva delle pratiche discorsive o è tale prettamente in termini di visibilità dei messaggi veicolati a scopo privatistico (Habermas, 1984; Privitera, 2001). A questo riguardo alcuni sociologi ritengono che tale artificiosità presente nelle arene di dibattito mediatizzate contribuisca a costruire “un’opinione pubblica artificiosa” (Lalli 2008); tali contenitori non appaiono come spazi plurali in cui si ripropone l’interfaccia tra società civile e istituzioni, ma dominio simbolico e “governo” generalizzato dei quadri possibili delle rappresentazioni (Lalli, 2008, p. 73). Tuttavia, nuove istanze provenienti da aree del sociale e dell’istituzionale offrono la possibilità di ricostruire spazi di dibattito attraverso nuove forme di interazione con il cittadino non considerato più solo come “audience”, ma come interlocutore attivo.
A questo riguardo certamente le nuove tecnologie, in particolare la Rete, possono ridefinire gli spazi stessi di dibattito e permettere la costruzione di nuove dinamiche di relazione e di condivisione di contenuti di interesse pubblico.
Dahlgren afferma che in ogni circostanza si può sostenere che nella partecipazione esiste, di fatto, un obiettivo intermedio, che vale anche nel caso dei media digitali, ovvero la visibilità, la cui nozione indica progetti complessi di natura politica, sociale e tecnica e non una semplice dicotomia tra l'essere socialmente “visibile” o “invisibile” (2013). Brighenti (2010) suggerisce due modelli principali di visibilità, pertinenti con la riflessione di Dahlgren: nel primo, la sfera pubblica è una forma di visibilità in cui si è in pubblico, mentre il secondo modello è il regno pubblico della visibilità sociale, dell'interazione, in cui lo sguardo e il riconoscimento dell'altro generalizzato o significativo diviene centrale per la costruzione del sé, dell'identità. Dahlgren definisce questo modello “intervisibility”, richiamando prospettive generali che alludono alla teoria di Mead su come il nostro sé prenda forma attraverso l'interazione, oppure mediante la “presentazione del sé” in base alla definizione di Goffman. Il suddetto modello, inoltre, può anche «riferirsi all'incontro con gli estranei, una modalità pubblica d'interazione che prevede una distanza ottimale, il riconoscersi, senza che questa comporti invadere il terreno dell'altro. Questo è il campo dell'interazione civica, che ha a che vedere con la socialità dei legami deboli, in cui, così come nella rete, gli estranei diventano reciprocamente visibili, a vari livelli, con l'obiettivo di cooperare» (Dahlgren, 2013).
Guardandoli da un'altra prospettiva con un'accezione più negativa, i regimi di visibilità legati alla disciplina e alla sorveglianza possono agevolare le funzioni di controllo dei centri di potere.
Dal punto di vista della prospettiva della partecipazione democratica, però, l'intervisibility e la visibilità della sfera pubblica rimangono i vantaggi concreti della partecipazione.
Connessa alla viabilità vi è la nozione di voce, intesa come metafora per riferirci alla formulazione di un'opinione all'interno di contesti politici (Couldry, 2010), di cui Dahlgren ne mette in evidenza il valore in sé stesso (2013). Per poter diventare concreta, la voce ha bisogno di risorse e accessibilità e non può prescindere dalla dimensione della diffusione. Di conseguenza questo comporta condizioni (mutevoli) che devono essere risolte. La voce dovrebbe essere considerata come un valore da proteggere e da promuovere, un valore che riguarda sia la nostra umanità che la democrazia, afferma Dahlgren (2009), al punto che quella che definisce una “talkative, chatting society” è, nel suo “essere in pubblico”, più orientata a rimanere democratica di una società muta.
Per ciò che concerne la “socialità”, Dahlgren sottolinea come la partecipazione sia fondamentalmente un atto sociale, basato sulla comunicazione tra le persone, e dipendente dalla socialità. L'interazione sociale, in pratica, è un prerequisito per il mantenimento della partecipazione (2009, 2013).
Per analizzarre empricamente questa dimensione torna utile definire le coordinate essenziali della portata comunicativa delle diverse piattaforme digitali, nel momento in cui si ritiene che la facilitazione dei rapporti sociali attraverso le piattaforme digitali sia essenziale per l'affermazione della politica. Baym (2010) analizza in modo dettagliato come la portata e le capacità dei vari media digitali possano incidere sull'interazione, sui loro modi di attivare segnali sociali.
Le risorse per la partecipazione
Secondo lo studioso svedese le persone per andare oltre la loro sfera privata e partecipare agli spazi pubblici devono poter disporre di un insieme di risorse culturali, da lui definite appunto “culture civiche”, che agevolino e incoraggino il loro impegno come cittadini e il loro coinvolgimento civico (Dahlgren 2009). Le culture civiche, secondo Dahlgren, sono determinate da una gamma di fattori, i cui elementi di base derivano, oltre che dai media, dai rapporti sociali di potere, dall'economia, dal sistema legale e da tutte quelle organizzazioni che possono avere un impatto in tal senso. Per ciò che concerne i media, ritenuti decisamente nodali da un’angolatura di agency che prende forma nell'immediatezza della vita quotidiana, Dahlgren pone l'accento sulla loro forma, il loro contenuto, la loro logica specifica e le loro modalità di utilizzo che diventano gli strumenti più accessibili a disposizione delle culture civiche
114 capaci di creare partecipazione.
La prospettiva delle culture civiche applicata alla nostra ricerca ci ha portato a focalizzarci sulle risorse culturali cui i cittadini possono attingere per poter partecipare al crowdmapping, sul contesto socio-culturale e politico e sulle affordances delle piattaforme e siti di crowdmapping, nonché dei relativi canali social che assumono un ruolo fondamentale e quasi costitutivo del progetto di crowdmapping.
Questo modello ci consente di specificare le modalità attraverso le quali il crowdmapping possa di fatto facilitare la partecipazione, permettendoci, inoltre, di comprendere la tipologia e gli effetti sociali di questo coinvolgimento civico. Inoltre, dal punto di vista dell'agency, le culture civiche possono divenire strumenti di empowerment per i cittadini che, a loro volta attraverso le pratiche, possono influenzare le caratteristiche delle culture civiche stesse.
Facendo nostra la proposta di Dahlgren, possiamo scomporre la struttura delle culture civiche in sei dimensioni, intimamente correlate le une alle altre:
1. conoscenza, 2. valori, 3. fiducia, 4. spazi, 5. pratiche 6. identità.
Per quanto riguarda la conoscenza, che Dahlgren declina in termini di attiva appropriazione, è palese che i cittadini ne necessitino per partecipare politicamente; questo si traduce in un accesso a report, analisi, discussioni, dibattiti che riguardino la cosa pubblica. Un aspetto cruciale di questa dimensione, tuttavia, non è solo la questione se i cittadini hanno già o meno la conoscenza di cui necessitano per poter partecipare, ma, ancora più importante, se sono in grado di acquisire una conoscenza rilevante attraverso varie strategie. L'acquisizione di conoscenza si collega, quindi, alle dimensioni delle pratiche e delle competenze. Nel mondo moderno i media giocano un ruolo chiave rispetto alla civic knowledge, che può oscillare dalla semplice risposta “si/no” ad un quesito posto dalla Pubblica Amministrazione, fino all'azione di diffusione dell'informazione da parte di network di attivisti, NGOs, citizen journalists, bloggers, e così via138. Si tratta di un processo di acquisizione di nuove informazioni che può indurre continue revisioni di conoscenza e di percezioni politiche, mentre in alcuni casi, la conoscenza viene «inibita dal fossilizzarsi di verità ideologiche che non permettono di scalfire una “background knowledge” sedimentata nel tempo e che orienta il proprio agire» (Dahlgren, 2009, traduzione mia). Inoltre, va sottolineato che il ricorso sempre più massiccio al multimediale, soprattutto tra le giovani generazioni, ha comportato negli ultimi anni un radicale cambiamento delle forme espressive delle informazioni attraverso i media, per cui si assiste alla presenza di diverse forme e registri comunicativi. Se da un lato questo può supportare il pluralismo democratico in riferimento alla conoscenza, dall'altro bisogna tenere in considerazione l'efficacia di diverse modalità di conoscenza per l'agency civica in situazioni di relazioni di potere139.
In riferimento ai valori, Dahlgren mette in rilievo che la democrazia non funziona se valori come la tolleranza e la volontà di seguire i principi e le procedure democratiche non sono ben piantati nella vita quotidiana, e che l'impegno per i valori democratici non è semplicemente una scelta razionale-cognitiva, ma coinvolge elementi di passione: «An intense enthusiasm for democratic values can evoke response, stimulate engagement, and generate action. This passion for democratic values is, in a sense, the foundation of civic virtue, the guidelines that define ideal civic behavior». D'altro canto i valori democratici possono essere negativamente condizionati dal perseguimento di valori riconducibili all'efficienza e alla razionalità strumentale per raggiungere il profitto: «this stand in sharp relief if we keep in mind that economist values of profitability and managerial efficiency pose an ever-growing threat to democratic values, not least in the contexts of the institutions of everyday life where we interact with one another» (Dahlgren, 2009).
La fiducia è da sempre vista come un elemento fondamentale per la democrazia, presentata come un'auto-evidente “buona cosa”. Dahlgren analizza il concetto di fiducia in un gruppo o tra gruppi di
138 Gli output dei media, sottolinea Dahlgren, dovrebbero essere più propriamente definiti “informazione”, e il processo di
acquisizione di conoscenza passa attraverso quello di appropriazione di tali informazioni, di integrazione in relazione ai propri frame di riferimento, e conferimento di un significato personale.
139 Secondo Schudson (1998) vi è un'eccessiva enfasi, pur non negandone la rilevanza, sull'importanza dell'informazione e della
conoscenza per espletare la funzione di cittadinanza, sottolineando come negli USA lo sviluppo di una dimensione della cittadinanza basata sui diritti individuali abbia contribuito ad introdurre, negli anni, i processi legali ai quali ricorrono sempre più spesso i cittadini, tra le pratiche civiche.
115
cittadini. A tal proposito Putnam (2000, p.136) distingue tra “thick trust” (“fiducia spessa”), basata su consolidate relazioni interpersonali, e “thin trust” (“fiducia sottile”), riferita alle aspettative di reciprocità che accordiamo alle persone che non conosciamo personalmente ma con le quali sentiamo di poter avere uno scambio soddisfacente. È quest'ultima che diventa particolarmente rilevante nei contesti civici. Senza un certo livello di “fiducia sottile”, l'azione politica collettiva diventa impossibile, così come le relazioni in rete di partecipazione civica. Questo concetto si collega a quello di capitale sociale di tipo “bridging” definito dallo stesso Putnam.
Tilly (2007) evidenzia che uno dei processi centrali della democrazia è l'integrazione di network di fiducia nella politica, richiamando l'attenzione sulle basi interattive della democrazia, dove la fiducia agevola le identità civiche e i legami sociali140. Dahlgren mette in evidenza che agire da cittadini implica sforzi collettivi e dipende da una “thin trust” minimamente funzionale. L'interazione è percepita come l'offerta di un possibile mutuo beneficio. Senza questo livello minimo di fiducia, i gruppi di attivisti, i networks, i movimenti sociali e i partiti politici non potrebbero sopravvivere. Per lo studioso svedese questo comporta un livello generalizzato e sottile di fiducia, che definisce anche “focalizzato”, poiché ha a che fare con lo sviluppare di un senso di “we-ness”, di costruzione del “noi”, su specifici temi o ideologie che comportano una condivisione di interessi e passioni.
La dimensione dello spazio, che Dahlgren definisce in termini di accesso comunicativo e contesto di azioni, è fondamentale in quanto i cittadini devono essere in grado, ed essere messi in grado, di incontrarsi e parlarsi, di sviluppare i loro sforzi politici colletttivi, dove possano agire insieme. I cittadini devono avere accesso a quegli spazi comunicativi dove le policy e i processi decisionali sono discussi.
Nelle circostanze di vita quotidiana ci sono innumerevoli spazi dove le persone possono incontrarsi ed interagire come cittadini. La dimensione degli spazi comunicativi può quindi essere vista come l'accessibilità a sfere pubbliche vitali nel “mondo della vita141” dei cittadini (Habermas, 1981). La presenza oggettiva di sfere pubbliche è sicuramente un pre-requisito, ma nel contesto delle culture civiche Dahlgren sottolinea l’importanza della loro prossimità esperienziale ai cittadini e il fatto che questi possano sentirli come spazi disponibili per loro per un uso civico. Nei media vengono sicuramente