Capitolo 2 Società digitale, partecipazione e civic engagement
2.8 Diseguaglianze e diritti digital
Il dibattito sulle diseguaglianze digitali prende avvio dalla seconda metà degli anni ’90 negli Stati Uniti, dove si attivano misure volte alla chiusura del “divario digitale” (digital divide) tra coloro che hanno e coloro che non hanno accesso (haves e have nots) alle ICT: inizialmente al computer ed al modem, successivamente soprattutto ad internet (NTIA, 1999), per cui il punto in comune delle varie misure di digital divide era la polarizzazione che classifica gli utenti in base a chi accede e chi no al web. È evidente l'approccio dicotomico delle prime teorizzazioni sul digital divide che escludevano tutti i livelli intermedi di accesso ed in evidente contrasto con lo sviluppo effettivo dell’accesso ad Internet; questo approccio teorico derivava da prospettive analitiche simili adottate per lo studio dei mass-media, che ponevano da un lato quelli che avevano accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, dall'altro quelli che non ne avevano la possibilità. In pratica si riduce il problema delle diseguaglianze digitali ad una diseguale distribuzione delle opportunità di accesso, caratteristica del primo stadio di penetrazione della tecnologia e principalmente legata a fattori economici (Negroponte,
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1995). Il divario sarebbe quindi destinato ad attenuarsi per poi sparire fisiologicamente con l'aumento dei tassi di diffusione e l'abbassamento dei costi di acquisto e utilizzo della tecnologia da parte dei cittadini, quella che da un punto di vista teorico è definita “normalizzazione”149. In quest'ottica l’intervento pubblico agisce sul processo di diffusione delle ICT intervenendo sulle caratteristiche dell’offerta allo scopo di stimolare la domanda, e col fine ultimo di accorciare il più possibile i tempi di chiusura dei divari digitali (OECD, 2001). Tuttavia, a seguito dell’evolversi del processo di diffusione delle ICT, l’analogia con il modello di “diffusione delle innovazioni” elaborato da Everett Rogers (1962), si rivela sempre più inadeguata a tener conto della complessità di un insieme di tecnologie che richiedono, per un facile accesso e un pieno utilizzo, adeguate capacità culturali e cognitive e capitale sociale, oltre a dotazioni tecnologiche, vincolate ad un continuo aggiornamento. In virtù di queste osservazioni negli ultimi anni il fronte analitico sulle diseguaglianze digitali si è decisamente allargato (Amoretti e Casula, 2008), facendo emergere una molteplicità di divari digitali che richiedono un approccio diversificato al problema (Bertot, 2003; van Dijk e Hacker, 2003; De Haan, 2004) ed evidenziando come il problema legato all’accesso non esaurisca il tema ben più ampio delle diseguaglianze digitali (digital inequalities), per le quali è necessario tenere in considerazione anche il problema delle specifiche risorse (il capitale economico, culturale e sociale di cui sopra) sulle quali gli individui possono appoggiarsi nel loro utilizzo (Katz e Rice, 2002; DiMaggio et al., 2003). L’ipotesi che emerge da diversi studi e analisi e che sembra più credibile dal punto di vista delle scienze sociali, è quella che ascrive le diseguaglianze nell’accesso alle ICT alle gerarchie sociali le quali conferiscono ad alcuni individui o gruppi posizioni privilegiate rispetto ad altri (“ipotesi della stratificazione”150), accentuando il livello delle diseguaglianze all’interno della società (Thomas, 1996; Norris, 2001; Powell e DiMaggio, 2001; Wilson et al., 2003).
Le critiche all’approccio dicotomico hanno portato gli studiosi a considerare il problema del digital divide basandosi sui concetti di “inclusione sociale” e “disuguaglianza digitale”, individuandone tre principali dimensioni: l’accesso, le competenze e l'uso. Per quanto riguarda le competenze, gli utenti ai giorni nostri devono essere in grado di padroneggiare un’enorme quantità di dati, ma anche sapersi muovere in un universo in continuo mutamento in cui vengono realizzate nuove forme comunicative (come ad esempio quelle introdotte dal Web 2.0).
Per sfruttare al meglio le potenzialità della rete è necessario raggiungere determinati livelli di alfabetizzazione digitale che dipendono in parte dalle caratteristiche della tecnologia di cui si dispone, ma anche dai tratti dell’ambiente sociale nel quale si manifestano (Bentivegna, 2009). In questo senso le competenze producono disuguaglianze a loro volta specchio di disuguaglianze sociali o culturali; van Dijk (2005), a tal proposito, afferma che le “competenze digitali” sono «l’insieme delle competenze necessarie per operare con il computer e la rete, cercare e selezionare informazioni presenti in essa e usare tali informazioni per raggiungere i propri obiettivi»; le dimensioni alle quali si riferiscono tali competenze sono: le “competenze operative”, le “competenze informazionali” e le “competenze strategiche”.
Bentivegna identifica alcuni fattori che ritiene essere i nessi causali che possono condizionare il livello di digital divide delle persone, tra questi: il posizionamento dell’individuo nel sistema sociale (influisce sulla determinazione delle risorse a cui può accedere); le risorse individuali (determinano tempi e modalità di appropriazione tecnologica); l’appropriazione tecnologica (influenza il livello di partecipazione sociale); l’inclusione e la partecipazione sociale. In riferimento all’ultimo nesso, le variabili che illustrano il posizionamento dell’individuo all’interno della società possono essere “personali” (età, sesso, gruppo etnico, ecc.) o “di contesto” (educazione, posizione nel mercato del lavoro, caratteristiche del nucleo familiare, ecc.); una differenziazione, questa, che può essere spiegata anche in termini di “variabili individuali” e “variabili sociali”. Tali variabili esercitano un’influenza nell’accesso alle risorse, che possono essere a loro volta identificate come risorse “fisiche”, “culturali”,
149 Secondo l'ipotesi della normalizzazione, il divario digitale attualmente esistente verrà progressivamente superato e, man
mano che la tecnologia sarà disponibile a costi minori e con interfacce più semplici, si arriverà ad un generale livellamento. Attraverso una similitudine con ciò che è avvenuto per l’uso della televisione, del frigorifero, della lavatrice e dell’automobile, si prevede che le iniziali disuguaglianze saranno nel tempo colmate. In sostanza l’attuale divario è solo temporaneo e tenderà ad annullarsi nel tempo.
150 L’ipotesi della stratificazione si riferisce alla possibilità che il divario digitale si inserisca in una struttura sociale già
polarizzata per motivi di ordine economico, culturale e sociale, e vada quindi ad accentuare le disuguaglianze preesistenti. Essa prevede che, chi si trova in posizione di relativo vantaggio, consolidi, ed eventualmente incrementi, tali privilegi a svantaggio delle categorie di consumatori più lente nell’adozione della nuova tecnologia; in tal modo non sarà mai possibile colmare le differenze tra le due diverse categorie sociali.
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“relazionali” e “comunicative”. L'appropriazione tecnologica rappresenta la disponibilità di un accesso fisico ad Internet gestito con buona autonomia e di una banda larga, e si riflette sul livello di soddisfazione dell’utente e sull’ampiezza delle possibilità disponibili (accesso ma anche produzione di informazioni). Questa condizione favorevole influisce sul processo di acquisizione di competenze digitali articolate; i precedenti due punti, insieme, permettono all’individuo di beneficiare delle opportunità offerte dalla rete in diversi ambiti della quotidianità (appropriazione tecnologica). Quando tale processo ha esiti positivi vi sarà un feedback che richiederà l’ampliamento ulteriore dell’offerta di Internet accelerandone l’evoluzione. Quando si otterranno esiti negativi nasceranno nuove forme di disuguaglianza digitale (Bentivegna, 2009).
Al concetto di digital divide si può, inoltre, muovere l'obiezione di contenere elementi che fanno capo al cosiddetto determinismo tecnologico per cui il divario si riduce a quello dell'accesso alle tecnologie digitali, marginalizzando il peso degli altri fattori che contribuiscono a creare condizioni di disuguaglianza sociale. Contro questo approccio, che focalizza l'attenzione sulle tecnologie piuttosto che sulle trasformazioni sociali, Warschauer (2003) illustra in maniera convincente alcuni fallimenti di esperienze miranti a migliorare la vita quotidiana dei cittadini attraverso l'uso delle nuove tecnologie.
Dall'India all'Egitto, le esperienze negative verificatesi consentono allo studioso di concludere che «l'accesso è il frutto dell'azione di un complesso insieme di fattori che fanno riferimento a risorse fisiche, digitali, umane, sociali e relazionali» (2003, p.6).
Il concetto di digital divide, ritenuto ormai da molto studiosi limitativo per giustificare le diseguaglianze digitali, è stato progressivamente esteso, non solo per ciò che concerne le diverse sfaccettature dell'accesso materiale a Internet, ma soprattutto in riferimento a quello che Hargittai (2002) denomina “second-level digital divide”. Con questa espressione si indicano le diversità nell'uso della Rete che affiorano tra le persone che hanno già accesso alla Rete, a prescindere dalle condizioni materiali della loro connessione a Internet. Per ciò che attiene a possibili influenze dell'uso dei media digitali sul sistema delle disuguaglianze sociali, le differenze nella capacità di sfruttare le potenzialità informative, relazionali, partecipative di Internet stanno così guadagnando attenzione rispetto alla semplice mancanza o presenza di connessione.
Ai nostri giorni il digital divide, in particolar modo nei paesi occidentali, in termini di divario di accesso materiale ad Internet, sta calando in maniera significativa, pur emergendone di nuovi: i problemi relativi al digital divide sembrano, come sintetizza efficacemente van Dijk (2005,p.2), “approfondirsi” nel momento in cui hanno smesso di “allargarsi”. In pratica quanto maggiore, cioè, è l'accesso a Internet tra la popolazione, tanto più diventa fondamentale capire cosa le persone fanno di questo strumento e fino a che punto riescono ad essere capitalizzate le opportunità potenzialmente offerte da esso. La complessità tecnica e formale dei media digitali, insieme all'ampio range di attività che possono supportare, comporta un uso estremamente differenziato da parte delle persone. Questa differenziazione si basa in gran parte sulle risorse culturali e sociali degli individui ed è quindi una potenziale fonte di disparità.
Le diseguaglianze nell’accesso ed utilizzo delle ICT non sempre si riducono col diffondersi di queste ultime nella società e sembrano legate, prima ancora che ai fattori economici, a gerarchie sociali (Casula, 2010). Tuttavia tali gerarchie non sono “fisse”, ma rinegoziabili sia a livello individuale che a livello sistemico.
La teoria del “knowledge gap” (Tichenor et al., 1970), si occupa esplicitamente delle differenze nelle “competenze d’uso” dei media, ritenendo il funzionamento dei media una possibile causa di disuguaglianza, e non solo un effetto di essa. Essa afferma infatti che, a parità di penetrazione dei media informativi, i segmenti di popolazione con lo status socio-economico più alto tendono ad acquisire l’informazione più velocemente dei segmenti di più basso livello socio-economico, così che lo scarto di conoscenza nel sistema sociale tende a crescere piuttosto che a diminuire. Non a caso, la teoria del “knowledge gap” viene richiamata di frequente negli studi sugli effetti dei nuovi media (Bonfadelli, 2002; DiMaggio et al., 2004, p.29; Van Dijk, 2005, p.125; Sartori, 2011, p.43).
Parallelamente alle mutazioni del panorama sociale si assiste al cambiamento del concetto e delle manifestazioni della disuguaglianza sociale. Sassi (2005, p.693), riferendosi a Castells (1996), descrive il nuovo sistema sociale come caratterizzato da una tendenza crescente verso la polarizzazione, cioè la crescita simultanea al vertice e al fondo della scala sociale. Dalla teoria di Castells emerge che, per certi versi paradossalmente, l’organizzazione a rete agevola la separazione tra segmenti diversi della società, poichè prevale l’interesse a collegare nodi simili tra loro che possano facilmente produrre valore attraverso la cooperazione in momenti specifici.
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connesso a nuove dinamiche di creazione di disuguaglianza. «Nella società informazionale la disuguaglianza tende ad essere definita sempre meno dai rapporti di produzione tra una struttura produttiva e i lavoratori (Lash, 2007). Questo era il paradigma della disuguaglianza nella società industriale. Oggi, l’esclusione sta diventando più importante dello sfruttamento come fonte di disparità» (Sassi, 2005, p.691).
Sia Castells che Lash concludono che la disuguaglianza nella società informazionale è strutturale e non contingente. Ciò che è rilevante nel loro ragionamento è il modo con cui le ICT sono concepite: non solo come un nuovo tipo di medium comunicativo ma anche come una infrastruttura in molti modi connessa alla creazione di disuguaglianza (ibidem, p.694).
Sassi (2005, pag. 694) sintetizza così, sulla base dei lavori di Castells e Lash, il rapporto strutturale che va delineandosi tra ICT e disuguaglianza sociale:«Both Castells and Lash are concerned about the global economic order and describe it as informational and as capitalist as ever. Thus they conclude that the inequality of the information age is structural and not contingent. What is noteworthy in their reasoning is how ICT is conceived, not just as another medium, but as an infrastructure in many ways connected to inequalities. It even assists in deepening the disparities.».
La tradizione sociologica degli studi sulla disuguaglianza, come fanno notare DiMaggio e Hargittai (2004, p.4), ha riservato molte attenzioni alle tecnologie della produzione e molto poche alle tecnologie di consumo, tra le quali rientrano le tecnologie della comunicazione. L'ipotesi di alcuni recenti studi sulla disuguaglianza digitale, invece, è che le tecnologie del consumo stiano acquisendo maggiore importanza nel sistema delle disuguaglianze della post-modernità.
Oggi è sempre più difficile parlare di disuguaglianza senza prendere in considerazione concetti come il capitale sociale, le reti informali, la quantità e la qualità di informazioni disponibili, cioè i supporti instabili con cui l'individuo in rete ottiene la sua centralità sociale. Tra essi, il consumo di Internet è un nuovo ed importantissimo campo d'azione sociale per l'individuo e, conseguentemente, si può ipotizzare che possa diventare un luogo emergente di creazione di disuguaglianza.
Secondo Gui (2013) l'attuale dibattito sul digital divide inteso come differenza nella possibilità di accesso fisico alla Rete, è solo una piccola parte di un problema molto più grande e generale, che si apre nel momento in cui le possibilità di uso dei media dipendono sempre più direttamente dalle risorse culturali e sociali degli individui. Ciò acquista particolare rilevanza laddove il cambiamento sociale sposta a livello individuale la competizione per alcuni importanti elementi della centralità sociale e della costruzione dell'identità individuale: l’inserimento nel mondo del lavoro, in reti relazionali rilevanti per la propria inclusione sociale, la partecipazione al dibattito pubblico, l'informazione approfondita.
Nelle ultime due decadi nella UE si assiste ad una sempre più chiara riduzione del divario di accesso a Internet tra i segmenti della popolazione con diversi livelli di istruzione, condizione economica (Mossberger et al., 2003; Bentivegna, 2009) e genere (Liff et al., 2004). In particolare, nella popolazione giovane tali trend di “chiusura” del divario digitale si sono resi visibili in maniera ancora più netta. Persistono, e in taluni casi si allargano, delle differenze inerenti ai diversi usi della Rete. Più in particolare, chi possiede un capitale culturale più elevato è più probabile che possa dare vita a pratiche di “capital enhancing” (Hargittai e Hinnant, 2008), che a loro volta potrebbero apportare un beneficio per i propri beni relazionali (Bonfadelli, 2002; Van Dijk, 2005; Zillien e Hargittai, 2009).
Van Dijk mette in rilievo che al colmare il divario digitale in termini di possibilità di connessione, prende vita un'altra forma di divide per certi versi ancora più profondo, che riguarda le opportunità d’uso e di sfruttamento della rete e che condurrà ad un inasprimento della disuguaglianza sociale. In questo senso, tutti i più importanti indicatori di uso del digitale (frequenza d’uso, tipi di uso, range degli utilizzi), incrociati con le variabili socio-demografiche, hanno riproposto una gerarchia analoga alla stratificazione sociale: chi ha più risorse è più incluso nel mondo digitale, smentendo le ipotesi di un processo di normalizzazione del digital divide (Sartori, 2006).
La notevole diffusione degli smartphone, che ha indotto un ulteriore aumento della diffusione della connessione alla rete, ha complicato ancora di più il quadro analitico delle disuguaglianze digitali, in quanto la corrispondenza tra la posizione sociale e le opportunità di accesso risulta essere ancora meno visibile. Per quanto riguarda gli usi della Rete nel contesto di questo quadro teorico, è da rilevare che le pratiche connesse ai social network sembrano ormai quasi universalmente presenti (Gui, 2013); altri usi ascrivibili al capital enhancing, come ad esempio gli UGC (User Generated Content), cominciano a non essere più sottorappresentati nelle categorie meno avvantaggiate (Correa e Jeong, 2011). Da considerare, inoltre, il sovra-consumo di comunicazione e la cosiddetta “digital saturation”, rilevata contestualmente alla diffusione degli smartphone (Turkle, 2012). Il sovra-consumo può essere un problema rilevante poiché inverte l’impostazione della teoria della disuguaglianza digitale: maggiore è l'utilizzo e maggiore
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è il disagio anziché l'inclusione digitale; in pratica una volta terminata la fase iniziale di diffusione nella quale gli early adopters sperimentano varie tipologie d’uso, la diffusione di massa dei nuovi media porta a differenziazioni non più fondate sull’equazione tra maggiore utilizzo e maggiore inclusione.
Anche le attività che hanno a che fare con la produzione e la pubblicazione online di contenuti autoprodotti sono state considerate un fattore di vantaggio sociale e la frequenza di tali pratiche è stata utilizzata come indicatore di “partecipazione digitale” (Jenkins, 2006). Lenhart et al. (2005), usando dati del Pew Internet & American Life Project, mostrano che le persone con alto background socio- economico producono e pubblicano contenuti sul web più frequentemente. Anche Hargittai e Walejko (2008), in base alle loro ricerche hanno dedotto che i ragazzi delle classi sociali più avvantaggiate sono quelli che producono maggiori contenuti nei social network sites. Sulla base di questi risultati, le autrici hanno identificato il concetto di “participation divide”. Negli anni più recenti, però, alcune ricerche hanno messo in discussione questo risultato, mostrando che nei segmenti sociali con meno risorse la produzione di contenuti digitali sta diventando sempre più frequente.
Il filosofo dell’informazione Luciano Floridi afferma che «Internet promuove la crescita della conoscenza creando al contempo forme di ignoranza senza precedenti. Il processo non è affatto insolito nella storia della tecnologia. Ogniqualvolta appare una trasformazione radicale del modo in cui manipoliamo la nostra conoscenza, alcuni individui sono lasciati indietro, privi di istruzione, mentre la nuova tecnologia rende coloro che la dominano improvvisamente coscienti di ulteriori spazi intellettuali ancora da esplorare» (2012).
Bentivegna pone l'accento sul gap tra le aspettative di emancipazione e partecipazione dei cittadini che accompagnavano la diffusione di Internet, indotte soprattutto dall'uso di Internet in ambito politico come nel caso di smart mob e citizen journalism, e la realtà effettiva che risulta ancora contraddistinta da dittature e l'anelata emancipazione e partecipazione dei cittadini è ancora parziale (2009). È da tenere in conto, inoltre, che le criticità che hanno caratterizzato le pratiche di cittadinanza sin dal loro esordio nell'ordinamento democratico, tendono a riaffiorare nuovamente: disparità economiche ed esclusione sociale destabilizzano alla base la potenziale azione democratizzante offerta dai meccanismi della Rete; allo stesso modo, le stesse dinamiche di accesso e modalità di fruizione della Rete sembrano dare vita, direttamente o indirettamente, ad inedite forme di diseguaglianza e di esclusione. Quello a cui si assiste è da un lato l'incremento delle possibilità di presa di parola, ma dall'altro le previsioni di emancipazione e partecipazione dei cittadini che accompagnano la diffusione di Internet continuano a realizzarsi solo in parte (Bentivegna, 2010). Accanto a un settore di società messo in grado di partecipare alla cultura di Internet nelle sue diverse accezioni, che palesa vivacità e intraprendenza, esiste un'altro settore di società che rimane da parte e indifferente rispetto alla cultura, le dinamiche, le potenzialità informative, partecipative e relazionali della rete. La “network society” produce e istituzionalizza il network come modello diffuso di relazioni umane e sociali dove l'informazione ne rappresenta il tratto caratterizzante (Castells, 2002): l'impossibilità di accedere a tale modello organizzativo porta con sé un rischio di esclusione sociale e un rafforzamento della polarizzazione, una forbice sociale che vede da un lato i “cittadini globali” e dall'altro i “cittadini esclusi” (Bauman, 1999). Il rischio di esclusione dalla cittadinanza politica e culturale che potrebbe riguardare centinaia di milioni di individui si fa concreto e potrebbe minare alla base la coesione sociale necessaria alla convivenza civile.
Le differenze di opportunità informative tra gli individui, le diversità nell'uso e nella valorizzazione dei media possono costituire, a tutti gli effetti, una fonte di disuguaglianza sociale.
Queste criticità rendono centrale la questione dei “diritti digitali”. Le nuove forme di cittadinanza mediata e le trasformazioni che hanno coinvolto la sfera pubblica, intrecciata sempre più a quella privata, hanno portato alla ribalta il dibattito sulla costituzionalizzazione del cyberspazio, oggetto della nuova frontiera dell’iniziativa politica e dell’elaborazione teorica (Amoretti, Gargiulo, 2009). Non si tratta, secondo Rodotà, soltanto di conservare e potenziare le antiche garanzie costituzionali e di predisporne di nuove laddove l’innovazione tecnologica impatta su materie sensibili. E’ l’insieme dei diritti e delle libertà fondamentali “della modernità costituzionale” a dover essere ricostruito e riadattato all’ambiente tecnologico nel quale vengono esercitati (Rodotà, 2004).
Amoretti e Gargiulo sottolineano come le politiche per i diritti di cittadinanza digitale corrano il rischio di non sottrarsi al destino cui è andata incontro la cittadinanza fin dalle origini, quello cioè di essere intrinsecamente un meccanismo che, se da un lato può favorire processi inclusivi, dall'altro spinge fuori, escludendo fasce della popolazione (2009).