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gli attori locali

1.4.3 Tra Trieste e le Zona B: la macchina del CLNI

1.4.3.2 Assistenza e selezione politica

1.4.3.2.1 Comunità istriane e finalità governative

La questione della selezione politica attuata a Trieste dal CLNI non può essere relegata nella dimensione di una pratica marginale adottata da un ente periferico. Il modellare

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IRCI, Fondo CLNI, Seg. 16, n. 3452. 214 Ivi, Seg. 1.

politicamente le caratteristiche strutturali delle comunità esuli faceva parte di un piano assai più complesso, che vedeva tra le sue principali artefici le istituzioni del governo italiano.

Che il processo di selezione avviato dal CLNI fosse perfettamente conosciuto e approvato a livello istituzionale lo dimostra una serie di corrispondenze avviate dall’onorevole Terracini nell’estate del 1950, al quale erano giunte voci sulle pratiche discriminatorie seguite dal CLNI nella distribuzione di certificazioni e sussidi. L’onorevole decise di scrivere ad Andreotti, allora sottosegretario alla PCM e supervisore delle attività dell’UZC, per chiedere chiarimenti e invocare provvedimenti:

«Onorevole Sottosegretario,

Le sarei grato se Ella volesse nei modi opportuni intervenire presso i responsabili del C.L.N. dell’Istria, sede di Trieste, il quale, amministrando fondi messi a sua disposizione anche dal Governo della Repubblica, è incaricato dell’assistenza dei profughi italiani della Zona B.

Da varie parti mi si segnala infatti che detto comitato, nello svolgimento dell’opera assistenziale, applica criteri di discriminazione per i quali tutti i profughi politicamente qualificati o sospetti in senso antigovernativo sono esclusi dai benefici per i quali avrebbero invece titolo. […]

Il popolo italiano è solidale con tutti gli italiani che sono vittima dei metodi persecutori instaurati dalle autorità jugoslave nella Zona B del Territorio Libero di Trieste; ed esso appoggia l’azione del governo diretto ad alleviarne le maggiori sofferenze ed i più gravi sacrifici. Nessuna distinzione potrebbe essere e sarebbe tollerata ove se ne venisse a conoscenza.

Segnalandone a Lei la reiterata applicazione, confido in un intervento che riesca a porvi fine.»215

Andreotti inoltrò la segnalazione di Terracini alla Rappresentanza italiana a Trieste, la quale in via ufficiale rispose:

«[…] si osserva che dagli elementi in possesso da questo ufficio non risulta che nello svolgimento dell’attività assistenziale a favore dei profughi della Zona B il C.L.N. dell’Istria applichi criteri di discriminazione, a seconda della fede politica dei singoli richiedenti.»216

Nel giro di qualche giorno il reggente della Rappresentanza, Paulucci, avrebbe però specificato in una lettera privata inviata ad Andreotti i criteri di selezione attuati dal CLNI:

«Il C.L.N. dell’Istria svolge una diretta attività assistenziale esclusivamente a favore degli istriani tuttora residenti in Zona B, nel mentre l’assistenza agli esuli è devoluta all’ufficio di zona della A.P. [Assistenza Postbellica]. In questo secondo caso il C.L.N. si limita a segnalare i precedenti morali e politici dei singoli profughi al predetto Ufficio, che, giusta accordi a suo tempo intervenuti in proposito, ne tiene conto agli effetti della erogazione delle prestazioni assistenziali.

215

UZC, Sez. II, FVG, Trieste, b. 48 vol. II, n. 3423. 216 Ivi, telespresso n. 3250 del 07.07.1950.

In genere viene negata l’assistenza soltanto a coloro che, dopo essersi resi complici materiali e morali dei titini nella opera di infoibamento, di deportazione, di persecuzione, degli italiani, aver decantato la Jugoslavia come il paradiso terrestre ed aver chiesto a gran voce l’annessione di queste terre alla R.F.P.J., oggi preferiscono abbandonare la zona B e rifugiarsi a Trieste. Se anche questi individui dovessero essere ammessi alle prestazioni assistenziali, ciò non mancherebbe di suscitare la più aspra e violenta reazione da parte degli altri profughi, come già qualche volta avvenuto.»217

In qualche modo Paulucci confermava che i criteri adottati dal CLNI erano perfettamente condivisi dalla Rappresentanza e con lei sia dal MAE che in generale anche dall’UZC, che agiva in concerto con le altre istituzioni governative.

L’idea di esercitare strategie di monitoraggio e controllo sociale attraverso le politiche assistenziali non era comunque un’invenzione del secondo dopoguerra, ma una prassi che era stata inaugurata dopo il primo conflitto mondiale e che si era consolidata durante il periodo fascista. Soprattutto il confine orientale aveva rappresentato un’interessante palestra per avviare esperimenti che consentissero di verificare come la politica del consenso potesse passare attraverso interventi di welfare. La specificità di questi territori era determinata dalla povertà endemica che soprattutto tra le due guerre aveva caratterizzato l’Istria, oggetto di un’autentica emergenza sanitaria soprattutto per quanto riguardava i numeri della mortalità infantile e le febbri malariche.218 L’intervento assistenziale e sanitario avrebbe dovuto prevenire le lacerazioni sociali che rischiavano di intervenire in un territorio non solo povero ed arretrato, ma anche fortemente provato dalle vicende belliche, favorendo una coesione che sarebbe tornata utile anche a fini meramente propagandistici, dato che uno dei problemi di maggior rilievo era quello di riuscire a creare meccanismi di affezione nei confronti della nuova compagine statale di cui questi territori erano divenuti parte a seguito della Grande Guerra. L’educazione all’italianità dunque passava anche attraverso le politiche assistenziali, e in tal senso significativa era l’azione svolta dalla Lega Nazionale e dall’ONAIR (Opera Nazionale Italia Redenta), ente filantropico fondato nel 1919 con lo scopo di aiutare i bambini dei territori annessi provati dagli anni del conflitto. Con l’affermarsi del fascismo ben presto tali enti vennero riassorbiti completamente dalle strutture di regime, che mirarono a monopolizzare il controllo delle politiche di welfare sul territorio. Sarà in questo periodo che si consoliderà un sistema di erogazione di servizi programmato non solo per migliorare la qualità della vita e per mostrare il volto “buono” di un regime che fece dell’assistenza uno strumento di propaganda, ma anche di controllo sistematico delle famiglie assistite, le cui tessere e certificazioni venivano erogate periodicamente da impiegati di partito e dai gruppi rionali del PNF.219 In questo modo assistenza, controllo e propaganda finirono per divenire parte di un unico progetto per la gestione del territorio, in un insieme di scopi e di modalità che finirono per traghettarsi in maniera indisturbata fino alle vicende del secondo dopoguerra, nonostante un insieme di necessità completamente diverso e l’intervento di soggetti del

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Ivi, 200/3423.

218 A.M. Vinci, Una lunga emergenza sociale, cit., Silvia Bon Gherardi, Lucio Lubiana, Anna Millo, Anna Maria Vinci, Lorena Vanello, prefazione di Teodoro Sala, L’Istria tra le due guerre. Contributi per una storia sociale, Ediesse, Roma, 1985. Cfr. Capitolo 2, par. 1.4.2.

tutto nuovi. Il governo italiano e gli enti locali come il CLNI non avevano infatti fatto fatica a cogliere l’importanza di una oculata gestione del problema dei profughi in vista di un rafforzamento del sentimento nazionale sul territorio, funzionale alla difesa dell’italianità delle aree contese. L’obiettivo era sempre lo stesso: quello di rafforzare in chiave nazionale i profili identitari della popolazione italiana in corrispondenza della frontiera, dove coesistevano da secoli lingue, culture ed etnie diverse, in una compenetrazione che avrebbe reso difficile una chiara demarcazione territoriale e nazionale. Obiettivo che non poteva che rafforzarsi nell’ambito di uno scontro internazionale nel quale si stava consumando un conflitto non solo di attribuzione di aree di competenza, ma anche politico e culturale. La questione degli esuli dunque rientrava perfettamente nelle logiche nazionali e internazionali che si stavano consumando alla frontiera orientale italiana, e la selezione politica esercitata attraverso l’assistenza rientrava in un quadro di intervento molto preciso e strutturato: lo sfruttamento dell’identità politica di una comunità per scopi elettorali legati al conseguimento degli obiettivi stabiliti dal governo italiano circa il destino dei territori giuliani.

Operare una manipolazione identitaria in senso nazionale degli istriani provenienti dalla Zona B non era poi un’operazione così complessa. L’intero fenomeno dell’esodo era stato presentato dalle autorità italiane, per lo meno all’inizio, come un vero e proprio plebiscito a favore dell’italianità di quelle terre e gli stessi profughi avevano respirato per decenni una propaganda che aveva fortemente radicalizzato i sentimenti di appartenenza all’elemento italiano e alle sue tradizioni, religiose e culturali. Nella rappresentazione semplificata di uno scontro tra popoli, gli esuli e gli italiani che avevano scelto di rimanere in Istria rappresentavano in modo diverso baluardi difensivi di comunità italiane la cui compattezza e la cui omogeneità secolare bastavano da sole a elencare le ragioni che rendevano necessaria la continuità della loro presenza sul territorio, possibile solo attraverso l’annessione della Venezia Giulia all’Italia. Per tali ragioni le comunità esuli vennero costruite non solo attraverso la creazione di identità politiche precise, ma rafforzando una rappresentazione che permetteva il mantenimento di tradizioni, consuetudini sociali e rapporti che consentivano la persistenza di un legame forte con i luoghi di provenienza.220 Per questo motivo l’organizzazione degli esuli da parte del CLNI su base comunitaria assumeva un’importanza cruciale non solo sul piano meramente organizzativo ma anche su quello della conservazione di quei legami sociali che rendevano fattibile la creazione di gruppi compattamente riuniti nella nostalgia per le città abbandonate e nel rancore provocato da una situazione di disagio comune, oltre che cementati dalle relazioni in parte già consolidatesi nel periodo antecedente all’esodo. Tale compattezza era necessaria dal momento che gli esuli rappresentavano una roccaforte del sostegno alla causa filo-italiana, il che consentiva al CLNI di ritagliarsi uno spazio importante nel cosiddetto “Fronte italiano” in qualità di rappresentante di uno dei motori dell’italianità giuliana più potenti e strutturati. Il successo di tale strategia venne ben presto decretato dalla capacità dei gruppi istriani di farsi strada nella classe dirigente triestina, rifondando proprie associazioni ed organismi politici e culturali in grado di fare da

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Sandi Volk, Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell'italianità sul confine orientale,

trampolino di lancio per brillanti carriere politiche da parte di singoli che, capaci di occupare la scena nazionale, seppero costruire sulla storia dell’esodo una efficace e duratura mitologia nazionale fondata sulla «tragedia istriana» e sui suoi «martiri».221 Il ruolo che tali gruppi andarono progressivamente ricoprendo, finirono per renderli uno strumento potente nelle mani del governo, che fece del fenomeno e della sapiente orchestrazione delle politiche assistenziali e dei criteri alloggiativi i mezzi concreti di attuazione di quella che Volk definisce una «bonifica nazionale» del territorio di Trieste e del suo hinterland, finalizzata ad alterare gli atteggiamenti elettorali di borghi segnati tradizionalmente dalla presenza maggioritaria di sloveni e di una città culturalmente laica, i cui tratti storici facevano presagire una difficile affermazione elettorale della DC. Proprio gli esuli invece rappresentarono per quel partito un importante bacino di voti e un fondamentale centro propulsore dal punto di vista propagandistico ed elettorale, permettendo l’affermazione di personalità politiche fortemente legate alle comunità istriane, uno per tutti il sindaco Giovanni Bartoli, che rivestì la carica di primo cittadino dal 1948 al 1957.222 La mobilitazione degli esuli in corrispondenza dei momenti di maggior agitazione durante manifestazioni di piazza o durante le tornate elettorali era infatti stata uno dei punti fermi dell’azione del CLNI, che si era preoccupato fin dalla sua fondazione di ricercare strumenti e linguaggi capaci di dare agli esuli la giusta determinazione nel prendere parte alla vita politica della città:

«Si parla – quindi- sul presente assenteismo degli esuli, rilevato specie in occasione delle recenti manifestazioni a Trieste e si vorrebbe che il Comitato facesse qualche cosa per spronarli. Bassi propone che si affidi ad una persona l’incarico di farsi promotore dell’organizzazione degli elementi attivi.»223

I soggetti individuati per gestire gli aspetti politici della vita sociale degli esuli appartenenti ai vari comuni furono i fiduciari, i quali rappresentavano non solo i responsabili della distribuzione dei sussidi, ma esercitavano un costante monitoraggio sui beneficiari dell’assistenza, verificando che ciascuno mantenesse un contegno adeguato nell’ambito della “famiglia istriana”, chiamata a muoversi compattamente in caso di necessità:

«Nella breve relazione del Presidente viene fatto accenno alla imminente manifestazione che dovrebbe svolgersi in città. Alla relativa organizzazione per la parte di nostra competenza sovrintenderà il signor Vascotto, il quale, oltre alla preparazione in tutti i settori, curerà la convocazione di un’assemblea degli esuli fruenti del sussidio mensa che dovranno venir invitati a tenersi anch’essi pronti ad ogni chiamata.»224

Era dunque chiaro che la concessione del sussidio poteva tradursi in molteplici e contraddittorie possibilità: da un lato l’accesso all’interno di una grande e strutturata

221

Ivi, pp. 313-327.

222 R. Pupo, Trieste ’45, cit., p. 285, ID., Tempi nuovi, uomini nuovi: La classe dirigente amministrativa a

Trieste 1945-1956, in «Italia contemporanea» n.231, INSMLI, Milano, giugno 2003.

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IRCI, Fondo CLNI, verbale 15.05.1946. 224 Ivi, verbale 07.05.1948.

comunità in grado di fare da garante per l’ottenimento di un più facile reinserimento nella vita sociale da parte degli esuli, dall’altro uno strumento di controllo che si traduceva in autentico orientamento politico dei comportamenti e della attività sociali dei singoli inquadrati nei gruppi istriani. In questo modo la comunità esule, selezionata politicamente secondo rigidi parametri anti-comunisti e orientata dalle direttive dell’ente che ne garantiva la copertura economica e assistenziale, diveniva un’autentica macchina propagandistica ed elettorale che senza ombra di dubbio seppe incidere sugli esiti delle vicende politiche del territorio e sulla formazione di un’opinione pubblica strutturata come quella giuliana.

L’operazione di controllo e selezione del fenomeno su base politica ebbe tra i suoi risvolti concreti più drammatici quello dei cosiddetti “profughi indesiderabili”. La linea di condotta tenuta nei confronti degli esuli fu in generale quella di lasciarne il maggior numero possibile a Trieste e nei suoi sobborghi, affinché potessero essere agevolati nel mantenere i contatti con il territorio d’origine, le relazioni costruite prima dell’esodo e la generale coesione tra gruppi familiari. Quando il fenomeno andò però intensificandosi, nonostante gli sforzi spesi dalla PCM e dal CLNI nel convincere buona parte dei residenti in Zona B a rimanere nelle proprie città, divenne subito evidente che il capoluogo giuliano si sarebbe rivelato incapace di assorbire la massa d’urto di migliaia di persone arrivate senza lavoro e spesso in stati di indigenza. Per questo motivo il governo italiano optò per il trasferimento e l’emigrazione programmata di migliaia di unità verso altre località italiane e verso l’Australia. Per il CLNI si trattò di un momento difficile, dato che era stato tra gli enti che con più vivacità avevano sostenuto la necessità di lasciare il maggior numero possibile di profughi a Trieste, al fine di ingrossare i numeri dei suoi iscritti e di rafforzare le fila della causa italiana, nella speranza di poterli riavviare alle loro case in occasione dell’annessione della zona jugoslava all’Italia. Per questo motivo il CLNI scelse di seguire precisi criteri nella selezione e nella scelta dei profughi da allontanare:

«Dopo aver preso accordi con il signor Capo dell’Ufficio Assistenza e con i signori capimensa, La prego voler segnalare allo scrivente in forma riservatissima i nominativi di tutti gli elementi che vengono proposti per l’invio in Italia perché nocivi alla comunità italiana e al buon nome degli esuli istriani.

L’elenco deve venir corredato da tutti i dati delle persone inclusevi e dell’indicazione dei motivi per cui viene richiesto l’allontanamento (non semplicemente “indesiderabile” ma persona che ha commesso questi e questi atti…..che si comporta in questo modo….ecc. ecc.-

La segnalazione riveste carattere di estrema urgenza.»225

Questa comunicazione del 1948 inviata da Rovatti, segretario del CLNI, al coordinatore della giunta intercomunale, rimase in realtà inevasa molto a lungo, dato che la questione degli indesiderabili si può riscontrare nuovamente tra gli incartamenti delle istituzioni centrali solo nel novembre del 1953, quando De Castro, nel frattempo diventato Consigliere politico italiano per la Zona A, scrisse al Ministro Zoppi:

«Ho parlato oggi e ieri sera stesso con il dr. Fabbri, capo dell’Ufficio CIME226 di Trieste. […]

Attualmente la situazione è in questi termini:

1) L’Australia ha richiesto urgentemente 2000 profughi. […] Il dr. Fabbri ritiene di poterne raccoglierne non più di 1000 per l’Australia stessa selezionandoli nei campi profughi balcanici che vivono in questa città fuori campo.

2) Gli altri mille dovrebbero essere profughi istriani. A questo proposito penso che le 1000 persone dovrebbero essere scelte tra i profughi delle terre cedute o anche della Zona B in base a controlli da farsi tramite il C.L.N. dell’Istria, in modo da mandare via le persone malfide. Non tutti gli optanti hanno sentimenti di italianità che siano oro purissimo, anche se hanno preferito l’Italia alla Jugoslavia.»227

Probabilmente la sollecitazione venne accolta dato che poco tempo dopo sempre De Castro avrebbe aggiornato sulla questione anche la Direzione Affari Politici del MAE:

«La locale Missione di collegamento CIME ha ricevuto istruzioni dalla Direzione Generale di Ginevra di predisporre al più presto un piano di emigrazione per l’Australia per 2.100 esuli giuliani, che dovrebbero imbarcarsi a Trieste in vari scaglioni il 30 giungo p.v. […]

Il capo della missione CIME ha chiesto la collaborazione di questo Ufficio per poter dare corso al programma di emigrazione sopra specificato. A tal fine questo Ufficio, prenderà subito contatto con il Presidente del C.L.N. dell’Istria, tenendo presenti i criteri politici di selezione indicati da codesto Ministero con il telespresso di riferimento.»228

Alla prima tranche di partenze ne sarebbero seguite delle altre, dato che nel corso del 1955 il CLNI riproponeva la questione nei seguenti termini al Ministero dell’Interno:

«Come certamente sarà già a conoscenza della S.V. in questo ultimo periodo di tempo questo Comitato ha potuto accertare che fra i profughi, cittadini italiani, provenienti dalla Zona B, ci sono diverse persone che hanno attivamente collaborato con le autorità jugoslave a danno dei nostri connazionali e degli interessi politico-nazionali dell’Istria. […]

Poiché nella maggioranza dei casi trattasi di persone particolarmente note – anche di nazionalità italiana – che hanno svolto la loro attività collaborazionistica e persecutoria in tutti i centri istriani, la presenza di tali individui a Trieste sta determinando malumore e fermento nell’ambiente dei profughi, specie per il fatto che molti indesiderabili vengono immessi negli alloggi collettivi per profughi, venendosi a trovare a stretto contatto con le persone da essi perseguitate. […] Non si può a priori escludere che si verifichino incidenti o reazioni da parte dei profughi.»229

226

Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee (CIME), che era subentrato nel 1951 all’IRO,

l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati, creato per far fronte al problema dei profughi in Europa provenienti dai paesi sottoposti al blocco comunista.

227

AMAE, Affari Politici 1950-1957, b. 651, n. 3882. 228

Ivi, b. 693, telespresso n. 65/1951/2. 229 ACS, MI, Gabinetto, b. 235, n. 442/17052.

La compresenza di profughi selezionati dal CLNI con esuli non dotati di certificazione ma ugualmente assistiti era dovuta al fatto che coloro che non avevano ottenuto la necessaria attestazione dal CLNI potevano comunque ricevere un’assistenza basilare comprendente vitto e alloggio dalla Postbellica. Tale situazione aveva esposto il CLNI alle dure critiche dei suoi stessi assistiti, che avevano infondatamente accusato l’ente di foraggiare con sussidi e aiuti materiali istriani di dubbia “italianità”. Per l’associazione istriana era dunque fondamentale mantenere inalterato il proprio prestigio nei confronti degli esuli, e per questa ragione si fece particolarmente insistente nell’intento di rendere più celere il processo di allontanamento degli “indesiderabili”, fornendo rapidamente tutta la documentazione che riteneva necessaria. Nella sua azione il CLNI trovò diverse sponde in Palamara, Commissario Generale per il Governo nel territorio di Trieste dopo lo scioglimento del TLT:

«Si comunica che il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria ha trasmesso un primo elenco [di profughi] dall’ex Zona B, i quali si sarebbero resi colpevoli di persecuzioni a danno dei nostri connazionali, già residenti nei territori ceduti o passati all’Amministrazione jugoslava.

Il Comitato suddetto, nel far presente di avere ad essi negato l’iscrizione nello schedario dei profughi a causa dei loro trascorsi politici specificati nell’elenco, ha formulato voti perché detti elementi vengano allontanati dal Territorio.

Nel trasmettere copia dell’elenco stesso, si ritiene che la richiesta del CLNI dell’Istria meriti di essere presa in attenta considerazione e si rivolge pertanto viva preghiera di