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RAPPRSENTANTI DEL GOVERNO ITALIANO PONGANO A CONDIZIONE INDEROGABILE DI OGNI NUOVO IMPEGNO ITALIANO CON

GLI ALLEATI LA OCCUPAZIONE DELLA ZONA B DA PARTE DELLE TRUPPE ANGLO-AMERICANE COME PRIMO PASSO VERSO LA REINTEGRAZIONE DELL’ITALIA NEI SUOI GIUSTI CONFINI.»72

Non è casuale il fatto che l’accoglimento di tali proposte fosse per il CLNI indissolubilmente legato al potere negoziale che sarebbe derivato alla diplomazia italiana da un insistito richiamo alle condizioni degli italiani della Zona B. In questo modo il CLNI si proponeva non solo come soggetto promotore di suggerimenti circa la soluzione delle dispute internazionali, ma poneva in primo piano la difesa della comunità italiana e promuoveva l’utilizzo delle informazioni sulla Zona B da lui raccolte come strumento di intervento nelle contese politiche. Tali mozioni dunque divenivano mezzi comunicativi nei quali si intrecciavano necessità molteplici e stratificate.

La formulazione di precise linee programmatiche non era però un frutto spontaneo, bensì il risultato di un costante dibattito interno mirato a stabilire il da farsi davanti al rapido evolversi della situazione internazionale. Nel corso della primavera del 1951, per esempio, all’interno del direttivo del CLNI si sarebbe fatta abbastanza vivace la discussione attorno

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AMAE, Affari politici 1950-1957, Trieste, b. 504, n. 200/761/4-3-279.

alla questione delle trattative bilaterali Italia-Jugoslavia. Nella riunione del 23 aprile Rovatti aveva presentato il testo di una mozione con la quale il CLNI, in corrispondenza di un viaggio di De Gasperi a Londra, intendeva ribadire la sua contrarietà a contatti diretti tra le due diplomazie, insistendo sul tema del plebiscito e ammonendo sulla situazione di grave abbattimento della componente italiana, «il cui spirito di resistenza […] va affievolendosi». A sollevare sostanziali obiezioni era stato Giorgio Cesare:

«Non vedo dal punto di vista politico un risultato concreto con l’approvazione della mozione. Verremmo a trovarci in una posizione isolazionistica. Saremmo coloro che abbaiano alla luna, salvo che il Governo non possa accettare la tesi esposta da Rovatti. […] Il Governo, contrariamente a quelli che sono stati i nostri suggerimenti, si è incamminato ormai sulla strada dell’accordo diretto. […] Che cosa può fare il Governo se non l’accordo con Belgrado? Restando inerti, si rinuncia politicamente alla carta della zona B, essendo certo uno svuotamento degli italiani dalle città e paesi. Il processo che nonostante il parere contrario del C.L.N. è stato iniziato, deve essere portato a termine. Ogni altro passo potrà venir intrapreso quando si sarà riconosciuto e dimostrato che l’accordo non è possibile.»73

La linea interpretativa proposta da Cesare rispondeva ad un’analisi più lucida della situazione generale, che doveva richiamare il CLNI ad un atteggiamento coerente con quello del governo, nei confronti del quale poteva essere problematico porsi in chiave oppositiva. Si trattava di mettere il CLNI in una posizione politica plausibile, non revanscista e aderente ai problemi posti dal contesto. La risposta del resto del direttivo non si fece però attendere dal momento che Fragiacomo, in poche parole, espresse la linea seguita dagli altri componenti:

«Credo di interpretare il pensiero unanime dei componenti del C.L.N. nell’affermare che l’impostazione di Cesare non può venir condivisa da alcuno del C.L.N. Noi escludiamo le trattative dirette perché sfociano ineluttabilmente in compromessi territoriali.»74

Seguendo un tentativo di mediazione, Nicolò Ramani,75 rappresentante della DC in seno al CLNI, avrebbe prospettato la necessità di continuare l’azione sul territorio, individuando degli strumenti di intervento che non costringessero l’ente alla passività ma che impedissero al contempo di farlo inciampare su proposte troppo impegnative per essere accolte.

«Nella resistenza dei nostri connazionali in zona B abbiamo un potente e valido appoggio, ma è indispensabile che si lavori per sbloccare la situazione attuale. […] L’impegno nostro, al momento presente, è quello di batterci per svalorizzare Tito,

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IRCI, Fondo CLNI, verbale 23.04.1951.

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Ibidem.

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Nicolò Ramani nacque nel 1921 a Capodistria. Laureato in filosofia, militante fin da giovanissimo dell’Azione cattolica avrebbe lavorato come professore e alla fine degli anni Cinquanta, come direttore dell’Enaip. Iscritto alla DC fin dal 1945, sarebbe stato membro del direttivo del CLNI, diventandone dopo il 1954 portavoce permanente presso la PCM. D. D’Amelio, Ritratto di un’élite dirigente, cit., pp. 414-415.

sminuire il suo contributo. Un’attesa operosa deve essere la nostra durante la quale si segua la situazione, si segnali quanto accade, si intervenga in tutte le sedi nelle quali la nostra collaborazione sia necessaria, per modo che le nostre popolazioni siano messe in grado di aspettare. In questa lotta noi siamo chiamati, non soltanto per noi, ma per i nostri figli, per l’Italia.»76

L’atteggiamento di Ramani riassumeva in generale il tentativo dei componenti della DC di mitigare quelle che erano considerate come le intemperanze della dirigenza repubblicana del CLNI, la quale aveva la tendenza ad esprimere in maniera assai poco contenuta i propri sentimenti politici, rischiando di alterare il difficile equilibrio tra Roma, Trieste e la Zona B.

Gli sforzi di cui queste discussioni si fanno spia erano per lo più rivolti a dare spessore politico ad un ente che faticava a darsi un profilo credibile sia nelle relazioni con gli altri soggetti giuliani che nei confronti di Roma. Il CLNI non aveva compreso fino in fondo che i disegni romani lo avevano inserito in un ruolo squisitamente operativo, chiamato sostanzialmente a rispondere delle decisioni prese dal governo, senza dovervi necessariamente prendere parte attiva. Si trattava di un canale di comunicazione unidirezionale, che solo apparentemente si faceva ricettivo delle proposte elaborate dal basso in merito alla politica internazionale. Tale stato dei rapporti era determinato da un lato dalla scarsa volontà centrale di avviare un rapporto costruttivo con la sua periferia giuliana, che si concretizzava nell’incapacità di basare le sue relazioni con gli enti come il CLNI sulla condivisione di informazioni in grado di chiarire il quadro delle relazioni internazionali. Dall’altro gli interessi specifici del CLNI, legati ad aspetti estremamente particolari della questione, avrebbero in ogni caso impedito all’ente prese di posizione lontane dalle aspettative dei soggetti da esso rappresentati, atteggiamento che avrebbe reso faticoso e dispersivo ogni tentativo di interlocuzione basata su aspetti più ampi.

I contatti avuti con De Gasperi nei mesi successivi e le rassicurazioni ricevute circa le intenzioni del governo di condurre una trattativa che avesse come base di partenza la Tripartita, indussero il CLNI ad ammorbidire le proprie posizioni, con la rinuncia al tema del plebiscito. Tale rinuncia, che in ogni caso sarebbe stata momentanea, aveva rappresentato una vittoria personale di De Castro e in generale dei rappresentati democristiani, che erano riusciti a convincere Fragiacomo, e i più agguerriti sostenitori di quella argomentazione, che l’accoglimento di tale proposta non poteva che risultare difficile al governo, che in sede internazionale avrebbe corso il rischio di doversi piegare ad eventuali richieste di plebiscito anche per il confine settentrionale, già sistemato in via definitiva.77 A quel punto il CLNI avrebbe scelto di sposare come linea politica la richiesta di un’amministrazione interalleata della Zona B, interpretata come una premessa per la futura consegna dell’intero TLT all’Italia.

In generale il periodo successivo fino alla crisi del 1953 avrebbe visto un CLNI piuttosto compresso nelle sue dichiarazioni politiche sulla esclusiva questione della Zona B. Sembrava in linea di massima essere stata sposata proprio la proposta di Ramani, che auspicava un intervento diretto in Istria e una maggiore vivacità sui temi legati ai problemi

76 Ibidem.

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della popolazione italiana nella zona jugoslava. Il CLNI dunque avrebbe scelto di fondare la propria azione politica esclusivamente sulle informative raccolte attraverso i fiduciari, perseverando nel controllo degli esuli a Trieste e nell’animare lo spirito dei rimasti in Zona B, cercando di non inciampare su dichiarazioni lesive per le strategie governative, tentativo per altro non sempre riuscito.

In ogni caso quello con Roma, soprattutto a partire dal 1952, sarebbe stato un rapporto molto complesso. In ambito governativo, nonostante le dichiarazioni rese in pubblico e le rassicurazioni rivolte agli enti locali, era ormai considerata pacifica l’idea di una rinuncia a parte della Zona B. Purtroppo non è possibile valutare se e come questo dato di fatto venne registrato all’interno del CLNI, visto che i verbali di seduta relativi a quell’annata non sono attualmente reperibili, ma un dato che può essere rilevato è la progressiva durezza che avrebbe caratterizzato le corrispondenze tra l’ente istriano e l’UZC, incentrate soprattutto sulla questione dei finanziamenti.78 Il CLNI avrebbe più volte alzato la voce chiedendo interventi più decisi da parte del governo sul problema degli istriani, minacciando in più sedi di venire meno agli incarichi assegnati in Istria alle sue strutture operative in mancanza di risposte adeguate. Il suo stretto legame con il governo e con De Gasperi non sarebbe però mai venuto meno, nemmeno nei momenti più difficili, dato che il CLNI doveva la sua stessa esistenza ai rapporti di dipendenza e subalternità con Roma. Tale stato di cose lo avrebbe reso un ente fedele alle posizioni governative fino agli estremi, quando, nel corso del 1953, la questione di Trieste sarebbe andata incontro al suo ultimo atto.

2.2.1.1 1953: il difficile allineamento con il governo

La proposta di una spartizione del TLT sulla base della linea Morgan si affacciò per la prima volta all’opinione pubblica in un articolo del Giornale di Trieste datato 12 gennaio. Il CLNI non si era lasciato sfuggire l’occasione per inviare un’accesa mozione a Vitelli, il direttore generale dell’amministrazione:

«presa conoscenza di certe proposte, caldeggiate da agenzie ed organi stampa italiani e stranieri, proposte secondo le quali si mediterebbe di varare una soluzione di fatto del problema del territorio triestino con il passaggio all’amministrazione della sola zona A;

ESPRIME LA FERMA PROTESTA DI TUTTI GLI ISTRIANI

Ad una soluzione del genere ravvisando in quest’ultima la premessa della distruzione dell’italianità della Zona B e della separazione violenta delle città e delle popolazioni italiane di questa zona di Trieste;

SI APPELLA

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Al governo Nazionale ed all’opinione pubblica perché non siano in alcun modo aggravate le già precarie condizioni di vita degli istriani della Zona B e perché, respingendo ogni soluzione di fatto o parziale del problema triestino, si ponga a base della politica estera del Paese la soluzione definitiva del problema stesso che non può essere trovata al di fuori di criteri di giustizia etnica, riconosciuti anche dalla dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948, e di quei sacrosanti diritti di autodecisione che costituiscono i principi fondamentali della comunità dei popoli liberi.»79

In seguito a tale mozione, l’azione del CLNI andò incontro ad un tenace incremento, che vide Fragiacomo occupare la scena pubblica accanto ai rappresentanti locali dei partiti votati alla causa dell’italianità e al sindaco Bartole, nel tentativo di sedare l’opinione pubblica preoccupata dalle voci sulla spartizione del TLT e nella speranza di ottenere quei margini di visibilità necessari alla difesa di una causa di fatto persa in partenza, ma nella quale i rappresentanti delle comunità istriane decisero di investire fino all’ultimo le proprie energie. Poderosa la mole di mozioni redatte dal CLNI che investirono praticamente con cadenza quotidiana gli uffici governativi. Il CLNI aveva scelto di rispondere colpo su colpo alle ultime battute delle discussioni in corso tra Roma e Belgrado e particolarmente insistito era il tema del possibile esodo della totalità della componente italiana, che da sempre il CLNI aveva considerato una sorta di deterrente all’individuazione di soluzioni sgradite agli istriani:

«Ora gli istriani temono il peggio, e il loro timore si fonda su dichiarazioni esplicite dei fiduciari di Belgrado e Capodistria e a Buie, i quali hanno ripetutamente ammonito che l’estensione dell’amministrazione statale italiana e l’occupazione militare italiana di Trieste determinerebbe la chiusura della Linea Morgan e l’annessione della Zona B alla Jugoslavia. Ciò significherebbe per altri 50.000 nostri connazionali l’esodo in massa, ove potessero in tempo attraversare la Morgan verso Trieste. Restare di là avrebbe un solo significato; rinunciare ai rapporti con Trieste e con i congiunti residenti in zona A, e per i giovani rassegnazione a servire nelle forze armate jugoslave.»80

Il CLNI nutriva sostanzialmente l’illusione che la dimensione locale, con i suoi problemi e le sue scelte, potesse in qualche modo influenzare l’andamento delle trattative in corso. Tali convinzione aveva costituito le fondamenta ideologiche del suo intervento nella Zona B e di tutta la sua linea politica, che venne potenziata nei giorni che preludevano l’ultima crisi delle relazioni internazionali, anche in virtù dei rinvigoriti contatti stabiliti soprattutto con le segreterie triestine della DC, del PLI, del PRI e del PSVG.81 Nei mesi che portarono al settembre del 1953 infatti la maggior parte dei comunicati e delle iniziative pubbliche sarebbero stati elaborati collettivamente dai rappresentati del CLNI e dei vari partiti, facendosi spia di un tardivo compattamento che si era reso necessario a seguito dell’accelerazione impressa alla vertenza diplomatica. In generale il blocco politico

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AMAE, Affari politici 1950-1957, b. 635, n. 200/593/4.29.

80

Ivi, telespresso n. 153/57 del 13.01.1953.

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In quello stesso anno il CLNI avrebbe richiesto all’UZC un incremento dei fondi per sostenere la campagna elettorale di quei partiti. Vedere UZC, Sez. II, Trieste, FVG, b. 69, n. 2641.

italiano aveva trovato un ottimo collante nei discorsi di Pella, che a seguito degli apprestamenti militari alla frontiera aveva deciso di insistere pubblicamente sulla difesa dell’intero TLT, rispolverando alcuni motivi classici della difesa dell’italianità della Venezia Giulia, come quello del plebiscito. Chiarisce bene la posizione del CLNI e dei partiti filo-italiani un lungo memorandum del settembre 1953:

«[…] i partiti democratici di Trieste e il C.L.N. dell’Istria ritengono che l’obiettivo principale della diplomazia italiana debba essere quello di sottrarre la Zona “B” all’ipoteca jugoslava. Essi considerano assurda e inaccettabile un’eventuale soluzione che si basi sulla linea attuale di demarcazione tra le due zone.

Pertanto, respingono ogni eventuale soluzione che si basi su una spartizione di fatto delle due zone.

Se è vero che in questo modo Trieste sarebbe restituita all’Italia e con ciò la città sarebbe immunizzata da quelle forze che tendono ad imbastardire sempre più il suo carattere italiano, è però anche assolutamente certo che ciò servirebbe da pretesto e giustificazione a Tito per proclamare l’annessione della Zona “B”. Inoltre è probabile che tale soluzione permetterebbe agli Alleati di disinteressarsi una volta per sempre della questione considerandola definitivamente chiusa e chiedendo all’Italia un pubblico o segreto impegno in merito. […]

Per questi motivi i partiti democratici di Trieste e il C.L.N. dell’Istria preannunciano la loro ferma opposizione all’eventuale progetto di aderire ad una soluzione del genere. La soluzione migliore consiste però, sempre, nella consultazione della volontà della popolazione dell’intero territorio, con le debite garanzie internazionali. Un plebiscito sull’alternativa Italia-Jugoslavia, purché libero, assicurerebbe una larga maggioranza alla tesi italiana in quasi tutto il territorio, tenendo conto che su circa 370.000 abitanti almeno 310.000 sono italiani. […]

I Partiti democratici italiani di Trieste ed il C.L.N. dell’Istria invitano l’On.le Presidente del Consiglio a rievocare – oltre ai Caduti della prima guerra mondiale ed al contributo dei Giuliani alla redenzione delle loro terre – i triestini e gli istriani caduti in gran numero nella dura lotta di Liberazione, davanti ai plotoni di esecuzione tedeschi o nei lager nazisti. Sono questi fulgidi sacrifici oltre che la costante parola e l’azione dei vivi a dimostrare che la “resistenza” non fu intesa a Trieste e nell’Istria in funzione separatista (tranne che dai comunisti) ma fu sempre ispirata all’ideale patrio. Fu proprio il C.L.N. della Venezia Giulia che a Trieste dopo l’8 settembre rappresentò la continuità della Patria. Ed è in questa lotta che va inquadrata la resistenza opposta dagli istriani, dal maggio del 1945 agli occupatori slavi in Zona “B”. I partiti democratici italiani ed il C.L.N. dell’Istria chiedono in conclusione al Governo italiano, presieduto dall’E.V., una politica che assicuri oltre che a Trieste, anche alla Zona “B”, il ritorno della sovranità nazionale e il godimento dei diritti democratici e civili.»82

La situazione contingente aveva riportato indietro l’orologio del CLNI, il quale, dopo l’impegno profuso negli anni precedenti nel tentativo di rendere più composte le proprie dichiarazioni e concrete le proprie proposte, non solo era ritornato su posizioni rigide, intransigenti e irrealizzabili, ma aveva finito per fare definitivamente proprio

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l’armamentario retorico nazionalista che faceva da filo conduttore al linguaggio di tutte le formazioni politiche locali. Il memorandum sopra riportato lascia in ogni caso trasparire in pieno la miopia alla quale la compagine politica giuliana era in qualche modo costretta: se il CLNI e i partiti volevano sopravvivere, era necessario sposare una linea di intervento che permettesse a posteriori di dimostrare la propria non complicità con gli esiti che sarebbero scaturiti dalle trattative diplomatiche.

A chiudere le vedute politiche del CLNI aveva in ogni caso contribuito l’intervento pubblico di Pella, che, per esempio, il 13 settembre dal Campidoglio si sarebbe pronunciato a favore dell’annessione della Zona A all’Italia e del plebiscito da tenere in Zona B. L’eccitazione a Trieste si era fatta palpabile, e il CLNI esprimeva con un comunicato stampa il suo entusiasmo:

«Presente l’on. Attilio Bartole, il C.L.N. dell’Istria ha approfondito nella sua riunione di ieri l’esame della situazione politica, con particolare riferimento alla Zona B. Dopo aver espresso la sua piena solidarietà con il Presidente del Consiglio On. Pella e con il Governo per l’azione intrapresa in favore di una rapida soluzione del problema, del cosiddetto T.L.T. e di difesa dei nostri connazionali soggetti all’amministrazione temporanea jugoslava in Zona B il C.L.N. dell’Istria ha deciso di appoggiare incondizionatamente la lotta per il plebiscito da sempre richiesto, e di opporsi nel contempo a qualsiasi atto che possa precostituire una rinuncia di fatto della Zona B o deludere l’aspettativa delle popolazioni di quella zona e di vedere cancellata entro il più breve tempo possibile l’attuale linea di demarcazione della linea Morgan. […]

Il C.L.N. dell’Istria ha infine invitato il Governo Nazionale a documentare l’opinione pubblica internazionale sulla reale situazione etnica della Venezia Giulia e sui sacrifici già sopportati dalle popolazioni giuliane in questo dopoguerra.»83

Nei mesi successivi, dietro al palco delle pubbliche prese di posizione e della propaganda governativa, brulicava però un’intensa attività da parte dei partiti e di alcuni esponenti di spicco della società giuliana, ormai convinti di un esito negativo per il destino della Zona B. Occorreva individuare concertati strumenti per gestire il contraccolpo che sarebbe seguito ad un possibile accordo sfavorevole alle posizioni italiane e per questo motivo era stato avviato un intenso lavorio fatto di contatti con l’ufficio di De Castro e i rappresentanti romani a Trieste. A sottrarsi da qualsiasi forma di collaborazione in vista di un futuro senza la Zona B sarebbe però stato il CLNI, il cui atteggiamento di strenua difesa dei diritti dell’Istria lo aveva portato ad una posizione piuttosto isolata, che aveva finito per irritare anche gli altri soggetti impegnati sulla scena giuliana. Un esempio viene fornito da una corrispondenza con il MAE di Cammarata, che era stato rettore dell’Università di Trieste fino all’anno precedente:

«A proposito di quel che osservo in merito alle “preoccupazioni” del C.L.N. dell’Istria, ricordo che il segretario dott. Fragiacomo, mi ha rimproverato, quasi piangendo per la rabbia, ch’io mi prendessi pensiero solo per la Zona A: ed avendogli io fatto osservare che, perdurando la situazione avremmo finito col perdere anche Trieste, mi ha risposto testualmente: perché dovrebbe salvarsi solo Trieste che è meno italiana dell’Istria?

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All’ultimo si faccia pure il Territorio Libero: così subiremo tutti la stessa sorte! E nel Giornale di Trieste del 30 settembre, pervenutomi ieri, m’è toccato leggere alla fine di