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Il fallimento del TLT, la Dichiarazione Tripartita e la Rottura tra Tito e Stalin

gli attori locali

1.5.1 Il fallimento del TLT, la Dichiarazione Tripartita e la Rottura tra Tito e Stalin

Continuava il logorante braccio di ferro tra le Grandi Potenze attorno al problema della nomina del governatore del TLT, che avrebbe dovuto definitivamente sancire dal punto di vista giuridico la nascita del piccolo Stato. La diplomazia anglo-americana era infatti ferma nell’intento di impedire il raggiungimento di un accordo sul nome del governatore, strategia conseguente alla convinzione che la fragile entità statale che ne sarebbe derivata si sarebbe rivelata del tutto incapace nel fronteggiare un eventuale attacco congiunto delle forze jugoslave e sovietiche, ritenute pronte ad intraprendere azioni mirate alla destabilizzazione degli equilibri internazionali. Uno dei timori più consolidati della diplomazia britannica era

inoltre quello che la Jugoslavia potesse servire da base d’appoggio per l’azione del PCI, «ritenuto pronto a far precipitare la crisi politica in Italia attraverso uno sviluppo sistematico delle azioni extralegali, destinate forse a trovare sbocchi di tipo insurrezionale».267

Nonostante la discutibile attendibilità delle convinzioni anglo-americane sull’imminente incombenza delle minacce comuniste, tali preoccupazioni finirono per fare della Zona A una roccaforte irrinunciabile nella strategia del contenimento, che rendeva conseguentemente necessario il prolungamento della presenza a Trieste dei 10.000 uomini appartenenti al contingente militare Alleato, che avrebbe dovuto essere revocata una volta ratificata la nascita del TLT.268

Se le truppe del generale Airey vennero individuate come deterrente militare in grado di bloccare ai confini un possibile piano di aggressione comunista contro l’Italia e l’Europa sotto la sfera di influenza occidentale, occorreva però pianificare anche dei dispositivi d’intervento per influire sul quadro politico interno italiano. L’occasione per risolvere i problemi posti dalla situazione venne fornita dalla tornata elettorale prevista per il 18 aprile del 1948, che con i suoi esiti avrebbe dato un assetto definitivo alla situazione politica della penisola. Sul fronte italiano, conscio dei timori alleati e delle trattative in corso per studiare un piano in grado di orientare la campagna elettorale italiana, il Ministro degli Esteri Sforza decise di puntare in sede diplomatica sulla carta dell’allarmismo, profilando i pericoli derivanti da una eventuale affermazione comunista alle elezioni, che avrebbe reso non solo possibile ma fattiva la penetrazione sovietica a Trieste e in tutto il Paese, provocando l’alterazione degli equilibri tra le rispettive sfere d’influenza.269 Il 20 marzo, alla vigilia delle elezioni, venne dunque emessa una nota, conosciuta come Dichiarazione Tripartita, con la quale Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti dichiaravano l’indiscussa italianità dell’intero TLT e proponevano di avviare trattative con l’URSS per definire un protocollo aggiuntivo al trattato di pace con l’Italia in cui venisse chiarita la futura e totale annessione da parte italiana di entrambe le zone del TLT.

La Tripartita però, nonostante il suo essere fortemente assertiva, si limitava a rappresentare una generica dichiarazione di intenti, non la base per un negoziato concreto, che in ogni caso avrebbe finito con l’arenarsi sulle prevedibili opposizioni dell’URSS nel dare corso ad una tale risoluzione. Era dunque evidente che la Dichiarazione fosse stata concepita con lo scopo di influenzare il corso della campagna elettorale italiana, e tanto efficace fu nell’eccitare la stampa e l’opinione pubblica italiana, quanto poco utile si sarebbe rivelata in qualità di strumento diplomatico per alterare effettivamente il corso delle trattative.270 Nonostante però l’evanescenza di dichiarazioni che avrebbero finito per costituire una base di partenza totalmente fallimentare per qualsiasi tipo di negoziato, l’accoglienza da parte del governo italiano fu particolarmente entusiasta, dal momento che,

267 R. Pupo, Fra Italia e Jugoslavia, cit., p. 63. 268

A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 63. 269

Ivi, p. 64, Pietro Pastorelli, La politica estera italiana del dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1987, pp.

123-150.

270 Per una panoramica sulla questione vedere A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 65, R. Pupo, Fra Italia e

Jugoslavia, cit., pp. 72-73, Jean-Baptiste Duroselle, Le conflit de Trieste 1943-1954, Éditions de l’Institut de Sociologie de l’Université Libre de Bruxelles, Bruxelles, 1966, pp. 274-275, Diego De Castro, La questione di Trieste: L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, LINT, Trieste, 1981, pp. 256-264.

sorvolando sull’evidente inapplicabilità della nota, questa era stata interpretata come una garanzia di sostengo da parte alleata alle posizioni italiane. La Nota avrebbe rappresentato inoltre uno strumento utile anche per gli anglo-americani, che avrebbero così potuto continuare a prendere tempo circa il destino del TLT e mantenere acquartierati i loro contingenti militari.

Il successo elettorale del 18 aprile, che sancì la definitiva presa del potere da parte della Democrazia Cristiana e dei partiti votati alla causa italiana, avrebbe definitivamente calmato le acque e permesso l’elaborazione delle strategie successive. La Dichiarazione avrebbe infatti avuto come effetto quello di delineare meglio le intenzioni alleate circa i destini della città di Trieste e dei suoi sobborghi, inglobati nella Zona A. Già a partire dal marzo del 1948 l’Italia aveva stretto una serie di accordi che le avevano permesso di instaurare legami sempre più forti con la Zona anglo-americana, di carattere economico, finanziario, ma anche amministrativo. L’obiettivo alleato era quello di un progressivo inglobamento della Zona nel sistema italiano, che avrebbe consentito la graduale immissione di tali territori all’Italia, con lo scopo di andare incontro, per lo meno parzialmente, alle promesse fatte con la Tripartita.271

A scompaginare il delicato sistema di rapporti tra potenze intercorse però un fatto assolutamente imprevisto dalle diplomazie alleate: la rottura consumatasi tra Tito e Stalin con l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform, resa ufficiale il 28 giugno del 1948.272 La reazione immediata di Gran Bretagna e Stati Uniti fu assai prudente, dal momento che scarsa fu l’iniziale comprensione della radicalità dell’evento e delle sue importanti ricadute, così come difficile fu la generale metabolizzazione del concetto che, per quanto riguardava la questione giuliana, Italia e Jugoslavia non fossero più attestate su posizioni di partenza del tutto contrapposte. Tale rottura sarebbe stata alla base di una futura armonizzazione dei rapporti tra anglo-americani e jugoslavi, ma che non si avviò nell’immediato, data la persistente tendenza occidentale a considerare Tito un oggettivo pericolo, che continuò dunque a fare di Trieste e della Zona A un autentico baluardo contro il comunismo. In ogni caso il nuovo quadro avrebbe causato almeno fino all’inizio del 1949 uno stallo nella questione del confine orientale italiano, che si sposò alla strategia sintetizzata nell’espressione «tenere a galla Tito», finalizzata a dare un sostegno economico alla Jugoslavia per impedirne il collasso, e a garantire al maresciallo un appoggio politico minimo in grado di tenerlo al potere e prevenire così la sua caduta e l’eventuale sostituzione con un governo di taglio filo-sovietico.273 Tale stato di cose avrebbe lentamente portato la questione giuliana a fuoriuscire dai rigidi schematismi della guerra fredda, situazione che convinse gli Alleati ad incoraggiare l’avvio di trattative dirette tra la Jugoslavia e l’Italia,

271

R. Pupo, Fra Italia e Jugoslavia, cit., pp. 76-78. 272

Sarebbe in questa sede impossibile riportare per intero la voluminosa mole di contributi storiografici sul

problema. Si rimanda ad alcuni testi di riferimento in grado di presentare i termini più generali della questione: Ivo Banac, With Stalin Against Tito: Cominformist Splits in Yugoslav Communism, Cornell University Press, London, 1988, Jože Pirjevec Tito, Stalin e l’occidente, Editoriale stampa triestina, Trieste, 1985, Giacomo Scotti, Il dito mignolo: Il carteggio Tito-Stalin che precedette la scomunica della Jugoslavia, La pietra, Milano, 1980, Leonid Gibianskij, Mosca-Belgrado, uno scisma da ripensare. Il conflitto sovietico-jugoslavo del 1948: cause, modalità, conseguenze, in «Ventunesimo secolo», Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2002, pp. 45-59.

273

G. Valdevit, Dalla crisi del dopoguerra alla stabilizzazione politica e internazionale (1946-1965), in

nella speranza che i due paesi riuscissero a trovare un’intesa accettabile per la spartizione definitiva del TLT. In realtà la grande importanza che la questione di Trieste assumeva per gli equilibri politici interni dei due paesi, con Tito fortemente influenzato al suo interno dalla componente governativa slovena, ferma nella rivendicazione dei territori giuliani, avrebbe provocato un lungo testa a testa che si sarebbe protratto nel corso degli anni successivi.274