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gli attori locali

2.2 Il CLNI dopo il 1948: piani per una nuova battaglia politica

2.2.1 Tra locale e internazionale: la strenua difesa della Zona B

Per comprendere fino in fondo le dinamiche che videro protagonista il CLNI nell’ambito del triangolo di relazioni tra Roma, Trieste e la Zona B è necessario indagare la linea politica seguita dal gruppo nell’arco di tempo che conduce fino al Memorandum di Londra del 1954. Solo infatti provando a dare un contorno più definito alle progettualità dell’ente è possibile interpretare il suo atteggiamento nell’ambito della questione e la mentalità che faceva da sfondo al suo rapporto con la dimensione politica ed istituzionale.

Il processo che si era tenuto a Capodistria a carico del gruppo Drioli e la sua sovraesposizione pubblica aveva concretamente consacrato il ruolo politico del CLNI nell’ambito del dibattito nazionale sulla questione degli italiani rimasti nella Zona B. Tale condizione avrebbe obbligato l’ente istriano a prendere continuamente posizione rispetto alle dialettiche che stavano attraversando le diplomazie e che davano modo alla stampa di intrattenere l’opinione pubblica sull’andamento delle dispute internazionali. La funzione centrale svolta dal CLNI nel rendere concreta la “battaglia per l’italianità” della Venezia Giulia lo aveva investito del compito di farsi portavoce delle esigenze espresse sia dagli istriani presenti a Trieste che da quelli rimasti nella Zona B, ragione che convinse soprattutto il suo direttivo a svolgere una doppia azione di contatto sia con il governo che in generale con le forze politiche giuliane. Il CLNI infatti, a dispetto dei compiti squisitamente operativi che gli erano stati assegnati dalla PCM e dal MAE, aveva maturato la convinzione di rappresentare l’unico canale informativo in grado di svolgere una funzione di orientamento delle politiche nazionali per quanto concerneva la zona jugoslava del TLT. Per tali ragioni, dunque, l’ente di sarebbe dato come missione quella di continuare sulla strada tracciata sin dagli inizi del suo percorso, intensificando i rapporti con Roma e indirizzando ai principali uffici governativi mozioni e memoriali in grado di rendere palesi le sue posizioni politiche in qualità di unico e legittimo rappresentante delle popolazioni istriane.

Da un punto di vista politico, le posizioni del CLNI erano fortemente influenzate dalla

mission che forniva le ragioni stesse della sua esistenza, ossia l’obiettivo di restituire

all’Italia l’Istria, o per lo meno quella compresa nella Zona B. In nessun caso l’ente avrebbe potuto retrocedere da tale scopo finale, condizione che avrebbe reso impresentabile all’opinione pubblica giuliana e nazionale un qualsiasi suo tentativo di mediazione. Partendo da tali premesse era dunque impossibile per il CLNI fare proprie opinioni flessibili e in grado di interpretare la complessità della situazione diplomatica. Il CLNI inoltre riteneva erroneamente di ricavare la propria legittimazione politica non tanto dall’attenzione prestatagli da Roma, quanto piuttosto dall’appoggio garantitogli dalle comunità istriane che esso aveva raccolto attorno a sé, ragione che lo costrinse ad una visuale estremamente parziale del problema ed obbligatoriamente circoscritta ad interessi particolari che mai avrebbero potuto rappresentare una base di discussione percorribile in sede internazionale.

I fatti del 1948 avevano fornito comunque al CLNI, ed in generale a tutti gli ambienti filo-italiani triestini, un cavallo di battaglia di ineguagliabile efficacia: la Dichiarazione Tripartita. In perfetta coerenza con i principi che stavano dietro al suo concepimento, essa venne riconosciuta e difesa dal CLNI come l’unica base accettabile per avviare trattative con la Jugoslavia. È della fine del 1949 per esempio questa mozione inviata dal direttivo al governo:

«Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria, preoccupato di evitare che s’ingeneri nella popolazione il sentimento della necessità dell’esodo e dell’abbandono di quelle terre è venuto da Lei On. Presidente perché voglia confermare che la posizione del Governo Italiano è e rimarrà nei termini del discorso da Ella tenuto a Trieste e che non addiverrà mai a compromessi che infirmino la validità della formulazione delle nostre rivendicazioni territoriali. […]

Pertanto se oggi ancora non è possibile che l’intero Territorio Libero di Trieste ritorni all’Italia, sia perché manca l’adesione della Russia alla nota occidentale, sia forse perché gli anglo americani non hanno interesse ad indurre Tito a rinunciare alle sue rivendicazioni nei confronti della zona amministrata attualmente dal Governo militare jugoslavo, se nessuna altra soluzione transitoria, migliore di quella che è intenzione di questo comitato proporre, si raccomanda perché siano attentamente studiate e eventualmente prospettate agli Alleati le sottonotate proposte:

1) Unificazione valutaria delle due zone […].

2) Cessazione delle barriere che dividono artificialmente le due zone del territorio in armonia con lo spirito del trattato di pace, in modo da permettere liberi scambi e liberi commerci […].

3) Creazione di un organismo locale militare misto anglo americano e jugoslavo con l’inclusione di qualche funzionario italiano in veste di osservatore a cui dovrebbe essere demandata la trattazione dei particolari inerenti all’applicazione dello strumento provvisorio del trattato di pace […].»65

65

AMAE, Affari politici 1946-1950, b. 210, “Pro-memoria per S.E. il Presidente del Consiglio On. De Gasperi”.

In generale il CLNI faceva leva sulla specificità che gli derivavano dalla possibilità di mantenere contatti diretti con la zona, che gli permettevano di presentarsi come l’unico ente in grado di avanzare proposte sulla Zona B rese plausibili dalla immediata conoscenza dei problemi che investivano quel territorio. I CLN clandestini dunque rappresentavano di fatto non solo una base operativa, ma anche uno strumento attraverso il quale imporre la propria autorevolezza sui temi legati all’Istria.

La strenua difesa della Tripartita sarebbe continuata anche nel corso del 1950, momento nel quale le trattative stavano affondando nella vischiosità di una situazione resa difficile dal mancato impegno alleato nel voler mediare attivamente le trattative bilaterali:

«A conclusione della riunione indetta dal C.L.N. dell’Istria il giorno 11 febbraio 1950 con la partecipazione delle persone più rappresentative della vita politica, economica e culturale della Venezia Giulia e dei deputati italiani…..è stata approvata la seguente mozione:

IL CONVEGNO […]

Ravvisa di invitare il governo italiano a

1- Prendere in esame eventuali proposte della Jugoslavia, tenendo conto che base di ogni possibile soluzione politica ed economica del problema T.L.T. è la dichiarazione del marzo 1948;

2- Garantire agli jugoslavi concessioni economiche nel porto di Trieste e nella zona stessa, qualora esse siano tali da permettere un miglioramento delle relazioni tra i due Stati con reciproco vantaggio;

3- Assicurare agli jugoslavi che saranno concessi i più ampi diritti alla loro pur esigua minoranza nella Zona, in base agli statuti speciali che la Costituzione italiana prevede per le minoranze allogene, garantendosi l’analogo trattamento degli italiani nei territori, dal Trattato di Pace, assegnati alla Jugoslavia.

4- Partire dal più assoluto principio che non un metro quadrato di terra italiana deve essere discusso, barattato o ceduto in cambio di qualsiasi vantaggio che si possa ottenere, data l’unità etnica, politica ed economica del Territorio Libero.

IL CONVEGNO PROPONE AL GOVERNO ITALIANO

Di porre come base della propria politica nei riguardi della Venezia Giulia la richiesta di un plebiscito dei nati in tutto il TLT, tenuto nei limiti della più stretta garanzia internazionale e in maniera da consentire la libera espressione della propria volontà. […]

Il Convegno ritiene inoltre di pregare il Governo italiano a che il tragico problema della Zona B sia tenuto vivo nell’opinione pubblica nazionale attraverso la stampa, la radio e tutti gli altri mezzi che il Governo stesso ravvisi opportuni.»66

«IN NOME DEI CITTADINI DI TRIESTE E DELL’ISTRIA,

esaminata la tragica situazione della zona B che di giorno in giorno si va sempre aggravando; […]

66

deplorando che la nota tripartita del venti marzo 1948 che sanciva l’inscindibilità del Territorio Libero e ne garantiva la restituzione all’Italia, non abbia potuto avere ancora pratica esecuzione, permettendo così all’Amministrazione jugoslava di snazionalizzare la zona con evidenti intenzioni annessionistiche e con metodi barbarici e polizieschi;

data la gravità dell’ora;

CHIEDE

Al governo italiano, unico qualificato a difendere le popolazioni italiane della zona B, di:

- Ricorrere al Consiglio dei Quattro Ambasciatori denunciando tutti i soprusi e le violazioni commesse dall’Amministrazione jugoslava nella zona B […]

- Di appellarsi all’ONU per un suo intervento diretto onde porre fine alle manovre annessionistiche della Jugoslavia e ristabilire tutte le libertà delle popolazioni della Zona B […].»67

Sarebbe difficile stabilire in che misura il CLNI non avesse realmente compreso la totale evanescenza della Tripartita e soprattutto se alla base di tale incomprensione ci fosse una concreta incapacità di lettura della realtà politica o la necessità di non perdere il necessario consenso proveniente dal tessuto giuliano. Certo è che, però, l’abbinamento costante della rivendicazione della Dichiarazione con i motivi già a lungo cavalcati del plebiscito e del ricorso alla tutela internazionale per gli italiani in Zona B non era un atto del tutto ingenuo. Il richiamo all’ONU era infatti reso particolarmente significativo dalla consapevolezza nutrita dal CLNI che i materiali da inviare a quella sede sarebbero stati compilati dal sua Sezione Stampa e Propaganda, il che faceva per lui dell’appello alle sedi internazionali un’ulteriore occasione di visibilità.

Nel corso del tempo i dettami politici del CLNI si fecero via via più rigidi. Per dare maggiore incisività ai propri interventi, l’ente accettò anche di firmare una serie di mozioni assieme alla sua più temuta rivale, la LN:

«Voglia l’E.V. consentire che i sottoscritti, compiendo quello che essi ritengono un loro dovere, Le espongano lo stato d’animo della grande maggioranza dei triestini e degli istriani. […] Si ha la sensazione che l’attività e gli interventi del Ministero degli Esteri siano insufficienti o inadatti, sia perché le misere popolazioni della Zona B si convincano sempre più dell’inevitabile tragica sorte, cosicché si prospetta un esodo di porzioni mai finora raggiunte, tale che fra non molto l’elemento italiano sarà ridotto nella Zona B a minoranza, se non addirittura scomparso.

L’opinione pubblica dà un giudizio del tutto negativo al criterio delle “trattative dirette”. Infatti esse costituiscono una comoda scappatoia per le Potenze occidentali, le quali in tal modo si sottraggono alle loro precise responsabilità, assunte prima col trattato di pace, poi con la dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948. Noi non dimentichiamo tutte le prove della connivenza tra le Potenze occidentali e Tito, e ben ricordiamo i primi giorni del maggio 1945, quando le truppe alleate rallentando la marcia attesero cortesemente di entrare a Trieste e in queste terre, dopo che vi si fossero insediati da padroni i soldati di Tito. Le trattative dirette non approderanno

67

ad alcun esito accettabile per l’Italia, finché gli Alleati non avranno richiamato severamente e seriamente il Maresciallo Tito al rispetto degli obblighi derivantigli quale amministratore fiduciario. […]

L’accettazione da parte dell’Italia del principio delle trattative dirette è quanto mai pericolosa, perché equivale a un principio di ammissione che l’Italia possa non contare sulla dichiarazione tripartita e riconoscerla passata dai fatti. […] Gravi e non infondati timori sono suscitati anche dall’accenno fatto dal Ministro degli esteri nel suo ultimo discorso, a trattative con la Jugoslavia per la Zona B impostate sul principio della linea etnica.

Si ritiene grave errore l’aver ammesso in partenza di essere disposti a cessioni secondo il criterio etnico, di cui si è fatto scempio quando si sono lasciate in mano alla Jugoslavia Pola, Rovigno, Dignano, Parenzo, ecc. Tocca proprio a noi italiani, ai quali sono stati strappati territori e città di millenaria e illustre romanità e italianità, accettare che il principio etnico sia applicato ai nostri danni […]?»68

Il tono della lettera, volutamente provocatorio, denuncia una serie di aspetti interessanti: innanzitutto si fa spia di un periodo molto teso per le relazioni italo-jugoslave, seguito alle elezioni che si erano tenute poche settimane prima nella Zona B69 e che avevano indotto il CLNI a sposare terminologie alle quali non era del tutto avvezzo, perlomeno nelle sue comunicazioni ufficiali. I richiami alla romanità e all’italianità dell’Istria, sposati ad alcuni consolidati stereotipi razziali contro gli slavi presenti in alcuni stralci della lettera che non sono stati sopra riportati, non facevano parte del frasario pubblico del CLNI, che pur rifacendosi a modalità espressive tipiche dell’irredentismo nazionalista, fino a quel momento aveva tentato nelle sue dichiarazioni di fare leva più sul sentimentalismo legato alla «tragedia istriana» che non allo scontro tra “Nazione italiana”, dotata di una indiscutibile e civile superiorità, e “Nazione slava”. In secondo luogo tale comunicato denuncia in generale il nervosismo che attraversava l’opinione pubblica giuliana durante la fase delle trattative bilaterali, facendo comparire nel CLNI i primi segnali di un atteggiamento anti-alleato sempre più esplicito. Si stava passando lentamente da un contegno sostanzialmente neutrale nei confronti del GMA, e degli angloamericani in genere, ad una posizione sempre più oppositiva e ostile, che non sarebbe passata affatto inosservata70 e che in parte riassorbiva le istanze anti-britanniche portate avanti in quel momento dallo stesso governo italiano.

Nel corso del 1951 tali posizioni non solo sarebbero state ribadite, ma addirittura irrigidite su parametri irricevibili in ambito internazionale. Illuminanti in tale senso il passaggio di un lungo memoriale inviato all’UZC e una successiva mozione della Consulta intercomunale:

«Nell’attuale momento politico nel quale l’Italia viene chiamata a dare il suo contributo all’organizzazione difensiva dell’Occidente europeo si ravvisa l’opportunità che gli organi responsabili del Governo rammentino e sappiano far valere, in opportuna sede, i seguenti punti che sono da considerarsi non tanto come condizioni o riserve, quanto

68

Ivi, b. 44 vol. II, corrispondenza del 03.06.1950.

69

Cfr. Capitolo 2, par. 2.3.1.

70

come contributi positivi dell’Italia alla difesa occidentale, e da parte del C.L.N.I non come lezioni di alta strategia, ma come suggerimenti utili a far volgere in un futuro più o meno prossimo la situazione generale e politica europea favore di una sistemazione del problema istriano e giuliano nel senso da noi auspicato (restituzione all’Italia del confine del 1918): […]

3. […] si ravvisa la necessità di insistere a che le truppe jugoslave della zona B (molto più necessarie alle frontiere con i paesi cominformisti) vengano sostituite da truppe di altra nazionalità (di qualsiasi Stato purché appartenenti al mondo occidentale) come primo avviamento ad un futuro possibile plebiscito nella zona B stessa. E con ciò il Maresciallo Tito potrebbe raggiungere l’auspicata distensione, salvando al contempo la faccia.

4. Un possibile plebiscito nella zona B permetterebbe, in un futuro più o meno prossimo, a seconda dello svolgersi degli avvenimenti politici internazionali, di rimettere in discussione tutti gli altri territori della Venezia Giulia ceduti alla Jugoslavia.

5. Per il raggiungimento di questi obiettivi si ravvisa altresì la necessità di insistere in qualsiasi sede ed in ogni occasione sul fatto che la Jugoslavia ha continuato e continua imperterrita a violare le convenzioni Aia […]. Ha continuato e continua tuttora a violare qualsiasi elementare principio dei diritti umani nei territori cedutile [sic] […].»71

«[…] Nell’imminenza del viaggio a Londra del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri [La consulta intercomunale del CLN dell’Istria]

CHIEDE

CHE I RAPPRSENTANTI DEL GOVERNO ITALIANO PONGANO A