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Venezia Giulia

1.2.1 Il Ministero dell’Interno e la situazione nella Venezia Giulia

1.2.1.1 Le informative del Ministero dell’Interno: caratteristiche e scopi

Le informative custodite presso il fondo del Ministero abbracciano con grande completezza tutto il periodo che va dalla fine del secondo conflitto mondiale fino alla fine della travagliata vicenda del TLT, la cui situazione venne attentamente scandagliata dai suoi agenti. Per quanto riguarda la Zona B, che vedeva la presenza costante di quelli che le informative lasciano intravedere come pochi uomini ma ben inseriti negli ambienti della VUJA,40 ci si concentra soprattutto sulla situazione degli armamenti a disposizione delle truppe jugoslave impegnate a monitorare il confine, sull’intercettazione di documenti interni dell’amministrazione jugoslava, nonché sulle condizioni di difficoltà degli italiani presenti nella zona.41 Per quanto riguarda invece il versante della Zona A l’attenzione quasi maniacale degli agenti era rivolta allo spostamento di personaggi considerati sospetti per le loro inclinazioni politiche, quasi sempre additati come agenti dell’OZNA42 e come propagandisti del vicino regime comunista.43 Esistono lunghi elenchi di persone continuamente monitorate nei loro viaggi tra le due zone, così come di associazioni slovene e di circoli culturali vicini all’UAIS da tenere sotto stretta osservazione in quanto ritenuti impegnati in attività lesiva per il prestigio e l’azione dei partiti politici del “Fronte italiano”.44 Esisteva inoltre un nucleo operativo impiegato nel controllo di tutti i movimenti dell’agenzia ATI di Trieste45. In generale non mancano anche lunghe relazioni volte a ricostruire i profili molto articolati della situazione complessiva dei territori contesi. L’indice di una relazione realizzata il 24.7.1945 da un capitano marittimo di stanza in una località non meglio precisata nella Venezia Giulia riporta ad esempio le seguenti voci: «situazione amministrativa, orientamento politico della popolazione, stampa, situazione

40

Acronimo di Vojna Uprava Jugoslavenske Armije (Amministrazione Militare dell’Armata Jugoslava). 41

ACS, PCM, gabinetto, 1944-1947, b. 3721, ACS, MI, DGPS, 1944-1946, b. 58.

42 Acronimo di Odeljenje za Zaštitu Naroda (Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). Si trattava della

polizia politica nata in seno all’Armata Jugoslava.

43 Attività di tipo spionistico gestite dall’OZNA in territorio giuliano e friulano erano effettivamente presenti, anche se la documentazione attuale impedisce lo sviluppo di ricerche organiche capaci di individuare strutture operative jugoslave in grado di condurre interventi sistematici e non legati all’improvvisazione dei singoli agenti. Qualche indicazione in più può essere rintracciata nella raccolta di documenti proposta da Alessandro Marzo Magno, La guerra tiepida. Spionaggio e controspionaggio tra Italia e Jugoslavia 1948-1953 nel fondo Affari riservati della Pubblica Sicurezza, nell'Archivio centrale dello Stato, in «Qualestoria», anno XL n.1 giugno 2012, IRSML-FVG, Trieste, pp. 95-110.

44

ACS, MI, Gabinetto, 1947, b. 48. 45

Agenzia Triestina Informazioni. Si trattava di un’agenzia stampa nata nell’aprile del 1947 che aveva sede

a Trieste e la cui attività era finanziata dalle autorità jugoslave. Forniva informazioni soprattutto a quotidiani come “Il Lavoratore” e “Il Corriere di Trieste”, due testate non allineate in favore della causa italiana per la Venezia Giulia, costituendo un vero e proprio contraltare all’attività dell’ANSA locale. Vedere Roberto Spazzali, Radio Venezia Giulia. Informazione, propaganda e intelligence nella «guerra fredda adriatica» (1945-1954), IRCI-LEG, Gorizia, 2013, pp. 142-143.

scolastica, comunicazioni, situazione alimentare, salari, servizi pubblici, situazione sanitaria, situazione agricola, situazione industriale».46 Tali griglie argomentative avrebbero a grandi linee costruito la maggior parte del materiale inviato a Roma dalla Venezia Giulia, permettendo di rilevare la vastità degli aspetti ritenuti utili per monitorare le condizioni delle aree di confine.

In generale però il materiale informativo raccolto per conto del Ministero, nonostante la sua complessità e l’ampiezza dei campi di riferimento, non risulta essere connotato da tratti del tutto neutrali. Soprattutto la sopraccennata continuità con il regime del personale impiegato nel monitoraggio del confine finiva con il dare in eredità a tutti gli appunti realizzati forti tare ideologiche.

Ne forniamo di seguito alcuni esempi significativi, che rappresentano un piccolo campione in grado di cogliere in linea generale il tono che faceva da denominatore comune a tutte le informative compilate dagli agenti e girate a Roma, impegnato sì a negare, per lo meno a parole, l’esperienza fascista, ma riferendosi a stilemi linguistici e a concetti politici in perfetta assonanza con in Ventennio appena concluso. Il primo esempio arriva da alcune osservazioni sul problema della Venezia Giulia stilate da un non meglio specificato “esperto giuliano” inviate, tramite il Ministero dell’Interno, in un dispaccio segreto dall’Ufficio informazioni del Regio Esercito al gabinetto della PCM e alla segreteria generale del MAE. Siamo nel maggio del 1945 e l’appunto dell’anonimo esperto recita:

«E’ impressione di cittadini giuliani che non si affronti con sufficiente preparazione il problema della Venezia Giulia e che in mancanza di cognizioni precise si ceda facilmente all’imperialismo jugoslavo o che, quanto meno, la difesa degli interessi italiani non sia così efficace come dovrebbe essere. […]

Tutto conta nulla quando si ha alle porte uno Stato che solo con un eufemismo si può chiamare “nemico”. Importa invece una efficace difesa che deve essere fatta con estrema energia e con la precisa valutazione del problema.

La piccola Serbia Balcanica che tanto deve all’Italia, ingranditasi con la forza e con sistemi tutt’altro che “democratici” fino a diventare Jugoslavia, oggi, spalleggiata, vuole ai suoi piedi una Italia che considera nazione finita e imbelle, mentre la temeva e la rispettava ai tempi delle smargiassate fasciste, convincenti sempre a chi pone il culto della forza al di sopra del diritto e aveva usato e usa ancora gli stessi mezzi e sistemi; senza contare e lo possono bene affermare coloro che conoscono gli slavi, che per questi lo spirito di rinunzia o di adattamento di fronte al loro più intransigente e acceso nazionalismo, non suscita che disprezzo. […]

L’Italia, con l’annessione della Venezia Giulia, aveva incorporato un certo numero di croati e sloveni. Si trattava di popolazione quasi esclusivamente rurale, in genere troppo arretrata per dimostrare aspirazioni nazionali, che aveva accettato di buon grado il fatto compiuto. […]

All’Italia, della quale subiva il fascino della civiltà, chiedeva e, bisogna riconoscere, molto ottenne dato quelle che erano le condizioni del paese, strade, ponti, case, acquedotti. Benessere insomma. Questa popolazione che, con la forza bruta del numero, dovrebbe soffocare gli italianissimi e civilissimi comuni della costa dai quali soltanto essa deve la sua evoluzione, non era avversa all’Italia anche per altra ragione;

ed è che malgrado parlasse il croato o lo sloveno, per usi, costumi, educazione, mentalità, era rimasta, come era stata – si tenga ben presente – austriaca. Una più saggia politica li avrebbe fatti diventare buoni cittadini italiani. […]

Che i torti debbano essere riparati, tutti sono d’accordo. Ma che debbano essere riparati con concessioni territoriali consegnando in schiavitù a gente primitiva comuni italiani di antichissima superiore civiltà, solo i servi di un lontano padrone lo possono sostenere. […] Serbi e croati in fondo l’hanno sempre odiata [l’Italia] ed ora la disprezzano come il servo arricchito disprezza il padrone decaduto. E chi non fu mai fascista e prese anzi netta posizione contro la politica adriatica mussoliniana, oggi ha il diritto di osservare che soltanto nel tempo dell’apogeo fascista l’Italia era rispettata dagli slavi, perché la ritenevano forte, e che mai come oggi scese nella loro considerazione. I famelici mastini si preparano ad affondare le zanne nel corpo vivo della preda caduta. Guai all’Italia se si dimostra debole.»47

Questo passaggio illustra alla perfezione il generale disprezzo per le “popolazioni slave” che intride quasi tutte le relazioni politiche fornite dal personale afferente al Ministero dell’Interno, disprezzo che però a più riprese, anche se non sempre con toni così marcati, si affacciava anche negli articoli proposti dalla pubblicistica facente riferimento al cosiddetto “Fronte italiano”, condizionato, anche ai livelli più raffinati della sua espressione, da visioni semplificate e spesso impregnate di pregiudizi razziali. Tali relazioni dunque, oltre che essere influenzate dalle inclinazioni ideologiche individuali, non fanno altro che assorbire fedelmente il clima culturale che di fatto in quel momento stava attraversando vasti bacini dell’opinione pubblica italiana, facendosi specchio privilegiato della realtà in cui venivano realizzate e offrendo a chi le legge a posteriori uno spaccato di informazioni di notevole spessore per quel che riguarda l’analisi dei linguaggi e del panorama culturale del momento. Questo stralcio di relazione è anche utile per rilevare un’altra caratteristica del materiale fornito dagli agenti: quasi mai le informazioni venivano redatte in chiave “asettica”, riferendosi esclusivamente a dati specifici e puntuali. Ogni fatto raccontato, ogni elemento raccolto finiva per essere accompagnato da precise letture interpretative, che spaziavano nella visione personale e nei giudizi particolari dell’agente che compilava l’informativa. Difficilmente le relazioni che arrivavano dalla Venezia Giulia approdavano a Roma sotto la veste di spoglie cronache di fatti salienti o di analisi specifiche sulla situazione, ma di fatto erano tarate sulle osservazioni dettate dalla formazione di ogni singolo agente.

Un altro esempio significativo, anche per il ritaglio cronologico che si riferisce questa volta al giugno del 1948, arriva da un dossier politico realizzato dal SIS, il Servizio Informazioni Speciali.48 Tra i tanti argomenti, viene affrontato anche quello del

47 ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1947, b. 3721.

48 Il Servizio Informazioni Speciali aveva preso a funzionare presso la Direzione Generale di Pubblica

Sicurezza del Ministero dell'Interno nel febbraio del 1946, dopo la ricostituzione della divisione della polizia politica, sciolta in precedenza dagli Alleati al loro arrivo a Roma. La nascita di tale organismo era stata pensata per sgravare la Direzione Affari Generali Riservati da compiti strettamente investigativi, coordinando l’azione di tutte le questure presenti nel territorio. Le aree di competenza del SIS riguardavano il casellario politico centrale, i confinati ed ammoniti politici, gli internati politici, gli illeciti arricchimenti, affarismo e repressione traffico clandestino di preziosi e valute, la borsa nera, la trattazione di reclami diretti a personalità di governo e le informazioni urgenti e riservate. Il SIS, sarebbe stato alla fine del 1948 sostituito da una

esodo49 di lavoratori italiani che avevano scelto subito dopo la guerra di trasferirsi in Jugoslavia, in piena adesione ai propri ideali socialisti. La forte crisi economica che aveva però investito il paese e la rottura tra Tito e Stalin50 aveva costretto molti di essi a rimpatriare, sottoponendoli di conseguenza ai severi controlli operati alle frontiere riservati a tutti coloro che erano sospettati di attività filo-comunista. L’informatore si esprime sulla questione nei seguenti termini:

«Gli illusi, che la propaganda titina aveva spinto a lasciare questo territorio per recarsi a lavorare nel vicino paradiso di Tito, ad uno ad uno abbandonano la terra promessa per ritornare a Trieste. Magri e malvestiti, si presentano ai vari posti di blocco per essere inoltrati in città. […] Uno, un fabbro di 27 anni, ha fatto un quadro tutt’altro che allegro della vita dell’operaio laggiù. Fame, miseria, lavoro durissimo e continua sorveglianza da parte dell’implacabile OZNA. […] Attualmente ai Cantieri [Riuniti del Carnaro di Fiume] sono occupati circa tremila operai, molti dei quali bosniaci. […] Il grande stabilimento ha l’aspetto di un baraccone da fiera, con stelle rosse dappertutto, ritratti di Tito e di Stalin e addirittura pavesato di bandiere jugoslave; non manca il solito manifesto a favore dei banditi di Markos.51 Il [sic] omaggio alla sbandieratissima libertà, lo stabilimento è ininterrottamente piantonato da 30 soldati armati, che fanno passare a chiunque qualsiasi velleità di sciopero o protesta, cose [invece] abituali a Trieste e nel resto d’Italia.»52

Anche in questo caso si dimostra come la registrazione di un fatto o di un problema finisse dunque per passare attraverso i filtri dell’interpretazione politica di chi la raccoglieva. Altro elemento interessante che emerge dal passo appena riportato è il riferimento ad informazioni tratte direttamente dagli interrogatori sostenuti dai profughi italiani che chiedevano di passare il confine tra le due zone. Gli esuli infatti da subito rappresentarono una delle fonti alle quali si ricorreva maggiormente per capire cosa stava accadendo nella zona Jugoslava, divenendo un elemento di complemento alle informative redatte dagli agenti. Anche in questo caso si tratta di fonti tutt’altro che neutrali, dato che facevano riferimento a persone il cui difficile vissuto e il bagaglio di esperienze negative determinanti la scelta dell’esodo, non potevano che alterare la visione generale della situazione. È importante tenere presente questo particolare, dal momento che i profughi rappresenteranno il bacino principale di informazioni a cui ricorreranno nel corso della loro attività informativa anche i fiduciari afferenti al CLNI.

Divisione Affari Riservati definitivamente svincolata dagli "Affari Generali" e dipendente direttamente dal Capo della Polizia. La scheda informativa del SIS può essere recuperata sul sito del Ministero dell’Interno al link fornito di seguito:

http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/ministero/dipartimenti/dip_pubblica_sic urezza/direzione_centrale_della_polizia_di_prevenzione/scheda_liberazione.html.

49

Andrea Berrini, Noi siamo la classe operaia. I duemila di Monfalcone, Baldini Castoldi Dalai, Milano,

2004, Boris Gombač, “Controesodo”. Povojne migracije italijanskega prebivalstva v Jugoslavijo (1945-1954) [“Controesodo”. Le migrazioni di popolazione italiana in Jugoslavia nel dopoguerra (1945-(1945-1954)], in «Annales», Koper, 26, 2001, pp. 371-386.

50

Cfr. Capitolo 1, par. 5.1.

51 Il riferimento è a Markos Vafiadis, leader del Partito Comunista in Grecia durante la guerra civile.

In generale le informative compilate dagli agenti riconducibili al Ministero dell’Interno hanno la tendenza a riportare notizie spesso non confermate sia dalle verifiche effettuate a Roma sia dal naturale evolversi dei fatti realmente accaduti. Uno dei temi maggiormente cavalcati è quello di imminenti attacchi militari pianificati da corpi militari jugoslavi, con il sostegno sovietico, a danno della Zona A. Voci di invasioni incombenti cominciarono ad essere riportate con particolare veemenza da varie fonti nella primavera-estate del 1946, in corrispondenza delle trattative in corso alla Conferenza di Pace.53

Ad inaugurare il ciclo delle informative sul tema fu il comando generale dell’Arma dei Carabinieri, che diramò un dossier che, tra le altre cose, segnalava:

«Partigiani filo-sloveni già appartenenti alla divisione “Garibaldi”, residenti nella Zona A, hanno avuto ordine da emissari sloveni di tenersi pronti per dar man forte alle truppe di Tito nell’occupazione di tutta la Venezia Giulia in caso che le decisioni della conferenza di pace non contemplino l’annessione di quella regione alla Federativa Jugoslava. Si afferma negli ambienti slavi che questo progettato colpo di mano trova riscontro in quello fatto da Gabriele D’Annunzio nel 1919 su Fiume, il quale non fu ostacolato dalle nazioni alleate […].»54

A dare notizia di movimenti sospetti fu anche nel mese di maggio uno degli agenti la cui presenza era da tempo consolidata a Trieste, ossia Antonio De Flora55, uno dei pochissimi a firmare le proprie relazioni.

«Nella Zona B, specie lungo la frontiera italo-jugoslava del 1940 continuano sempre più intensi i movimenti di truppe titine, di materiali, di lavori fortificatori, mentre lungo la dannata linea Morgan si è intensificata la vigilanza terrestre ed aerea alleata. Unisco due riassunti di notizie militari.»56

A seguire, con maggiore dovizia di particolari, arrivò anche una serie di dossier sugli apprestamenti militari, corredati da ampie cartine e schemi tattici volti ad illustrare le dinamiche dei presunti futuri attacchi. Nel mese di giugno le voci si intensificarono, assumendo toni maggiormente perentori e aggiungendo sempre maggiori particolari, come nel caso di questo appunto redatto dal Questore di Udine, Durante:

53

In generale la tendenza degli informatori italiani era quella di gonfiare notevolmente le cifre relative alle

attività di taglio militare portato avanti dagli jugoslavi nel TLT e soprattutto nella Zona A. Alcuni esempi concreti possono essere rintracciati in N. Troha, Chi avrà Trieste?, cit., pp. 329-340.

54 AMAE, Affari politici 1946, Jugoslavia, b. 5, n. 442/21346. 55

Molto probabilmente si tratta del “comm. De Flora” citato varie volte in ambito storiografico in merito

all’attività clandestina del CLN nelle settimane antecedenti l’arrivo delle truppe jugoslave a Trieste. Spazzali lo indica come commendatore vice commissario di polizia (Vedere Roberto Spazzali, …Italia chiamò. Resistenza politica e militare italiana a Trieste 1943-1947, LEG, Gorizia, 2003), e Claudia Cernigoi lo individua come uno degli elementi di collegamento tra i tedeschi e il CLN della Venezia Giulia nell’ambito delle discussioni per evitare la distruzione del porto di Trieste da parte dell’esercito germanico. Durante i “40 giorni” dell’occupazione titoista sarebbe poi stato fatto allontanare dalla città con l’aiuto dei servizi segreti britannici (Vedere Claudia Cernigoi, La “Banda Collotti”. Storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia, Kappa Vu, Udine, 2013). Rientrato evidentemente a Trieste subito dopo il ritiro delle truppe jugoslave, riprese la sua attività come informatore della polizia in collegamento con il Ministero dell’Interno.

«Da un pò [sic] di giorni le notizie che giungono dalla zona B sul continuo afflusso di truppe jugoslave e russe fanno ritenere imminente il più volte annunciato piano di occupazione di Trieste e di Gorizia. Le accludo in merito un breve riassunto di notizie confidenzialmente pervenute. […] Da Cormons qualche famiglia facoltosa ha già ripiegato su Udine e poiché si ritiene che l’occupazione dovrebbe effettuarsi subito dopo conosciuta la decisione di Parigi sul destino delle suaccennate città, così c’è da presumere che nei prossimi giorni l’esodo possa intensificarsi. Sta di fatto che anche da parte degli Alleati c’è un continuo afflusso di uomini e materiali come mai è successo in questa provincia e anche gli Ufficiali Alleati dell’A.M.G. residenti a Udine non ne fanno più mistero.»57

Tali voci, smentite poi dai fatti reali, in realtà continuarono a palesarsi anche nel corso del periodo successivo come per esempio nel caso di una circolare riservatissima inviata al Ministero dal capo della polizia nel novembre del 1947, il cui contenuto, segnalato come non verificato, riportava le seguenti informazioni:

«Fonti diverse hanno riferito che nelle organizzazioni slavo-comuniste della città e del T.L.T. amministrato dalle autorità jugoslave, queste ultime, capeggiate dagli esponenti rifugiatisi nella zona di Capodistria perché responsabili dello sciopero illegale del luglio 1946, si parla con insistenza in questi giorni di un colpo di mano che dovrebbe effettuarsi entro breve tempo da parte delle truppe jugoslave per occupare la città di Trieste e di Gorizia, con l’appoggio delle quinte colonne.

Queste ultime, per l’occasione, dovrebbero organizzare uno sciopero generale “armato” che dovrebbe essere giustificato da un adeguato motivo, opportunamente provocato. […] Tali notizie vengono avvalorate dalla voce pubblica che in questi giorni discute con insistenza l’argomento in questione»58

Tali informazioni, sebbene non avvalorate poi dall’effettivo svolgersi dei fatti, si muovevano in perfetta coerenza con gli scopi per le quali venivano raccolte e con il contesto di riferimento. Non si trattava infatti esclusivamente di lanciare allarmismi infondati per tentare di alzare il livello di guardia da parte delle istituzioni e di screditare le formazioni politiche italiane che non si erano schierate chiaramente a favore dell’italianità della Venezia Giulia tacciandole di asservimento ideologico e fattivo ad una potenza straniera, anche se senza dubbio i binari ideologici sui quali si muovevano gli agenti potrebbero indurre a riflessioni di questo tipo, che saprebbero rispondere però solo in parte alle ragioni del tono assunto da queste relazioni. Da una parte occorreva dare senso alla presenza dei numerosi corpi paramilitari presenti sul territorio e di cui si è accennato poc’anzi, necessari al fine di garantire alle più alte sfere del governo italiano un controllo capillare e concreto delle aree poste al confine. Dall’altra la diffusione di notizie incontrollate e di informazioni non verificabili rientrava nel delicato gioco della strategia della tensione, e spesso venivano diffuse tra i vari informatori al soldo delle diverse potenze che brulicavano nella zona per tentare di alzare i toni dello scontro, minacciando operazioni imminenti che non solo non erano fattibili, ma del tutto improbabili nella loro efficacia per le potenze che avrebbero

57

Ibidem.

dovuto attuarli. Si trattava però del gioco delicato che correva sul concetto della deterrenza, che vedeva gli schieramenti opposti impegnati a mostrare i muscoli dei propri armamenti