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gli attori locali

1.5.3 Luigi Drioli e il processo di Capodistria

«Nel maggio del 1945, sebbene a letto ammalato, mi tenevo informato dagli amici di sicura fede nazionale, sullo svolgimento della situazione politica. Non c’erano dubbi che da parte slava tutto si organizzasse in funzione dell’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. Un pomeriggio domenicale, non potei sopportare le grida provocatrici di una manifestazione organizzata dagli slavi e, balzato dal letto, corsi alla finestra a sventolare una bandiera nazionale al grido di “viva l’Italia del popolo!”. I dimostranti si fermarono e qualche isolano face cenno che ero pazzo. La bandiera era logora, sbiadita, perché di vecchia data: era la prima bandiera che aveva sventolato a Isola nell’ottobre insurrezionale del 1918; era un tricolore repubblicano che mai più venne esposto nell’epoca fascista. […]

Durante la convalescenza, la mia casa fu frequentata sempre più da gente che voleva orientarsi, che desiderava avere notizie per alimentare le speranze della nostra causa. Nel frattempo il C.L.N. clandestino di Isola che nel maggio del ’45 aveva assunto i poteri civili venne cambiato in Comitato Popolare Locale (C.P.L.). Io invece organizzai clandestinamente un nuovo C.L.N. con elementi sempre fedeli e qualche persona aggiuntasi successivamente. Il nostro obiettivo era la riunificazione della terra istriana alla madrepatria.»291

Riprendevano così, nella primavera del 1945, le avventure di Luigi Drioli, nome in codice Romeo Alfa. Nato a Isola d’Istria nel novembre del 1902, da una famiglia tradizionalmente legata ai valori nazionali italiani, dopo l’8 settembre del 1943 aveva prima contribuito alla nascita dei comitati di salute pubblica e poi militato nel CLN locale in qualità di esponente del Partito d’Azione.292 L’attività del CLN clandestino ricreato per sua iniziativa ebbe come immediato obiettivo quello di mettersi in contatto con coloro che avevano lasciato l’Istria all’indomani del consolidamento dei poteri popolari, facendo principalmente riferimento al GEI di Trieste, così come ricordato dall’attivista Olinto Parma:293

«Ci si recava frequentemente a Trieste in via delle Zudecche, sede del CLN dell’Istria e del Gruppo Esuli Istriani a portare notizie di quanto avveniva ad Isola; notizie che poi venivano utilizzate per le autorità, per le trasmissioni di Radio Venezia Giulia, per la pubblicazione del Grido dell’Istria e per i bollettini stampa del CLN-Istria. Per

291 AST, Fondo “Luigi Drioli”, n. 415, Relazione di Luigi Drioli.

292 Per maggiori approfondimenti sulla vicenda biografica di Drioli e sulla documentazione da lui raccolta e attualmente disponibile presso l’Archivio di Stato di Trieste, vedere Roberto Spazzali, Grazia Tatò, Chiara Artico, Archivio Luigi Drioli (1945-2003), in «Atti e memorie», Società istriana di archeologia e storia patria, Volume CX, (LVIII della Nuova serie), Trieste, 2010, pp. 243-311.

293 Nato a Isola d’Istria nel 1926, fin dall’infanzia fu vicino all’Azione Cattolica e nell’immediato dopoguerra

si avvicinò molto alla figura di don Marzari. Nel giugno del 1945 fondò a Isola la prima sezione della DC, che ebbe come suo segretario Giacomo Bologna. La sede del partito venne nel giro di poche settimane colpita da alcuni attacchi terroristici, che portarono alla chiusura della sezione già nel luglio del 1946 e alla clandestinità della maggior parte dei suoi attivisti. Parma sarebbe divenuto uno dei principali esponenti del CLN clandestino di Isola, collaborando in maniera capillare con il GEI/CLNI. Dopo le vicende processuali che lo interessarono a seguito del fallito attentato all’impianto dell’ATI si sarebbe trasferito a Trieste, divenendo dirigente delle sezioni locali della DC e delle ACLI. D. D’Amelio, Ritratto di un’élite dirigente, cit., pp. 406-409.

evitare di farci notare da possibili malintenzionati, spesso ci recavamo nell’abitazione del fiduciario di Isola, Anteo Degrassi […]. Durante tali visite, oltre a scambi di informazioni, ci veniva chiesto un parere sugli isolani meritevoli di aiuto e, alla fine, ci venivano consegnati giornali clandestini, in particolare il Grido dell’Istria. Un sabato portai a Isola un considerevole numero di copie, nascoste in grandi scarponi di militare. Pur sapendo il pericolo che correvo e a quali conseguenze andavo incontro, rischiavo. Forse era l’incoscienza dell’età (non ero ancora ventenne e quindi neppure maggiorenne).»294

Da subito il nucleo di attivisti si propose di ripercorrere le strategie di lotta tipiche dell’esperienza ciellenista, che prevedevano, oltre alla propaganda politica, concrete azioni di sabotaggio a danno delle autorità popolari:

«Nei primi tempi organizzai anche delle forme di boicottaggio commerciale a danno del regime comunista. Cercai di convincere i colleghi negozianti a non far trovare merce nei loro negozi ma a poco a poco essi rinunciarono all’impegno per varie ragioni e io stesso dovetti desistere successivamente ma verso la fine del 1946.»295

Si trattava ovviamente, come in questo caso, di iniziative che venivano investite di valore prettamente simbolico, motivate dalla necessità di manifestare pubblicamente il proprio dissenso e ancora fattivamente prive di quella connotazione militare che invece aveva avuto la lotta armata condotta durante l’occupazione nazifascista.

L’attività del vivace gruppo costituitosi all’indomani del maggio 1945 subì una più radicale organizzazione a partire dal 25 aprile del 1946, quando venne fondato il già citato GRI, Gruppo di Resistenza Istriana, intitolato a Domenico Lovisato. Si era trattato di un salto di qualità molto probabilmente suggerito dalla necessità di andare oltre le azioni di sapore puramente dimostrativo, rivelando l’intenzione del GEI-CLNI di imprimere maggiore decisione all’azione da intraprendere sul territorio. Non è da escludere l’ipotesi che da Trieste si volesse favorire attraverso il GRI anche la creazione di nuclei impegnati in azioni di carattere paramilitare, come dimostrato dalla richiesta inoltrata dal GEI per ottenere da alcuni reparti dell’esercito i necessari armamenti.296 La documentazione, certamente influenzata dal naturale riserbo che tali circostanze imponevano, non consente di arrivare a conclusioni certe e incontrovertibili, anche se tra le righe delle testimonianze dei protagonisti emergono i profili di operazioni altamente rischiose, di certo ben al di fuori dei limiti della legalità e la cui natura era stata oggetto di discussioni in seno allo stesso direttivo del GEI:

«[…] da parecchio tempo nell’ambito del CLN dell’Istria si confrontavano due tesi: una, che poi prevalse, che raccomandava moderazione nelle prese di posizione nei confronti delle autorità, sulla stampa, nelle trasmissioni Radio Venezia Giulia, e che escludeva

294

O. Parma, Dall’armistizio all’esodo, cit., p. 174. 295

AST, Fondo “Luigi Drioli”, n. 415, Relazione di Luigi Drioli. 296 Cfr. p. 38-39.

tassativamente azioni militari; l’altra che proponeva una posizione ed una opposizione decisa e forte al corso degli eventi in Zona B con atteggiamenti più energici e risoluti.»297

Al di là degli esiti scaturiti in quel momento dal dibattito interno, il GRI continuò il suo percorso, dotandosi di una struttura operativa piuttosto snella, ma strettamente collegata con il GEI-CLNI di Trieste:

«Il GRI – D.L. era collegato al CLN dell’Istria attraverso il prof. Redento Romano (Enea), nato a Portole nel 1911, residente a Trieste da lungo tempo. […] Il prof. Redento Romano dava le disposizioni e le istruzioni a mezzo di Vittorio Vattovani (capitan Furia), capodistriano, impiegato presso la Croce Rossa Italiana. […]

Gli appartenenti al GRI erano alcune decine, organizzati in nuclei e ciò al fine di evitare che troppe persone si conoscessero tra loro.

Le riunioni di nucleo o dei responsabili avvenivano in sedi diverse per esaminare le disposizioni ricevute da Trieste e predisporre le relative e più opportune azioni da compiere. Il nostro gruppo fu uno dei pochissimi o forse l’unico gruppo di resistenza così organizzato e dotato dell’Istria occupata dagli Jugoslavi.»298

A seguito della firma del trattato di pace gli animi si infiammarono. Parte del Gruppo abbandonò l’Istria per timore di ripercussioni e l’organizzazione venne presa in mano da Olinto Parma, che mantenne la stretta collaborazione con Drioli. In concerto con “Capitan Furia”, Parma e Drioli decisero di mettere a punto un’azione di tipo terroristico volta ad abbattere l’impianto di trasmissione della ATI. L’operazione, ribattezzata “Croce Bianca” dal nome della località vicino Pirano in cui era collocato l’impianto, costò un lungo lavoro di preparazione:

«Nel primo semestre del 1947 il GRI fu notevolmente impegnato in diverse azioni che prevedevano l’arrivo con barca e lo smistamento in luoghi sicuri di materiale occorrente per l’operazione a Croce Bianca […]. Dopo aver assunto informazioni, effettuate ricognizioni sul posto, svolti incontri con i nostri superiori di Trieste, partecipai assieme ad altri due membri del GRI venuti da Trieste (presentatimi da un sacerdote) alla suddetta operazione […]»299

Nonostante gli sforzi, per cause e dinamiche di difficile ricostruzione, l’operazione, fissata per la fine di giugno, fallì. Stando alla ricostruzione offerta dalla polizia jugoslava, il GRI avrebbe successivamente tentato di portare a termine la missione con un secondo attentato, fermato dall’intervento della pubblica sicurezza e che avrebbe portato all’arresto immediato di uno dei partecipanti, Livio Dandri “Ottavio”. Inizialmente Parma e alcuni dei suoi più stretti collaboratori tentarono la fuga a Trieste, dando vita ad una rete di solidarietà in grado di mantenere la famiglia di Dandri e mettendo a punto un piano per far evadere il prigioniero, che però fallì. A partire però dal mese di marzo la polizia jugoslava avrebbe effettuato una serie di arresti a tappeto, che avrebbero portato in carcere Luigi Drioli,

297

O. Parma, Dall’armistizio all’esodo, cit., p. 177. 298

Ivi, p. 176. 299 Ivi, p. 177.

Salvatore Perentin, Domenico Difino, Ottavio Dudine, Olinto Parma, e Maria Degrassi, tutti attivisti del CLN clandestino di Isola e del GRI.

Era quello l’inizio di una drammatica vicenda, che avrebbe avuto ricadute giudiziarie significative e un notevole impatto sulla stampa e sull’opinione pubblica, rischiando di pregiudicare la presenza futura del CLNI e degli attivisti italiani nella Zona B.

Non è dato a sapere l’entità del contraccolpo provocato all’interno del direttivo CLNI dall’arresto del gruppo. I verbali delle riunioni risalenti al mese di marzo riportano scarni accenni alla questione dell’arresto di “Alfa”, la cui vaghezza era probabilmente dovuta alla necessità di mantenere il più totale riserbo su quanto stava accadendo nella Zona B: l’arresto di Drioli e degli attivisti del GRI non solo si traduceva nella perdita di importanti elementi della lotta clandestina in territorio istriano, ma significava rendere di pubblico dominio le attività condotte dal CLNI nella zona ad amministrazione jugoslava, facendo venire a galla aspetti le cui ricadute risultavano ancora imprevedibili sul piano internazionale.

Immediatamente allertata fu tutta la rete di relazioni intrattenute dal CLNI. Dai verbali di seduta risulta che per esempio a distanza di poche settimane la Giunta d’Intesa garantì la copertura finanziaria necessaria all’erogazione di sussidi straordinari alla famiglia Drioli e che Fragiacomo aveva tentato degli abboccamenti con Vidali per tentare di ottenere notizie sulle condizioni di detenzione del gruppo.300 Sollecitato fin dalle primissime battute della questione fu anche il Governo e soprattutto il MAE, al quale venne richiesto di intervenire per via diplomatica al fine di trattare con le autorità jugoslave il rilascio di Drioli. Le reazioni governative, a dispetto della grande eccitazione che scuoteva il CLNI, furono piuttosto prudenti. La Rappresentanza Italiana a Trieste venne infatti in un primo momento invitata a chiedere, tramite la Legazione a Belgrado, conferme circa le notizie riportate dal CLNI, accertando i fatti realmente accaduti.

L’intera questione, che non mancò di accendere da subito i toni della stampa locale, sarebbe però passata immediatamente in secondo piano a causa dell’interferire di questioni assai più gravi per i governi in gioco: erano quelli i mesi in cui si stava consumando la battaglia elettorale italiana del 18 aprile e di lì a poco Tito sarebbe stato espulso dal Cominform, destabilizzando completamente la situazione generale. Non stupisce dunque il silenzio sulla vicenda nelle relazioni ufficiali e nelle corrispondenze tra Roma e Trieste.

Passata la bufera internazionale, la faccenda Drioli tornò a mettere in moto l’accesa dialettica che interessava i rapporti tra Italia e Jugoslavia. Nel settembre del 1948 infatti i componenti del GRI videro l’inizio della loro vicenda processuale, con la formulazione da parte del Tribunale Militare dell’A.J. del seguente atto di accusa:

«[…] per aver raccolto e rimesso dalla primavera del 1946 e fino al loro arresto, in qualità di organizzatori e membri dell’organizzazione clandestina e di spionaggio e terroristica cosiddetto “Gruppo di Resistenza Istriana – Domenico Lovisato” /GRI-DL/ di Isola agli agenti dell’imperialismo del “Comitato di Liberazione Nazionale per l’Istria /CLNI/ di Trieste, informazioni militari segrete sulla forza numerica, armamento e dislocamento delle unità dell Armata Jugoslava [sic] nel Territorio Libero di Trieste e per essersi forniti, sotto le direttive degli stessi agenti e con il loro aiuto,

di armi, munizioni, ed esplosivo, e aver raccolto informazioni sui membri del Potere Popolare e delle organizzazioni di massa, per eseguire azioni terroristiche contro la popolazione e contro impianti pubblici, tutto ciò al fine di distruggere con la forza l’esistente potere popolare e per annientare le conquiste democratiche, politiche, nazionali e sociali che il popolo si è conquistato durante la lotta di liberazione contro il fascismo.» 301

Al di là delle coloriture date dalla scelta terminologica, che andrebbero comunque verificate con la versione in lingua originale, l’atto dimostrava che la polizia jugoslava aveva pienamente colto il senso delle attività svolte dal GRI in concerto con il CLNI di Trieste. Le informative redatte dal CLNI solo raramente si occupavano di atti militari e l’attività definita nel documento come terroristica non ebbe sicuramente mai come obiettivo i civili, ma al di là delle forzature funzionali ad un utilizzo polemico del processo, era evidente che l’intera rete del CLNI era stata perfettamente individuata nei suoi responsabili e nei suoi obiettivi di fondo. A dimostrarlo sarebbe stata anche la precisa aderenza alla realtà di alcuni capi d’accusa a carico egli imputati, che sembrano fare il paio con le indicazioni fornite da Olinto Parma nel suo lavoro autobiografico già più volte citato in merito all’organizzazione del gruppo.

Il processo assunse le dimensioni di un vero e proprio evento mediatico. Allestito nella Palestra di via S. Francesco a Capodistria, sarebbe stato seguito da centinaia di persone in piazza, dove erano stati istallati microfoni e altoparlanti per permettere a tutta la cittadinanza di seguire l’andamento del dibattimento.

Dopo quattro udienze il processo si sarebbe concluso con l’assoluzione per mancanza di prove di Parma, Dandri e Degrassi Maria, e con una serie di condanne durissime per gli altri imputati. A Drioli sarebbero toccati 12 anni e sei mesi di carcere e lavoro forzato, a Perentin 14, a Dandri e Difino 8 e a Dudine 4. Vale la pena di ripercorrere i passaggi principali della motivazione di sentenza:

«Dopo la vittoriosa guerra contro il fascismo, nei luoghi che appartenevano all’ex Italia fascista e che l’AJ ha preso ad amministrare temporaneamente, si è rafforzato fortemente il potere popolare […]. Questo potere popolare che attinge la propria forza dalle organizzazioni di massa, rappresenta un prune negli occhi di un gruppetto di sciovinisti italiani e più ancora di questo li punge la gloria e la forza dell’AJ che con ruscelli di sangue aiutava il popolo a scuotere da sé il giogo fascista […] questo gruppetto di resti della mentalità fascista, al cospetto della compattezza delle masse popolari non poteva calcolare ad alcun successo senza aiuto dall’esterno ed a questo scopo fondava a Trieste un qualche Comitato di Liberazione Nazionale per l’Istria con il compito di raccogliere intorno a sé coloro che non potevano assuefarsi alla nuova situazione nell’Istria che si trova sotto la amministrazione dell’AJ. […] Perciò il CLNI aveva iniziato la fondazione di vari gruppi il cui scopi [sic] era quello di spiare ai danni dell’AJ, di sradicare fisicamente i rappresentanti del potere popolare e di creare disordini allo scopo di dimostrare all’opinione pubblica mondiale l’incapacità dell’AJ di mantenere l’ordine e la pace. Così pure in primavera del 1946 il CLN di Trieste –

301

AST, Fondo “Luigi Drioli”, Accusa militare del distaccamento dell’A.J. nel T.L.T.- VTK 58 – 48, 21 settembre 1946.

concretamente su ordine del suo presidente Redento Romano, dal nome illegale “Enea”, il quale contemporaneamente era anche responsabile per la stampa e propaganda per l’Istria, direttore del giornale sciovinista “Grido dell’Istria” e funzionario del partito Democristiano, e del suo principale collaboratore Vatovani Vittorio, dal nome illegale “Capitan Furia”, impiegato alla Croce Rossa Italiana di Trieste, è stato fondato a Isola il gruppo spionistico terroristico con il nome altisonante di “Gruppo di Resistenza Istriana – Domenico Lovisato” al quale gruppo tra gli altri appartenevano anche gli imputati Drioli, Perentin, Dandri, Difino e Dudine.

Gli imputati Perentin, Dandri, Difino e Dudine riconoscono di aver a partenuto [sic] al GRI-DL e che avevano firmato il suo Statuto, ma affermano che l’organizzazione non aveva all’atto della sua fondazione un carattere spionistico terroristico, bensì soltanto la propaganda dell’italianità e che appena più tardi secondo istruzioni avute da Trieste, senza la loro volontà, si era mutata in gruppo terroristico. L’imputato Drioli nega di essere stato membro del GRI-DL, ma riconosce di aver saputo della sua esistenza […]. L’imputato Difino confessa che il gruppo non era soltanto armato di fucili mitragliatori di provenienza italiana, ma pure che egli stesso, come ex soldato aveva istruito i membri più giovani nell’uso di questi fucili mitragliatori. […]

L’imp. Perentin del resto confessa di essere stato membro del GRI-DL e di aver firmato il suo statuto con il nome illegale “Italico”, ma nega che questo gruppo abbia avuto qualsiasi cattivo scopo, tanto meno invece scopi terroristici o spionistici, come pure nega che egli abbia avuto in esso qualsiasi vistosa funzione. […] L’imputato Dudine Ottavio ha confessato [invece] che lui e Mario Musizza sono stati organizzati dal Perentin, indicandogli la necessità di tale organizzazione affinché non gli sia necessario abbandonare il paese. L’imputato Perentin gli aveva sottoposto alla firma anche lo statuto ed a lui doveva portare i dati, da lui aveva saputo che a Isola sono arrivate le armi, dell’azione contro la stazione radio ATI ecc. […]

L’imputato Drioli confessa che a Trieste due volte aveva parlato degli spostamenti delle unità dell’AJ nel TLT, nega invece di aver con ciò commesso qualsiasi atto di spionaggio affermando di aver parlato di ciò che si scriveva sui giornali. Sta di fatto che l’imp. Drioli aveva dato a Trieste ad “Enea” dati concreti sulle unità dell’AJ, cioè che esse sono arrivate da Isola, che avevano occupato alcune ville e chi vi sono colà rimaste. […]

Il modo dell’organizzazione del GRI-DL, gli scopi ed i mezzi per il raggiungimento di questi scopi abbastanza chiaramente dimostrano che il GRI-DL non era affatto una organizzazione politica, come vorrebbero dimostrarlo [sic] gli imputati, ma che si trattava prettamente di una organizzazione spionistica-terroristica, che aveva come scopo di diminuire, con la propria attività, la forza impulsiva dell’AJ. […] Siccome la dirigenza del GRI-DL sapeva che con i propri scopi non può presentarsi davanti agli italiani onesti e perciò neppure avere il suo appoggio, era costretta di appoggiarsi al CLNI di Trieste, nel quale si riuniscono gli elementi più reazionari fuggiti dall’Istria. Questi aveva appoggiato il GRI-DL non soltanto moralmente, ma prima di tutto anche moralmente [materialmente] con vestiti e denaro che proveniva dal fondo che gli esuli istriani a Trieste. E naturalmente gli atti terroristici che avrebbe dovuto eseguirli il GRI-DL, dovrebbero servire allo stesso CLNI di Trieste per inviare le risoluzioni al Consiglio di sicurezza dell’ONU e dimostrare la necessità della revisione del trattato di pace con l’Italia.»302

Risulta chiaro ad una rapida lettura come questa sentenza fosse stata concepita come un vero e proprio documento politico. L’individuazione del gruppo e il conseguente processo rappresentavano un’occasione importante per le autorità popolari al fine di costruire argomentazioni contro il contegno tenuto in generale dal governo italiano. L’interesse polemico perseguito dalle autorità popolari e la contemporanea mobilitazione sulla stampa del CLNI, che parlava di un processo farsa e insisteva sulle torture subite in