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Il quadro politico giuliano nelle informative del Ministero dell’Interno

Venezia Giulia

1.2.1 Il Ministero dell’Interno e la situazione nella Venezia Giulia

1.2.1.2 Il quadro politico giuliano nelle informative del Ministero dell’Interno

Le relazioni sulla Venezia Giulia custodite nel fondo del Ministro dell’Interno ancora oggi riescono a svolgere egregiamente la funzione per le quali erano state prodotte, ossia quella di ricostruire la condizione politica e psicologica degli attori locali che si muovevano sul territorio giuliano nel periodo oggetto della nostra attenzione. Sono infatti informative in grado di spiegare assai efficacemente come andarono ad assestarsi localmente gli equilibri politici in rapporto allo svolgimento delle trattative internazionali e in relazione al contemporaneo intervento del governo italiano sulle aree estromesse dal suo diretto controllo dal trattato di pace.

In questa sede si proverà a delineare una panoramica della situazione giuliana partendo dalle relazioni più significative inviate a Roma al fine di descrivere quanto stava accadendo su quei territori in corrispondenza dell’evolversi del quadro internazionale. Una delle informative più articolate risalente all’estate del 1945 è quella inviata alla PCM dall’ufficio informazioni dello stato maggiore del Regio Esercito, nella quale si tentava di abbozzare la reazione degli ambienti politici locali ai travolgenti fatti da poco accaduti:

«Il ceto medio costituito nella sua quasi totalità da italiani di origine e di sentimento aderente (o fiancheggiante) quasi esclusivamente i partiti Liberale; Democristiano; d’Azione e Socialista non ha avuto dubbi e tentennamenti. Anzi, l’occupazione slava è servita a rinforzare sia i sentimenti di italianità sia e in special modo quelli di riluttanza a un’unione con la Jugoslavia, anche se questa dovesse concretarsi in una larghissima autonomia cittadina o regionale in seno a una federazione jugoslava. Tuttavia mentre a questo ceto è comune la reazione antislava, i sentimenti di una notevole parte di esso non confluiscono compatti verso una stretta unione all’Italia, ma piuttosto verso una soluzione autonomistica che dovrebbe essere ben più che regionale. Si auspicherebbe cioè la costituzione di uno stato indipendente anglo-americano.

Per quanto anche nella classe operaia i pareri non siano concordi, essa nella sua maggioranza vedrebbe di buon occhio l’unione della Venezia Giulia alla federazione

jugoslava. […] degna di nota tuttavia la posizione dei vecchi elementi socialisti – ed anche di qualche elemento comunista – che mantengono le loro posizioni e non condividono le idee separatiste dei loro più giovani compagni. […]

La popolazione giuliana e quella di Trieste in ispecie non nutre fiducia alcuna in quella che potrà essere la sorte di Trieste in un regime democratico italiano. […] Il silenzio degli organi ufficiali […] ha creato nella popolazione giuliana la convinzione di essere stata abbandonata a se stessa, provocando, causa non ultima, la formazione di tale preoccupante situazione spirituale.»59

Non occorre in questa sede valutare se e quanto queste impressioni a caldo sapessero prevedere le evoluzioni della situazione politica generale e i successivi mutamenti di umore da parte della popolazione locale. Conta il fatto che in queste istantanee realizzate prendendo il polso di una situazione radicalmente contingente già si potevano preconizzare alcuni dei tratti specifici della realtà politica triestina, caratterizzata da grande frammentarietà e da forti oscillazioni dell’opinione pubblica. Soprattutto per quanto riguardava il cosiddetto “Fronte italiano” anche nelle informative successive si sarebbe sottolineata la grande compattezza dimostrata negli intenti e nella dichiarata fedeltà all’italianità della Venezia Giulia, ma accompagnata da una vera e propria polverizzazione dell’azione politica, afflitta da particolarismi e personalismi difficilmente sanabili. Lo evidenzia il già noto De Flora in una sua nota del gennaio 1946 sulla situazione dei partiti a Trieste:

«Alla inflessibile unicità dell’indirizzo slavo, costantemente proteso a convogliare con ogni mezzo tutte le sue proteiformi attività verso i fini prefissati, non fa riscontro, purtroppo, altrettanta disciplina, compattezza e decisione del Comitato Liberazione Nazionale per la Venezia Giulia, che opera nell’ombra che vegeta fra il disinteresse degli stessi partiti che lo compongono i cui dirigenti vi si fanno rappresentare da rappresentanti inesperti o giovanissimi, e le cui riunioni spesso si trasformano in recriminatorie, senza concreti e concordi risultati per via degli antagonismi di persone o partito che vi si agitano […].

Anche in qualche ambiente alleato, che non cela il suo favore alla causa italiana, si rileva con rammarico tale difetto di iniziativa e di coesione del locale C.L.N. e la costante disintegrazione delle sue autorità e del suo prestigio ad opera degli stessi partiti che lo compongono. Anche l’organo pomeridiano di stampa del C.L.N., l’unico quotidiano giuliano di fede italiana “La Voce Libera” è manifestatamente, nei suoi dirigenti e nel suo indirizzo, un giornale del partito d’azione, dando motivo a frequenti equivoci ed a spiacevoli discussioni fra i vari partiti.»60

In virtù di tale situazione di debolezza gli osservatori in incognito sul territorio giuliano non mancavano di dare i propri suggerimenti per intervenire al fine di migliorarla. Nel marzo del 1946 un agente compilò una precisa relazione che fece il giro degli uffici della PCM e del MAE, nella quale si proponeva di far assumere alla Lega Nazionale un ruolo di

59

ACS, PCM, Gabinetto, 1944-1946, b. 4561, n. 67641/3/2. 60 ACS, MI, DGPS, 1944-1946, b. 59.

primo piano nel panorama politico giuliano con lo scopo di rinsaldare le fila scompaginate dell’opinione pubblica filo-italiana:

«Undici mesi di durissima lotta contro la prepotenza slava, la tolleranza alleata e la forzata assenza dell’Italia ufficiale, cominciano a determinare nei meno forti rilasciamenti, per cui non dovrà sorprendere qualche sbandamento, qualche acquiescenza, qualche assenteismo, qualche diserzione, - Tale fenomeno, che forse sfugge ai più, va seriamente valutato e decisamente infrenato non certo dai partiti aderenti dal CLN, che raccolgono complessivamente 8-9000 iscritti, ma dalla Lega Nazionale, che raccoglie decine di migliaia di spontanee adesioni e che va quindi potenziata e messa in immediata funzionalità con la nomina di un presidente attivo, fattivo e sempre presente, che goda di indiscusso prestigio.»61

Si vedrà poi se e come tale suggerimento, reiterato anche da altri agenti in molti successivi appunti venne colto dalla PCM nell’ambito dell’impostazione dei suoi rapporti con gli attori locali.

Lo stato preoccupante della situazione veniva ribadito sempre nello stesso mese anche da una relazione di De Flora, trasmessa successivamente dal capo della polizia alla PCM e al MAE:

«L’atmosfera di tensione […] incombe tuttora minacciosa sulla intera Venezia Giulia. Dalla zona B, la cui vita italiana è soffocata dal terrore ed attorno ad essa le pesanti maglie delle catene jugoslave si sono molto strette in questi ultimi giorni, filtrano sempre più gravi notizie e le più disperate invocazioni.

Nella zona A, si acuisce sempre più il malessere, si paventa ancor più l’insidia slava, si comincia da qualche gruppo abbiente a mettere al sicuro in territorio nazionale non contestato capitali e valori non perché si dubiti del ritorno de Trieste all’Italia, ma per il temuto assalto, sia pure di breve durata, delle orde slave interne ed esterne a scopo di rapina e di sterminio. Continuano ad affluire notizie sugli apprestamenti militari jugoslavi lungo la linea Morgan, nell’immediato retroterra carsico, sulla costa istriana e con maggiore solidità ed arte (si parla di gettate di cemento) alla frontiera italo-jugoslava. […] E’ ovvio che anche tali quotidiane provocazioni, se lasciano indifferenti, in apparenza, i reggitori alleati, turbano la vita quotidiana e danno sensazioni di paura, che invano piccoli e decisi gruppi di animosi italiani vorrebbero vincere, contrastati in tanta arditezza dal nostro Comitato di Liberazione Nazionale, sempre ed ancora illuso in una intesa con gli slavi, dimentico dell’abisso scavato dalle deportazioni, dalle spoliazioni, dalle foibe, dagli innumeri altri delitti consumati e che si vanno consumando ai nostri danni»62

È evidente che questo primo passaggio della relazione vada letto al netto dei sovraccarichi ideologici posti sulla propria prospettiva dall’estensore dell’appunto. È interessante sottolineare soprattutto una cosa: il CLN della Venezia Giulia63 in quel

61 ACS, MI, Gabinetto, 1944-1946, b. 256, 442/6430. 62

ACS, MI, DGPS, 1944-1946, b. 59, n. 442/2982.

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La storia del CLN della Venezia Giulia viveva dopo il 1º maggio la sua seconda stagione di lotta politica.

frangente stava mantenendo un atteggiamento tutt’altro che passivo e lassista nei confronti delle rivendicazioni slave, come si può evincere sia dalla lettura degli editoriali del suo organo di stampa “La Voce libera” sia dagli scritti dei suoi principali animatori, che anzi, spesso non furono estranei dallo sconfinare in rivendicazioni dal sapore irredentista.64 Questa relazione dimostra però che la ricezione delle attività e dei programmi proposti dal CLN non otteneva il riscontro sperato in porzioni molto connotate dell’opinione pubblica, impostate su posizioni assai più intransigenti e su linguaggi e modalità di approccio alla questione fortemente influenzati da motivi tipici dell’estrema destra e degli ambienti esplicitamente neofascisti. Si trattava di una situazione che a livello generale vedeva le persistenti oligarchie locali, che avevano stretto alleanza con il fascismo e con il nazismo, ridurre ogni spazio d’azione nei confronti delle forze antifasciste, fedeli sì a concetti moderati e patriottici ma comunque ferme nella discontinuità con il passato regime, inducendo la massa d’opinione piccolo-borghese ad accusare il CLN triestino di atteggiamenti rinunciatari.65 Nel corso dell’appunto De Flora continua a marcare il suo giudizio negativo nei confronti del CLN:

«In contrapposizione a tanta diabolica attività propagandistica e sovvertitrice degli slavi, il nostro Comitato di Liberazione Nazionale si riunisce e discute quotidianamente, senza mai tracciare né indicare una concorde linea di azione. Si dibatte in difficoltà economiche data la mole delle spese da sostenere, specie per l’assistenza, che non può limitarsi ad un giorno, dei prescritti della zona B, frena qualsiasi gruppo di animosi […]. La timidezza traspare da ogni suo atto o gesto, ma quel che addolora è che alcuni tra i più combattivi esponenti italiani, stanchi del quietismo del C.L.N., cominciano ad appartarsi, ad estraniarsi, a rilasciarsi, a disinteressarsi.»66

Ancora nel giugno del 1946 da Trieste continuavano ad arrivare notizie poco confortanti sullo scarso peso che il CLN della Venezia Giulia riusciva ad esercitare sulla compagine politica locale:

«Nessuna rincorante parola giunge dagli organi italiani qui operanti in gran parte pervasi dal desiderio di emergere e di sovrapporsi:

dell’occupazione nazista e nelle fasi dell’insurrezione a ridosso dell’arrivo in città delle truppe jugoslave, arrivando ad esiti e proponendo interpretazioni spesso anche molto discordanti tra loro. In questa sede sarebbe impossibile ripercorrere tale dibattito, per tale motivo si rimanda ad alcuni volumi di riferimento: R. Pupo, Trieste ’45, cit., N. Troha, Chi avrà Trieste?, cit., B.C. Novak, Trieste 1941-1954, cit., C. Cernigoi, La “Banda Collotti”, cit., Giovanni Paladin, La lotta clandestina di Trieste nelle drammatiche vicende del C.L.N. della Venezia Giulia, Del Bianco, Udine, 2004, Antonio Fonda Savio, La Resistenza italiana a Trieste e nella Venezia Giulia, Del Bianco, Udine, 2006, Roberto Spazzali, La resistenza italiana a Trieste: brevi considerazioni storiografiche sul Comitato di liberazione nazionale, in «Quaderni giuliani di storia», Anno 1992, n. 1-2, pp. 156-170.

64 Per avere un’idea dei sentimenti che animarono le figure di riferimento del CLN della Venezia Giulia e dei

linguaggi che guidarono la loro lotta politica rimando ai due lavori che più da vicino e senza mediazioni illustrano il punto di vista politico di alcuni dei suoi leader principali: G. Paladin, La lotta clandestina di Trieste, cit., A. Fonda Savio, La Resistenza italiana a Trieste, cit.

65Galliano Fogar, Renzo Pincherle, Aspetti ed episodi dei primi anni dell’amministrazione italiana a Trieste, in «Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945-1954», IRSML, Trieste, 1977, pp. 247-252.

a) L’unico quotidiano italiano “La voce libera”, organo del Partito d’Azione più che C.L.N. trascura il grave problema locale e non si rende conto dello stato di apprensione e di depressione che qui domina e che il partito del cosiddetto “Libero Stato Giuliano” sfrutta a suo vantaggio, per dedicarsi alle elezioni testé svoltesi in Italia ed agli sviluppi conseguenti ai suoi risultati.

b) Il C.L.N., nonostante l’encomiabile fattività del suo Presidente e la purezza della sua fede, vive in ombra per le latenti divergenze dei rappresentanti dei vari partiti, che occorre attutire e mascherare onde non dare esca alla propaganda avversaria.

c)La Lega Nazionale, unico organismo che per la mole e spontaneità delle adesioni molto potrebbe fare ed ottenere, è tuttora acefala per la mancanza di un presidente animatore, e langue, nonostante la passione che agita i giovani promotori, per la preconcetta ostilità di qualche partito politico aderente al C.L.N. e particolarmente al partito d’azione.»67

Il mese successivo, sempre il capo della polizia, con un dispaccio arrivato dalla Venezia Giulia inviato alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza e poi inoltrato alla PCM e al MAE, segnalava anche lo stato d’animo della popolazione nei confronti degli Alleati e di Roma:

«La massa della popolazione ancor più si irrita, si scuote, impreca, dispera, si sconforta e si smarrisce nell’incertezza dell’essere e del divenire. […] i più sono quasi sopraffatti dalle vicende cui assistono e dalle difficoltà che incontrano, sembra rinunzino, senza ancora rinnegarla ma pur senza più manifestarla, a qualsiasi idealità ed attendono rassegnati ed inerti anche il peggio, tutti concordi però, nel giudicare con severa asprezza la pregiudizievole indifferenza degli inglesi, che qui prevalgono e predominano, nei rapporti con la popolazione italiana assetata di pace e di giustizia […]. Gli americani, invece, appaiono più comprensivi, più umani, più uguali nei rapporti con la cittadinanza, ad eccezione, forse, del nostro colonnello Bowman, che più che uno slavofilo sembra un impreparato al supremo reggimento politico della zona […]. E Roma, cui si appella costantemente l’anima della gente giuliana, appare se non assente, lontana o quanto meno distratta da altri problemi interni, che pur gravi non sono qui giudicati mortali quanto quello che interessa la sorte della Venezia Giulia. E pur rendendosi conto della situazione italiana in conseguenza della congiura parigina ai suoi danni […] gradirebbe che il governo, espressione genuina dell’ansia popolare per la sorte di questa regione, fosse in qualche modo qui paternamente presente con coordinate assistenze, con proficui indirizzi, con efficaci interventi […].

Faccio presente, a conferma dei miei riferimenti circa lo stato d’animo sviluppatosi nella massa italiana nei confronti degli alleati ed in particolare degli inglesi, che durante i tafferugli pomeridiani e serali del 30 giugno, ovunque intervenisse la polizia militare inglese, qui chiamata “pomidori” per il berretto rosso che portano, veniva accolta dai dimostranti italiani con sonori fischi e con frasi varie come ad esempio “Negrieri”- “Andate in India” – “Qui non siamo in India” e simili.»68

67 AMAE, Affari politici 1946, Jugoslavia, b. 5, n. 443/48625.

Anche a distanza di un mese le cose non sembravano migliorare, stando a questi appunti fiduciari diramati a PCM, MAE e Ministro dell’Interno dalla Divisione Generale di Pubblica Sicurezza:

«Una ondata dinseveri [sic] apprezzamenti condanna il C.L.N., cui si addebita, fra l’altro, scarso interessamento verso i profughi istriani, fiumani, zaratini ecc, [sic] nessuna energia nei rapporti con lo stesso G.M.A., indifferenza di fronte alle prepotenze slavo-comuniste, nessun incoraggiamento ed anzi ostruzionismo ai propositi reattivi di elementi decisi e arditi […]. Gruppi di cittadini di larga estimazione e di provata fede italiana, si staccano dal C.L.N. e comunque se ne disinteressano, cercando di dare vitalità ed incremento alla Lega Nazionale. […] in rapporto alla nuova situazione che si va qui determinando con la creazione dello Stato Libero, si rende indispensabile ed urgente una revisione di tutte le attività politiche, assistenziali, propagandistiche qui operanti, un coordinamento di tali iniziative su nuovi indirizzi, facenti capo tutte [sic], senza eccezione alcuna, ad un unico organismo in funzione italiana, che non potrebbe essere altro che la Lega Nazionale […].»69

Ad intervenire in maniera non solo grave ma definitiva sul quadro generale fu anche l’esito della Conferenza di Pace:

«Alle ore 1 del 10 corrente radio Lubiana trasmetteva le decisioni della conferenza di Parigi comunicando che quasi tutta la Zona “B” rimane sotto il regime di Tito. Tale notizia ha prodotto enorme impressione tra la maggioranza della popolazione, anche di origine jugoslava, la quale sperava nell’occupazione della zona da parte delle truppe alleate per poter poi procedere al plebiscito.»70

Il 1946 si concludeva nel mese di dicembre con questa serie di puntuali osservazioni espresse dalla divisione di polizia di Trieste:

«E’ diffusa a Trieste l’impressione che gli anglo-americani contino di restare molto a lungo nella città, se non addirittura di stabilirvisi durevolmente. Il colonnello Bowman, che a Trieste viene chiamato il “Contadino del Kansas” è bensì amico degli italiani, ma nel contempo anche amico degli slavi, e quindi molte illusioni che gli italiani si facevano sul suo conto sono cadute. […]

Quello che manca a Trieste e di cui è sentita la mancanza da tutti i vari italiani è la mancanza di organizzazione delle forze italiane, cioè fedeli all’Italia, nella città. Vi sono tanti, specialmente tra i giovani, che nel loro entusiasmo per la loro italianità di Trieste sarebbero pronti anche a rischiare la vita; ma non hanno direttive, non hanno capi, insomma, non sono organizzati. Parimenti sentita è la mancanza di un giornale nazionale indipendente, che non rispecchi soltanto le tendenze e gli interessi di questo o di quel partito, ma la causa comune dell’italianità. Se a questa organizzazione più che mai necessaria e urgente non provvederà la nuova Italia, finiranno per provvedervi…gli ex fascisti. Eppure basterebbe poco per tenere vivo ed anzi potenziare il sentimento dell’italianità a Trieste; un quotidiano indipendente redatto da

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Ivi, n. 442/16132.

giornalisti di prim’ordine chiamati dall’Italia, cicli di conferenze pubbliche sui vari temi d’attualità nazionale tenute da eminenti personalità italiane, conferenze di propaganda spicciola giornaliera in tutti i quartieri della città-

A questa maniera verrebbe suscitata un’ondata ideale a favore dell’Italia, così potente da escludere la necessità di usare, per la propaganda, mezzi di convinzione di ordine materiale.»71

Non può sfuggire nell’ambito di tutte le relazioni su riportate il costante accenno a gruppi di volenterosi estremisti pronti a tutto pur di difendere l’italianità della città e della regione, gruppi verso i quali l’atteggiamento del CLN viene indicato come colpevolmente tiepido. Il riferimento andava ovviamente in maniera tutt’altro che casuale a quelle stesse squadre d’azione guidate direttamente dal Ministero dell’Interno e che seguivano la precisa direttiva politica di radicalizzare in città i termini dello scontro, nella speranza di compattare il “Fronte italiano” nella sua azione e di mettere in difficoltà la compagine governativa Alleata. La loro presenza era funzionale per il governo al fine di «organizzare la propria capacità di penetrazione tra l’opinione pubblica attraverso efficaci gruppi di pressione, minoranze attive capaci di radicarsi nel tessuto cittadino e di attirare con l’agitazione e la propaganda la maggioranza della popolazione dalla propria parte».72

Però proprio la presenza strutturata di queste squadre, in collaborazione con i circoli afferenti all’estremismo di destra, così efficaci nel far attecchire le proprie parole d’ordine su di un’opinione pubblica particolarmente ricettiva in quanto sensibile a istanze programmatiche nazionaliste e radicali, finì con il mettere in difficoltà la compagine ciellenista. Il CLN infatti si dimostrò, a discapito delle fratture interne, deciso nel voler rinnegare una strategia in grado di contemplare l’impiego di gruppi armati nell’ambito della propria azione politica, finendo però con lo scontare come conseguenza delle sue decisioni le critiche di un’opinione pubblica decisamente orientata in senso più estremista e assai poco propensa a seguirne il piano di programmazione politica moderata e a lungo termine improntato per affrontare la risoluzione della situazione generale. Tale orientamento era condiviso pienamente anche dagli stessi informatori, che non solo finirono per criticare il CLN, ma in più di un caso auspicarono la possibilità di interventi di maggior respiro da parte dei gruppi paramilitari e degli agenti provocatori.

Ovviamente la volontà di modellare il volto della voce pubblica attraverso la sua progressiva radicalizzazione, obiettivo facilmente raggiungibile nell’ambito di un contesto fortemente ferito dagli eventi da poco intercorsi, dovette poi di seguito armonizzarsi con