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gli attori locali

2.1.4 Tra provvisorietà e riforme: la situazione della Zona B

2.1.4.1 I difficili rapporti tra la comunità italiana e i poteri popolari

Si è più volte ragionato sulle particolarità che segnarono i territori contesi a partire dalla primavera del 1945, i cui equilibri e condizioni di partenza finirono per essere continuamente sollecitati e stravolti in corrispondenza degli eventi internazionali che scandirono la nascita e il consolidamento della politica di confronto tra blocchi. La Zona B del TLT, al pari della sua dirimpettaia, non avrebbe costituito un’eccezione rispetto a questa situazione generale, subendo interventi che denunciavano le grandi difficoltà che le autorità

1945-1956, Univerza v Ljubljani, Koper, 2004, Z. Bonin, Cona B Svobodnega tržaškega ozemlja (1947-1954), Pokrajinski arhiv Koper, Koper, 2004, Ž. Lazarević, J. Prinčič, Denari zavodi v coni B (1945-(1947-1954), in Zgodovina slovenskega bančništva, Združenje bank Sovenije, Ljubljana, 2000. Più in generale sulle condizioni del TLT vedere Denis Visintin, Il Territorio Libero di Trieste: Condizioni economico-sociali e confische, in «La ricerca», n.31-32, CRSR, Rovigno, settembre-dicembre 2001.

locali dovevano affrontare nel dover continuamente ribilanciare i termini delle proprie pianificazioni in funzione di dinamiche totalmente estranee al loro controllo. Rispetto alla zona ad amministrazione alleata, la Zona B sarebbe però andata incontro a stravolgimenti più radicali dell’assetto preesistente, avviati in maniera spedita nei territori a est della Linea Morgan già nell’estate del 1945. La politica dell’amministrazione militare jugoslava che assunse il loro controllo partiva infatti da presupposti programmatici estremamente chiari, mirati a porre in maniera immediata i presupposti di una trasformazione strutturale del sistema politico ed economico in chiave socialista. L’obiettivo primario era soprattutto quello di cancellare l’esperienza fascista, che, al di là delle repressioni e dei crimini di cui fu portatrice, venne più in generale interpretata come fautrice di un’alleanza tra gruppi dominanti e borghesi che aveva finito per danneggiare le classi subalterne, facendole sprofondare ancor prima della guerra in una grave situazione di indigenza. La visione politica jugoslava non limitava però il suo atteggiamento critico al fascismo. La parentesi del Ventennio infatti era stata letta come un fenomeno coerente con il contegno imperialista tenuto dallo Stato italiano fin dal 1918, il quale aveva da subito considerato la Venezia Giulia una rampa di lancio per tentare di esercitare la propria influenza su tutti i Balcani.18

Tale impostazione concettuale, sicuramente semplificata ma al contempo non troppo distante dalla realtà dei fatti, stava dunque alla base delle rivendicazioni territoriali jugoslave e dei progetti politici pensati per il futuro: annettere la Zona B alla Jugoslavia significava non solo sconfiggere il fascismo, ma anche contrastare la minaccia di uno storico e persistente imperialismo italiano che da decenni minacciava l’instabilità della regione, la cui liquidazione avrebbe permesso l’instaurazione di un sistema socialista in grado di porre rimedio ai problemi strutturali dell’area.

Già nel luglio del 1945 i poteri di amministrazione civile vennero affidati al Comitato di Liberazione per il Litorale Sloveno (PPNOO), al Comitato Regionale di Liberazione per l’Istria e al Comitato cittadino di Liberazione di Fiume, i quali andarono a suddividere il territorio in diversi macro-settori di pertinenza. In campo amministrativo la struttura portante era costituita dai Comitati Popolari (CPL), sorti durante il periodo dell’occupazione a sostegno delle formazioni partigiane e che avevano acquisito nel corso della guerra un ruolo fondamentale nel coinvolgimento della popolazione nell’ambito della lotta per la Liberazione, anche attraverso capillari tentativi di politicizzazione delle masse contadine ed operaie. La loro organizzazione prevedeva una struttura molto articolata, suddivisa in CPL di villaggio, locali, comunali e distrettuali, tutti sottoposti direttamente al controllo del Partito Comunista Croato (KPH).19 Tali unità operative vennero nell’estate del 1945 notevolmente perfezionate, finendo con l’assumere il ruolo di organi supremi del potere popolare, dirigendo ogni aspetto della vita sociale, amministrativa ed economica della zona e andando a costituire un autentico potere di tipo statuale, in grado di colmare il vuoto istituzionale venutosi a creare in precedenza e di porre in essere le direttive elaborate

18

Gianna Nassisi, Istria: 1945-1947, in «Storia di un esodo», cit., pp. 89-90.

19

Mila Orlić, La creazione del potere popolare in Istria (1943-1948), in «Una storia Balcanica. Fascismo, comunismo e nazionalismo nella Jugoslavia del Novecento», a cura di Lorenzo Bertucelli, Mila Orlić, Ombre Corte, Verona, 2008, p. 124.

nelle sedi superiori del Partito Comunista Jugoslavo (PCJ).20 I CPL non rappresentarono in ogni caso l’unica forma di potere presente in Istria, dal momento che dopo gli accordi di Belgrado la Zona B al di là della Morgan rimase sotto l’amministrazione militare jugoslava (VUJA-Vojna Uprava Jugoslavenske Armije), la quale annoverava tra le sue competenze il controllo delle dogane, delle finanze, dei traffici commerciali e delle maggiori industrie, e che aveva il potere di emanare decreti di natura economica e sociale, rappresentando di fatto la massima autorità giudiziaria del territorio di cui era responsabile. L’amministrazione civile incarnata dai CPL e quella militare della VUJA, pur costituendo due diversi livelli di esercizio del potere spesso in conflitto tra loro, vedevano unificate le proprie prerogative nel controllo su di esse esercitato dai vertici jugoslavi e in maniera diretta da Tito.21 Veniva così a determinarsi un’aderenza perfetta tra le strutture dell’amministrazione civile e militare e gli organi direttivi del Partito, stato di cose che rendeva necessaria una rigida selezione del personale politico destinato all’apparato burocratico, la quale sarebbe dovuta passare attraverso maglie piuttosto strette, che avrebbero determinato non solo l’esclusione di coloro che potevano essere accusati di consenso, anche tacito, al regime fascista o di collaborazionismo, ma anche di quegli esponenti antifascisti che si erano dichiarati immediatamente contrari ai progetti annessionistici jugoslavi. Parte dei provvedimenti di epurazione finì in questo modo per colpire numerosi italiani, non solo tra gli esponenti della tradizionale classe dirigente locale tacciata di aver fiancheggiato il fascismo, ma anche tra coloro che avevano avuto ruoli importanti nell’esercito partigiano nel corso della guerra di Liberazione, portando alla creazione di gruppi dirigenti all’interno dei quali la presenza italiana risultava essere piuttosto risicata. Non andava poi sottovalutato il fatto che, al di là delle resistenze politiche da subito manifestate dalla componente italiana, per i poteri popolari fosse stato particolarmente difficile individuare tra i vecchi funzionari italiani personale in grado di parlare adeguatamente lo sloveno e il croato, finendo per accentuare i numeri del fenomeno.22 Tale situazione venne da subito vissuta con allarme dalla popolazione italiana, la quale ne ricavò la sensazione di essere stata esclusa dalla partecipazione al nuovo corso politico in atto,23 andando ad aggiungere ulteriori tensioni al consistente sostrato di conflittualità che già connotava da tempo le relazioni tra le varie comunità.24 Mentre l’assetto dei poteri popolari andava consolidandosi e prendendo rapidamente forma, in maniera altrettanto tempestiva sarebbe stata organizzata una massiva e pervasiva campagna politica a favore del PCJ e delle rivendicazioni territoriali avanzate in sede internazionale dalla Jugoslavia, con l’obiettivo di creare una mobilitazione dai numeri plebiscitari in grado di fornire adeguata legittimazione ai piani politici di Tito e del suo entourage. Accanto al

20

N. Troha, Provvedimenti delle autorità jugoslave nella Zona B…, cit., G. Nassisi, Istria: 1945-1947, cit., pp. 93-94, M. Orlić, La creazione del potere popolare in Istria, cit., p. 134. Per approfondimenti vedere anche Orietta Moscarda Oblak, Contributo all'analisi del "potere popolare" in Istria e a Rovigno (1945), in «Quaderni», vol. XV, CRSR, Rovigno, 2003, ID., Instaurazione del “potere popolare” in Istria e Rovigno. I verbali del Comitato Popolare Cittadino di Rovigno (1946), in «Quaderni», vol. XVI, CRSR, Rovigno, 2004, pp. 29-66.

21

M. Orlić, La creazione del potere popolare in Istria, cit., p. 135.

22

N. Troha, Provvedimenti delle autorità jugoslave nella Zona B…, cit., pp. 203-208.

23

G. Nassisi, Istria: 1945-1947, cit., p. 105.

24

Tali conflittualità, più o meno marcate, emergono in tutte le loro molteplici dimensioni di lungo periodo anche dalle testimonianze orali. Vedere G. Nemec, Un paese perfetto, cit., pp. 45-89.

controllo esercitato sulla stampa e sulle manifestazioni pubbliche, i quadri di partito decisero di investire risorse notevoli nell’associazionismo, potenziando l’UAIS (Unione Antifascista Italo-Slava), fondata a Trieste il 12 agosto 1945, e l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (UIIF)25, già operativa dal luglio del 1944 e creata con lo scopo di dare maggiore coordinamento all’antifascismo italiano e di avvicinarlo agli obiettivi di una lotta comune per la Liberazione. Compito di tali associazioni era quello di organizzare la vita politica e sociale delle varie comunità presenti in Istria, rendendo sistematica l’opera di politicizzazione della popolazione e stimolandola a divenire parte attiva dei cambiamenti in corso nell’ottica di una cooperazione costante anche tra i diversi gruppi etnici. Divenendo autentiche macchine di propaganda, queste strutture finirono non solo per dare un inquadramento preciso alla partecipazione politica ma anche per esercitare strette forme di controllo su coloro che potevano risultare non allineati con i progetti del Partito, concentrando l’attenzione soprattutto sulla componente italiana, che da subito si era manifestata riottosa all’idea di una annessione alla Jugoslavia, ma senza perdere di vista quegli ambienti sloveni e croati che erano rimasti profondamente legati al mondo ecclesiastico e che non vedevano di buon occhio l’edificazione di un sistema socialista.

Se l’associazionismo concentrò i suoi sforzi in un costante slancio propositivo e di coinvolgimento, non mancarono strutture militari vocate a funzioni più esplicitamente repressive. La cacciata dei tedeschi e il repentino consolidamento dei poteri popolari se da un lato avevano messo la parola fine ad una guerra cruenta che aveva sconvolto con le sue inenarrabili violenze la popolazione civile, dall’altra non impedirono all’immediato dopoguerra di dare la stura all’insieme delle tensioni e delle divisioni presenti sul territorio, creando un quadro generale segnato da una grande instabilità. Non erano per esempio state del tutto debellate consistenti sacche di attività militare nemica, come dimostrato dagli

ustaša, che nel maggio del 1945 decisero di non riconoscere la validità dell’armistizio con

la Germania e di continuare la loro azione di stampo terroristico per almeno altri tre anni prendendo il nome di Križari, 26 così come assai poco scontato era il consenso che minoranze come quella italiana, larghe porzioni del contado rimaste in posizione attendista durante la guerra e gli ambienti legati al mondo ecclesiastico in odore di collaborazionismo potevano garantire. Tale situazione avrebbe dunque reso necessario il rafforzamento di strutture come l’OZNA,27 già ampiamente operative nel corso della guerra e che avevano

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Per approfondimenti vedere G. Radossi, Documenti dell’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume (gennaio 1947-maggio 1948) in «Documenti», vol. X, CRSR, Rovigno, 2010, ID., Documenti dell’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume (maggio 1945-giugno 1947), in «Quaderni», vol. III, CRSR, Rovigno, 1973, V.A. Radossi, L’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume dal 1954 al 1964, in «Quaderni», vol. XIV, CRSR, Rovigno, 2002, L. Giuricin, L’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, in «La comunità rimasta» di G. Radossi, F. Radin (a cura di), Centro informatico per la Programmazione dei quadri e per l’orientamento professionale di Pola e CRSR, Zagabria, Garmond, 2001, A. Argenti Tremul, L'Unione degli Italiani nella zona B del TLT, in «Quaderni», vol. XXIII, CRSR, Rovigno 2012, Ezio e Luciano Giuricin, La Comunità Nazionale Italiana. Storia e Istituzioni degli Italiani dell'Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006), Etnia-X, CRSR, Rovigno, 2008.

26

Stefano Bianchini, Epurazioni e processi politici in Jugoslavia 1948-54, in «Rivista di storia contemporanea», 19 (4)/1990, p. 609. Vedere inoltre Pino Adriano, Giorgio Cingolani, La via dei conventi: Ante Pavelic e il terrorismo ustascia dal fascismo alla guerra fredda, Mursia, Milano 2011.

27

Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia. Il ruolo dell'Ozna, in «Quaderni», vol. XXIV, CRSR, Rovigno, 2013. Per una storia complessiva dell’OZNA l’unico contributo organico in lingua italiana al momento disponibile, anche se in parte tarato da alcune evidenti parzialità, è quello di

giocato un ruolo fondamentale nella presa del potere da parte di Tito in tutta la Jugoslavia. L’OZNA infatti (Odjeljenje za Zaštitu Naroda), fondata nel maggio del 1944 e sottoposta immediatamente alle dirette dipendenze del maresciallo, da subito assunse il ruolo di polizia politica con il compito di esercitare un controllo capillare su tutto il territorio, avendo cura di debellare quelle frange politiche di opposizione che avrebbero impedito una rapida affermazione dei poteri popolari. Nei giorni dell’insurrezione sarebbero inoltre stati i suoi agenti ad assumersi la responsabilità di bonificare da un punto di vista politico i territori liberati, rendendosi protagonisti delle violenze arbitrarie che ebbero luogo nella Venezia Giulia e a Trieste nella primavera del 1945. Utilizzata soprattutto con lo scopo di epurare i CPL e gli organi di governo dagli elementi considerati ostili, in breve tempo essa finì per esercitare un controllo totale della vita pubblica e privata del paese, facendosi particolarmente pervasiva laddove le voci critiche si facevano più forti. Pur non avendo l’OZNA mai ricevuto direttive impostate su criteri di discernimento di natura nazionale, che risultavano per altro incoerenti con i presupposti programmatici di fratellanza italo-slava impostati in quel momento dai vertici del partito, a risultare particolarmente vessata da controlli ed epurazioni fu la componente italiana. Le ragioni di tale accanimento andavano ricercate in una serie complessa di fattori: da una parte il contegno da subito ostile dimostrato dal gruppo italiano che, in linea generale, aveva accolto in maniera traumatica e sospettosa i cambiamenti radicali in corso e considerato la “liberazione” per mano jugoslava una “seconda occupazione”. Dall’altra l’interpretazione piuttosto lasca della categoria di “fascismo” applicata dagli agenti OZNA, i quali arrivarono ad includere per esempio nelle epurazioni quegli esponenti dell’apparato amministrativo preesistente che, giocoforza, avevano prestato servizio durante il periodo fascista, senza per questo essere però stati responsabili di concreti atti di collaborazionismo, oppure gli appartenenti al ceto medio-borghese che non avevano preso posizione durante la lotta per la Liberazione e che avevano tradizionalmente costituito buona parte del gruppo dirigente locale. In un sistema poi diviso da annose distanze culturali e sociali, aggravate dalla variabile nazionale, il contesto bellico aveva favorito la fioritura di piccole faide locali che spesso si prestarono bene ad alimentare vendette personali che si consumarono attraverso la delazione agli agenti OZNA, nella cui rete finirono dunque per rimanere impigliate persone che effettivamente non potevano essere accusate di concrete compromissioni col passato regime. La presenza a tappeto degli informatori OZNA in Istria, e gli arbìtri di cui si rese responsabile finirono dunque per danneggiare da subito e irreparabilmente i rapporti tra i poteri popolari e la comunità italiana presente in Istria,28 ulteriormente incrinati anche dalle operazioni della Guardia Popolare, che arruolò soprattutto locali di nazionalità slovena, croata e italiana per affiancare in qualità di potenza armata i CPL. Questo clima oppressivo, che vide egualmente coinvolte tutte le componenti etniche presenti, avrebbe dunque gravato in maniera più consistente sul gruppo italiano, il quale non solo si vide privato delle

William Klinger, Il terrore del popolo: storia dell’OZNA, la polizia politica di Tito, Italo Svevo, Trieste, 2012.

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Indicative le immagini a cui ricorrono i testimoni dell’epoca per tentare di dare una connotazione ad un clima in cui la violenza e il controllo ad opera dell’OZNA, oltre che ad una loro intrinseca fisicità, presentavano una componente dai risvolti psicologici estremamente significativi per comprendere le complesse relazioni intercorse tra comunità italiana e poteri popolari. Vedere in tal senso G. Nemec, Un paese perfetto, cit., pp. 264-270, ID., Nascita di una minoranza, cit., pp. 212-213.

posizioni occupate tradizionalmente, ma si considerò alla mercé di poteri considerati incapaci di gestire la situazione.29 Tale lettura, se da una parte era tarata su di un consolidato pregiudizio nei confronti degli “slavi”, dall’altra dipendeva dalle oggettive difficoltà a cui andò incontro il nuovo gruppo dirigente il quale non solo era stato selezionato in base ad esigenze di natura quasi esclusivamente politica, ma che annoverava la massiccia presenza di giovani tra i 20 e i 30 anni che avevano vissuto la loro prima esperienza politica nel corso della guerra e che dimostrarono, una volta assorbiti nelle strutture amministrative, non solo tutta la loro inesperienza ma anche una certa «baldanza rivoluzionaria»30, così come è stata definita da Bianchini, che li avrebbe portati a seguire una linea politica intransigente secondo termini non sempre del tutto aderenti alle direttive effettivamente ricevute dai vertici del Partito.

La ratifica del Trattato di Pace del 15 settembre 1947 cadde dunque a livello locale in un contesto all’interno del quale lo scontro tra realtà diverse appariva già piuttosto radicalizzato. Il restringimento del campo d’interesse al territorio istriano compreso nella Zona B del TLT non avrebbe inizialmente comportato variazioni sostanziali all’assetto della VUJA, anche se in maniera graduale ci si sarebbe incamminati verso un rafforzamento dei poteri attribuiti ai comitati popolari. Il Trattato aveva però di fatto procrastinato i termini di una ricomposizione definitiva della questione, il che costrinse la VUJA a doversi confrontare con i consistenti problemi di ordine economico e sociale che interessavano i territori sottoposti alla sua amministrazione. A costituire motivo di preoccupazione erano soprattutto le gravi conseguenze sul sistema produttivo locale provocate della politica di smantellamento delle già scarne strutture industriali preesistenti messa in atto nei mesi immediatamente antecedenti al trattato di pace, quando si decise di trasferire macchinari e materiali preziosi nell’Istria interna e in Jugoslavia, nel timore che gli accordi internazionali cedessero quei territori al controllo di un’altra potenza.31 I problemi posti soprattutto dalla diffusa disoccupazione e dal difficile reperimento delle materie prime incontrarono diverse e discontinue politiche di intervento, le cui oscillazioni vennero determinate anche dai continui contraccolpi fatti registrare dal sistema internazionale. Diverse le tappe che segnarono il difficile cammino della Zona B del TLT e della sua contorta vita politica. La prima venne determinata dalla Nota Tripartita, a seguito della quale la strategia d’intervento economico andò incontro ad un graduale irrigidimento che sottopose ad un più diretto controllo statale le realtà produttive, imponendo un regime vincolistico assai più stringente rispetto a quello impostato tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946.32 Pochi mesi dopo, l’intero quadro politico avrebbe poi subito una violenta scossa a seguito della rottura tra Tito e Stalin, la quale moltiplicò le lacerazioni già presenti sul territorio. Il fatto che una parte consistente dei quadri dirigenti del PCJ, così come ampi settori della classe operaia, avessero considerato fino a quel momento l’esperienza sovietica come un paradigma assoluto di riferimento, e che esponenti di primo piano avessero deciso di sostenere la risoluzione del Cominform avrebbe scatenato un nuovo processo epurativo, volto ad

29

M. Orlić, La creazione del potere popolare in Istria, cit., pp. 137-147.

30

S. Bianchini, Tito, Stalin e i contadini, cit., p. 45.

31

G. Nemec, Nascita di una minoranza, cit., p. 111.

32

G. Nassisi, La zona B del TLT dalla ratifica del trattato di pace alla rottura del Cominform, in «Storia di un esodo», cit., p. 345.

eliminare sia ai vertici che alla base la presenza di personale politico non allineato con le posizioni di Tito. 33 Il timore era quello che personaggi formatisi all’interno della compagine dirigente jugoslava potessero mettere le proprie conoscenze al servizio di attività eversive finalizzate alla destabilizzazione e al sabotaggio politico del Paese, contando sull’appoggio logistico ed economico dell’URSS. I primi provvedimenti a carico di coloro che avevano appoggiato la risoluzione sarebbero partiti già nel mese di luglio, colpendo principalmente, anche nella Zona B, i militanti che potevano vantare una consolidata presenza sulla scena pubblica. Nel giro di poche settimane però il clima generale si sarebbe maggiormente teso, registrando ancora una volta una recrudescenza nei confronti del gruppo italiano. Con il Cominform infatti si era largamente schierata per esempio la componente operaia italiana di Isola d’Istria, e buona parte dei lavoratori italiani impiegati negli stabilimenti istriani, che vennero per questo colpiti da persecuzioni ed arresti.34 All’inizio dell’autunno in tutta la Jugoslavia i quadri di partito e gli agenti di quella che nel frattempo da OZNA si era trasformata in UDBA35 operarono secondo modalità che denunciavano grande nervosismo e forme di controllo vicine alla psicosi, provocate dagli