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Capitolo VI Identificazione, analisi e affinamento delle cornici tematiche: la fase empirica preliminare

5. Conclusioni della fase empirica preliminare

Come anticipato, i contenuti dei paragrafi di cui sopra non rendono giustizia al volume e alla complessità dei concetti e delle riflessioni condivise nella fase preliminare, ma hanno permesso di evidenziare quali dimensioni concettuali non fosse utile affrontare con la componente principale della ricerca empirica e quali aspetti invece sarebbe stato opportuno approfondire.

Per quanto per opposte ragioni, è sulla base dei risultati dell’analisi delle interviste con i testimoni significativi, che ho deciso di non mantenere due dimensioni contestuali tra quelle da sviluppare con i portatori di interesse; nello specifico: (i) la tipologia di patologia neoplastica come determinante di effetti relazionali specifici e (ii) l’eterovissuto della malattia di un fratello e una sorella.

5.1 Accantonamento concettuale dell’eterovissuto in friatria

Per quanto ancora insufficiente, la maggioranza della produzione letteraria e le ricerche empiriche che affrontano il binomio infanzia e salute concentrano l’interesse su modalità e impatti nel vissuto di bambini, bambine e adolescenti quando la problematica di salute colpisce il fratello o la sorella.

Tra i sotto-temi che hanno ricevuto maggiore considerazione va annoverato sicuramente quello che correla le relazioni di friatria con la disabilità, come dalla panoramica di Davis (2010:36), ma innumerevoli e significative sono anche le trattazioni di taglio puramente sociologico. Solo per citarne alcuni: Burke (2010:1682) per esempio, introduce il concetto di “disability by association” che, sul piano della contestualizzazione, presenta tratti in comune con l’illness eterovissuta di questa tesi. Opperman e Alant (2003:442), invece, scompongono il bisogno dei siblings di essere informati e le dinamiche costruttive della loro consapevolezza in merito, oppure – molto di recente – è il contributo di Scavarda116 che, anche lei adottando un approccio

etnografico, ragiona su limiti e potenzialità dei siblings di ragazzi e adulti con disabilità intellettiva.

Di patrimonio anche più recente (per lo meno in Italia) e con ancora più attinenza con i temi di questa ricerca, è l’analisi dell’impatto relazionale di una malattia pediatrica quando nel nucleo è presente anche un fratello e/o una sorella di giovane età. Come e più di quando il malato è uno dei membri adulti, nelle situazioni in cui la malattia colpisce un bambino – sostiene Favretto et al. (2017:156) – “il nucleo familiare sviluppa una sorta di identità malata collettiva al punto che spesso i genitori parlano della malattia del figlio utilizzando la prima persona plurale.

Il rapporto di friatria acquista al proposito rilevanza anche esaminando la correlazione tra empowerment, agency infantile e potere, nel momento in cui si osserva – come fa Spencer (2014:18) – che i processi di empowerment destinati ai ragazzi e ai bambini

116 Scavarda, 2016: https://www.fondazionepaideia.it/wp-content/uploads/2016/06/Hey-brother- programma.pdf, accesso del 14 settembre 2019.

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presenti in un nucleo familiare, sono posti in essere per ottener compliance e non per promuovere l’ascolto e la partecipazione attiva.

In sede di analisi della letteratura ho compreso nel focus dell’attenzione aspetti teorici come questi ma, nel momento in cui li ho impiegati per sollecitare i testimoni significativi, soprattutto quelli operanti nell’orbita dell’oncologia pediatrica hanno scoperchiato un vaso (tematico) senza fondo. A differenza di quello di Pandora, all’interno del vaso però, non vi erano solo mali e sciagure, ma anche esperienze entusiasmanti di risposta collettiva della famiglia, di resilienza individuale e di supporto professionale da parte di servizi all’uopo concepiti o adattati. In merito, tra le varie testimonianze raccolte, di seguito può essere utile indicarne due.

La prima fa riferimento a una situazione di ‘scomparsa’ del minorenne sano non solo dalla scena di cura, ma anche da quello di elaborazione congiunta del lutto nell’immediato. La seconda invece, nonostante la drammaticità che le fa da sfondo, racconta di come sia stato possibile per un bambino che era stato estromesso dalo scenario famigliare di rientrarvi a pieno titolo.

5.1.1 Fratelli e sorelle che scompaiono

“Con tutte le famiglie che seguiamo ne abbiamo moltissimi esempi in cui i bambini ‘sani’ vengono lasciati soli! Me ne viene in mente uno tra i tanti… C’era un bambino che è stato da noi tantissimo, perché si è ammalato che era all’asilo, quando aveva pochi anni, ed è morto che era alle medie, quindi tutta la sua vita è stata una vita in ospedale, forse anche troppo, perché alla fine era diventata una battaglia personale della mamma contro questa malattia. Io mi sarei fermata prima. Quando una malattia ti risalta fuori appena tu smetti le cure, puoi anche decidere di smontare tuo figlio come un Lego, togliendogli un pezzetto per volta, facendogli tutte le cure che ci sono sul mercato, però, che vita poi ha avuto lui, alla fine? La qualità della vita ha una sua importanza! Ma queste sono altre considerazioni di tipo etico, perdonami. Il succo è che c’era un fratello che, quando lui è morto, era adolescente, B. aveva 17 anni, quindi quando T. si è ammalato, avrà avuto tre anni più di lui, piccolo quindi. Il fatto è che questo bambino è stato completamente lasciato con suo padre, che è pure medico! E in casa c’era proprio una scissione della famiglia a metà, con il padre che alla fine non ne poteva più di questa situazione. Questo fratello ha avuto dei momenti di rabbia incredibile. Non voleva più venire qui dalla madre, la rifiutava, rifiutava il fratello, eccetera. Io non oso pensare a che cosa vive e ha vissuto quel ragazzo, mi ricordo solo una cosa: quando il bambino è morto, è morto qui in ospedale, io sono andata e i genitori mi hanno chiamato. Io sono andata dai suoi e in questa camera c’erano il babbo, la mamma e la nonna intorno al letto. In un angolo, su una sedia, c’era B., seduto che guardava in basso e si scarnificava le dita, mentre la mamma e il babbo parlavano solo di T., di quanto era stato fantastico e di quello che aveva fatto. Cioè, in effetti era davvero un bambino eccezionale, ma come sono tutti eccezionali i bambini qui (indica la struttura): dei bambini che vivono delle esperienze così incredibili diventano grandi, diventano acuti, geniali e sembrano degli zii dei loro coetanei, che anche questo è poi una delle cose su cui bisognerebbe lavorare, perché crescono molto in fretta, anche troppo, e quindi a volte si sentono… Rientrano in una classe che non ha vissuto nulla di tutto quello che non si immaginano e dove loro, un po’ a volte si vergognano di dover raccontare, vabbé… Scusa anche questa digressione. Comunque, in quella stanza, io ho guardato soprattutto questo ragazzo sulla sedia; la sai una cosa? Era trasparente, era come se non ci fosse, per gli altri! Allora sono andata lì vicino e gli ho detto <che mi dispiaceva tanto che avesse perso il fratello, che immaginavo

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il suo dolore… cose così.> Ed era vero, perché è terribile per loro: i fratelli si trascinano per tutto il tempo della malattia, perché capiscono a tutte le età! A tutte le età capiscono che c’è una priorità in casa, solo che dopo ti presentano il conto con il loro malessere e tu, dopo devi dare a loro le luci della ribalta. Non puoi continuare a fare l’altarino del figlio morto. Te lo devi tenere dentro, perché quello è il loro momento. Cazzo, si sono tirati indietro per degli anni, hanno rinunciato a tutto e ora, quello, è il loro momento. Se tu non glielo dai, loro saranno zero per sempre. Allora lì sì, che hanno la certezza che tu avresti preferito che fossero stati loro a morire invece del fratello.” (F3#, ONG, Supporto integrato a famiglie con bambini in oncologia)

5.1.2 Fratelli e sorelle che riappaiono

“Sicuramente, lo scenario dei fratelli e sorelle è quello più urgente in termini di problematiche emergenti… Noi abbiamo redatto la procedura per la considerazione del fratello da un punto di vista intanto significativo all’interno della famiglia che non è più un sistema compatto unico, ma come elemento portatore di alcune novità fin dalle prime esperienze, perché molti di questi bambini sono minori ma particolarmente attenti alle cose che stavano loro capitando… Ricordo già una ventina d’anni fa, qualcuno di loro cominciò ad esprimere un dissenso all’atto della donazione di cellule staminali emopoietiche, le proprie… Che è un diritto fondamentale di qualsiasi persona esprimere. Un esempio fu quella della prima ragazzina, ancora piccolina di una decina di anni, forse meno, che rifiutò la collaborazione di fronte alla potenzialità di essere donatrice di cellule staminali. Fu un caso molto importante per noi, intanto perché ci costrinse a riflettere un po’ sui diritti dei minori, ma non in generale, ma nel particolare concreto, perché era una minore quella che noi avevamo lì a fermare questo percorso così standardizzato che non ha potenzialità di essere donatore una volta che confermata dovrebbe avvenire per forza e a pensare a una modalità diversa, non soltanto di proporre un atto terapeutico… Di coinvolgere tutta la famiglia, fin dalla diagnosi a una comunicazione più schietta con i minori che non erano pazienti, quindi da lì partì proprio una riflessione di tutto il gruppo su cosa potevamo fare per ottenere una sana comunicazione con le famiglie, non partendo solo dal PRENDERE del materiale biologico: una fatica immane, perché comunicare in oncologia pediatrica è faticoso, per noi, soprattutto per le famiglie, ma l’operatore ha una discreta sofferenza tutte le volte. Per cui, lì si trattò di prendere in mano tutto il caso, tutta la famiglia, grazie anche a questa ragazzina che tuttora vediamo, è cresciuta, il fratello è sano. Dopo tanto tempo la ragazza decise di essere la donatrice e noi decidemmo di confrontarci su le difficoltà sue, che aveva lei, ma che erano poi anche le nostre, perché in fondo si trattava di mettere a repentaglio la propria esistenza per curare un fratello. Che è poi il dilemma di tutti i fratelli. Da allora la nostra équipe, aprendosi a una maggiore comunicazione, ha reso possibile che emergessero delle tematiche annose e cominciarono tutti a chiedersi se valeva la pena, quali erano in termini economici i prezzi e i guadagni, ma soprattutto chiedersi anche più in generale riguardo il livello esistenziale, cosa significasse davvero e in toto la donazione. Poi è chiaro che le modificazioni scientifiche hanno cambiato un po’ questo assetto diagnostico anche per i fratelli, nel senso che poi, con il tempo, si è visto che la patologia, il trapianto da volontario esterno, a volte, dava più risultati che quello da fratello e sorella, per cui sono state valutazioni sempre più complesse, ma adesso mai più prescindono dal considerare un fratello anche donatore, come una persona che ha bisogno quanto i genitori, quanto i pazienti di capire cosa i medici stanno facendo. Adesso la procedura prevede che fin dalla diagnosi, questi ragazzetti, se la famiglia è disponibile, possano comunicare a tutta l’équipe, possano

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accedere al nostro servizio di psicoterapia se hanno bisogno di una consultazione non solo psico-diagnostica, ma proprio esistenziale, su cosa significa questa esperienza, in modo tale che di fronte a dei passaggi critici successivi, che possono essere il trapianto, la recidiva, la fase terminale, ma paradossalmente anche la guarigione, abbiano la possibilità di continuare un discorso e non di intraprenderne uno mentre il treno corre. Ecco dove tutti hanno una minore capacità di capire di chiare, di parlare. Senza queste cose, l’esperienza può essere distruttiva. Mi ricordo uno dei primi pazienti del nostro supporto psicologico, era il fratello di un ragazzo a cui era stato fatto il trapianto, che noi vedemmo in qualità di donatore. La famiglia lo portò qui perché aveva cominciato a manifestare atteggiamenti di aggressività piuttosto violenta a scuola. Lo iniziammo a seguire e questo ragazzetto disegnò per mesi, i primi mesi della psicoterapia, una famiglia composta da tre: madre, padre, con in mezzo il paziente; lui stesso no. Alla domanda <tu dove sei?> Lui rispondeva: <oggi sono a casa dei nonni>, oppure, <oggi sono a casa degli zii> E all’accenno: <ci sono delle volte in cui sei con i tuoi genitori> lui rispondeva: <ma io non sono mica malato!> Come a dire che lui non aveva il diritto di esserci, essendo sano. Ci volle un anno di trattamento prima che cominciasse a declinare verso un esito positivo e questo ragazzetto iniziasse a disegnare famiglie composte da quattro soggetti. Solo che, dapprima, quando cominciò a comparire nello scenario famigliare, era menomato di qualcosa: tutta la famiglia era per esempio priva di bocca, con questa fatica di dire le cose che avevano a che vedere con la mortalità, con la morte. Però quanto meno, fisicamente aveva ripreso un posto che corrispondeva anche a un suo sentire dentro quel contesto. Da allora pensammo che potesse valer la pena aprire questo servizio di supporto a fratelli e sorelle aperta a loro fin dalla diagnosi e con un percorso di routine che non fosse vissuto dalle famiglie con i vari sensi di colpa del caso.” (D1#, ASL, Oncologia pediatrica)

Sono il volume, l’eterogeneità e la complessità di sotto-dimensioni tematiche come quelle indicate da contributi come questi, che mi hanno condotto a restringere il fuoco di questa ricerca solo a minorenni coinvolti da malattie tumorali contratte da familiari adulti, così da non includere nel campione teorico di riferimento fratelli o sorelle, per quanto alcuni fossero già stati contattati ed erano disposti a contribuire con la loro esperienza. 5.2 Accantonamento concettuale della determinante delle modalità terapeutiche

Sull’altro fronte, nelle fasi iniziali della ricerca, avevo ipotizzato come categoria tematica, la categorizzazione di scenari relazionali diversi in base alle diverse tipologie neoplastiche delle rispettive situazioni relazionali, in quanto le modalità in cui un cancro si sviluppa intersecandosi con la storia non solo clinica del paziente, così come le caratteristiche specifiche degli specifici percorsi terapeutici, costituiscono ovviamente un multiverso intricato e dalle infinite possibilità.

Già dai contributi dei testimoni significativi però, nel momento in cui il ragionamento viene sviluppato su impatto e modalità delle relazioni con bambini, bambine e adolescenti in una famiglia in cui uno dei membri è malato di cancro, le differenze al mutare della patologia sono emerse come marginali. “Mi ricordo di una ragazzina di 14, 15 anni, a cui le era morta la nonna. Nonna che per lei era la sua mamma, quindi lei era distrutta, come per molti, visto che i nonni spesso sono delle figure genitoriali. C’era questa ragazzina, che per un tot di mesi è andata benissimo, ha seguito la nonna, è andata a trovarla, andava bene a scuola, anzi benissimo come l’anno prima. Insomma, non ha avuto nessun problema, tutto bene, bravissima! (Sorride ironica) Solo che a un certo punto, dopo cinque sei mesi mi pare, ha avuto una crisi: un giorno ha cominciato a piangere e non si fermava più. La madre, impanicata, mi telefona e mi racconta… Tutti quei mesi lì, lei si è tenuta

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tutte le sue cose lì da sola, facendosi mille domande, chiedendosi se era colpa tua se la nonna si era ammalata, chiedendosi se aveva fatto tutto quando la nonna stava male, pentendosi del fatto che era uscita con le amiche invece di andarla a trovare, cose così. Vedi, in quel caso lì è andata bene. Lei ci è riuscita a dirlo; il problema però è quando non ci riescono a dirlo. Soprattutto a quell’età lì, nell’adolescenza, non è che uno riesce sempre a dirlo e gli adulti, siccome hanno paura, tendono a rassicurarsi tacendo. E non è proprio questione di cosa stia patendo la nonna o la mamma nel caso specifico. Non è questione dei dettagli medici. Non è questione situata dentro al malato. È lo struggimento dentro di loro e come e quanto questo non venga considerato affatto, anche con tutta la buona fede del mondo. O venga considerato male. Non centra su uno fa la chemio o la radio. Se perde i capelli oppure no. Sono tutte cose rilevanti, ma la sostanza è un’altra.” (F2#, ONG, Supporto medico e psicologico alle famiglie)

Nonostante le enormi e palesi differenze che caratterizzano le varie traiettorie di malattia, infatti, i consultati hanno tutti concordato sul fatto che “la sostanza è un'altra.” Riguardo l’esperienza eterovissuta della illness, ciò che è risultato come importante da capire, non è tanto di cosa soffra il malato e il modo in cui si cura, quanto piuttosto i modelli interpretativi che i genitori adottano nel decidere a proposito dei se e dei come coinvolgere bambine, bambini e adolescenti sulla scena di cura.

5.3 Affinamento delle cornici tematiche da analizzare

Sulla scorta di quanto emerso dall’analisi della letteratura e l’affinamento concettuale apportato mediante le interviste a testimoni significativi, per l’approfondimento da condursi con bambini, bambine e adolescenti che hanno avuto un familiare malato di cancro mentre erano minorenni, sono emerse le cornici tematiche che verranno argomentate nel capitolo successivo, i cui contenuti sono stati organizzati e raccolti nelle seguenti cornici tematiche

I. I modelli di semantica della illness eterovissuta che sono prevalenti in famiglia riguardo l’interpretazione dei significati attribuiti alla condizione di chi è malato, tanto sulla base di quanto oggettivamente di essa viene rilevato, quanto di cosa della situazione i familiari individualmente esperiscono.

II. Il percorso con cui la rottura biografica del sofferente diviene la rottura nella e dalla biografia della famiglia, includendo un’attenzione particolare su quelli che sono i fattori propulsivi (o scatenanti) l’eventuale coinvolgimento.

III. Il risultato della correlazione concettuale e simbolica più o meno esplicita del coinvolgimento dei più piccoli rispetto al processo verso la normalizzazione che la famiglia intraprende (o tenta di intraprendere).

IV. Le modalità con cui rispetto a tale normalizzazione viene stabilito il ‘se’, il ‘quando’ e il ‘come’ del coinvolgimento di bambini, bambine e adolescenti nella scena di cura.

V. Gli effetti positivi e negativi del coinvolgimento o della marginalizzazione conseguenti agli approcci adottati e le scelte conseguite in merito.

Nel capitolo successivo, ciascuna cornice tematica troverà argomentazione partendo dalla presentazione di frammenti narrativi condivisi dai portatori di interesse, interpolati con riferimenti teorici e considerazioni esclusive in modo da completare il percorso euristico e giungere alle conclusioni di questa tesi.

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Capitolo VII - Tra coinvolgimento e marginalizzazione: analisi empirica di

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