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Dalla sociologia della medicina alla sociologia della salute

Capitolo II: Quadro teorico per la dimensione “salute”

4. Dalla sociologia della medicina alla sociologia della salute

L’evoluzione della sociologia della salute è – come giusto che sia – tuttora in corso ed è stata costituita – come è comprensibile – da uno sviluppo per stadi di cui sono delineabili alcune grandi linee.

Dopo una prima fase di considerazioni sociologiche sulla medicina tout court si è passati – come descrive Ardigò (1997:73) – da una sociologia ‘nella’ medicina, la quale ha prodotto contributi importanti, ma che oggi risulterebbero di difficile applicazione pratica, a una sociologia ‘della’ medicina e infine a una sociologia della salute.

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4.1 Le tre fasi evolutive

Le tre fasi seguite dal processo teorico e analitico possono essere riassunte nei tre momenti di sviluppo avvicendatisi sulla base dell’evoluzione delle diverse interpretazioni della connessione tra salute, malattia e medicina.

Secondo Bucchi e Neresini (2001:40), infatti, le prospettive significative rispetto al punto di vista che si adotta interpretando la malattia sono tre: (i) quello del medico, (ii) quello del paziente e (iii) quello che mette entrambi in relazione all’interno di un dato contesto socio-culturale.

Si tratta di tre prospettive che si possono collegare anche ai tre differenti modelli adottabili per analizzare il rapporto salute/malattia, a loro volta considerabili come consequenziali al suddetto sviluppo.

(i) Il modello biomedico – per dirla come Kleinman (1988:5) – adotta una prospettiva che riconfigura la malattia ‘solo’ in quanto alterazione della funzionalità biologica. Esso fonda e orienta un sistema che – sminuendo la rilevanza della dimensione psicosociale – si prepone il raggiungimento dell’ambito costituito dal controllo tecnico dei sintomi (Kleinman,1988:9).

(ii) Il modello comportamentale o afferente alla medicina sociale35, invece, evidenzia

la stretta connessione esistente tra struttura sociale e malattia. La patologia viene considerata il risultato di comportamenti, condizioni e stili di vita con un richiamo alla scienza medica (e non solo) affinché si dirotti l’attenzione dalla cura alla prevenzione.

(iii) Il modello olistico, infine, si contrappone in modo drastico alla visione riduzionista del paradigma biomedico, proponendo l’interpretazione dell’individuo come insieme di elementi nell’ambito dei quali – per dirla come Ardigò – “biologia, mente, corpo, emozioni e relazioni sociali non possono essere isolate e trattate separatamente.”36

4.2 Il ‘Quadrilatero’ di Ardigò

Sulla base di questo principio, compiendo quello che allora rappresentò una coraggiosa scelta di campo, Ardigò ripensa infatti il sistema salute nel suo insieme, sviluppando un modello decisamente più olistico che trova efficace sintesi nel cosiddetto ‘Quadrilatero’ presentato nella prossima pagina

Fig. 1: Il ‘Quadrilatero’ di Ardigò

Fonte: Ardigò, 1997:97.

35 Nei termini in cui lo descrivono Bucchi e Neresini (2001:42). 36 Ardigò citato in Bucchi e Neresini, 2001:42.

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Oltre che per l’analisi dei sistemi sanitari, il “Quadrilatero” ha costituito uno strumento epistemologico importante per lo sviluppo della sociologia della salute, il quale è già stato oggetto di innumerevoli quanto autorevoli e diffuse analisi da parte dei principali sociologi della salute contemporanei.37

In questa sede è sufficiente descrivere il modello come costituito da quattro elementi cardinali che – nell’efficace descrizione di Giarelli (2004:107) – sono costituiti da:

(i) “La natura esterna, l’ambiente fisico in genere, l’habitat non umano delle società umane, l’ambiente rispetto al sociale.

(ii) Il sistema sociale come trama di relazioni sociali e istituzionali, rete sistemica che produce e riproduce la vita di relazione di una data popolazione su un determinato territorio in un lasso di tempo.

(iii) La persona come soggetto capace di relazioni di monto vitale quotidiano nella duplice forma di io (ego) attore intenzionale e di sé (social self) immagine riflessa dagli altri significativi per il soggetto.

(iv) La natura interna, la base bio-psichica, il corpo umano come risultante filogenetica e come entità psico-somatica, unità corpo-cervello.”

Ciascuno di questi elementi può essere considerato un polo concettuale a sé stante, il quale è però connotato da specifiche correlazioni con gli altri tre.

Si impiega qui il termine ‘correlazionale’ in quanto il ‘Quadrilatero’ di Ardigò ha comportato un determinante trampolino di lancio per l’ampliamento dello spettro concettuale e semantico del rapporto tra individuo e salute sui cui elementi costitutivi, Cipolla ha sviluppato il suo modello interpretativo.38

4.3 Il modello correlazionale di interpretazione della salute

Il modello elaborato da Cipolla, nelle parole di Ardissone (2013:13) “si pone a un livello generale di astrazione metodologica che consente di comprendere ogni tipologia patologica nella sua relazione, diretta e/o indiretta, con l’universo che la circonda e la compone.”

Fig. 2: Il modello correlazionale di interpretazione della salute

Fonte: Cipolla (2002:20)

37 Si rimanda per approfondimenti a: Maturo (2009) e Giarelli (2009). 38 Citato in Giarelli, 2004:132.

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Con l’adozione di questo modello, è possibile porsi rispetto al soggetto in situazione di malattia cogliendolo nel suo insieme, così da comprendere nell’analisi tanto la biologia, quanto mente, emozioni e relazioni sociali. Si tratta di una prospettiva che ha – tra le altre cose – permesso di dotare di spendibilità empirica l’evoluzione da sociologia della medicina a sociologia della salute.

La sociologia della medicina infatti, come sostiene Maturo (2004:43), si può considerare un’attività di ricerca da condursi con strumenti sociologici, che continua ad essere orientata dal paradigma biomedico. Al contrario, l’approccio correlazionale permette di cogliere rispetto al soggetto che soffre di una patologia, non solo gli aspetti del suo vissuto a cui è interessata la scienza medica ‘convenzionale’, ma molto di più.

Se al centro del modello originale di Cipolla c’era il complesso sanitario infatti, in tema di salute, esso è uno strumento che si presta anche a cogliere la rilevanza della correlazionalità circolare e multilaterale tra: (i) la natura esterna al soggetto, (ii) la natura ad esso interna, (iii) il suo sistema primario di relazioni e (iv) il sistema sociale d’afferenza.

È elaborando queste basi che, per meglio cogliere la correzionalità delle dimensioni inerenti il modello triadico, Maturo dimostra quanto sia auspicabile apportare una scomposizione delle dimensioni di illness e sickness per sviluppare il cosiddetto Modello P.

4.4 Dalla Triade al modello P

La ‘P’ della denominazione del modello, sta per penta in quanto le dimensioni costituenti il modello da tre diventano cinque: Disease, Experienced Illness, Semantic

Illness, Institutional Sickness, Sickscapes (Maturo, 2007a:120-123).

LA DIMENSIONE DI DISEASE continua a comprendere la malattia in senso prettamente

biomedico, vedendola come una lesione organica o un’aggressione da parte di un agente esterno, il quale assume una sostanza oggettivabile mediante la misurazione da attuarsi impiegando parametri organici di natura fisico-chimica.

LA ILLNESS ESPERITA è da ricondursi alle percezioni o sensazioni di dolore, dispiacere

o ansietà che un soggetto può esperire – appunto – indipendentemente dalla presenza di cambiamenti corporei rilevabili dalla strumentazione medica.

LA SEMANTICA DELL’ILLNESS, invece, corrisponde al significato che una persona

attribuisce alla propria condizione, tanto sulla base di quanto oggettivamente di essa viene rilevato, quanto di cosa della situazione viene individualmente esperito.

LA SICKNESS ISTITUZIONALE connette poi il quotidiano individuale risultato della

malattia con il sick role della sociologia classica, quindi comprendendo la legittimata astensione dal lavoro, dallo studio, dalle attività ordinarie e routinarie, in caso di malattia. LA DIMENSIONE DI SICKSCAPE, infine, è costituita dall’immaginario sociale inerente

una malattia – o quella che tale è considerata – da una data popolazione o gruppo, nonostante non sia definibile come patologia dalla medicina biometrica, né percepita come tale dall’individuo che ne è interessato.

L’effetto della scomposizione della triade DIS costituisce un ampliamento del modello originario che diventa necessario per includere aspetti che prima non potevano essere compresi, quali soprattutto quelli inerenti la semantica della illness e alla dimensione di sickscape.

Per quanto concerne la prima, in linea con Corposanto (2011:53), si attribuisce così una dovuta autonomia concettuale “al senso che una persona dà alla propria condizione

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di malattia. Tale interpretazione può essere legata da una condizione oggettiva (disease), può essere legata alla illness esperita, può essere rivolta ad entrambe. Non necessariamente (essa) deve assumere il connotato della problematicità.”

Riguardo la seconda, invece, per dirla come Cavallo (2009:157): “esplicitare gli elementi della sickness significa (invece) riconoscere sia le modifiche del ruolo sociale dell’individuo causate dalla patologia, sia le rappresentazioni sociali della stessa.”

4.5 Dal Modello P al Modello ESA

Su un piano di critica evolutiva rispetto al modello, lo stesso Maturo, precisa che le rappresentazioni sociali della illness siano da intendersi come potenzialmente infinite e non dicotomiche, in quanto sono caratterizzate da dinamismo, ambiguità e contraddizioni (2007:16).

In seguito, poi, impegnandosi poi in ulteriori applicazioni del Modello P, diversi autori concordano nel ritenere opportuno e realizzabile l’apportare uno sdoppiamento anche alla dimensione disease. A tal fine gli esiti di natura diagnostico-strumentale – come sostiene Iseppato (2009:38) – vengono distinti dalla valutazione di tipo clinico- professionale, sostenendo quanto sia presumibile attendersi che ogni disease si modifichi passando al vaglio dal punto di vista di un medico a quello di un altro.

È affrontando anche questo aspetto, che il Modello P viene ulteriormente ampliato nel Modello ESA con cui Cipolla e Maturo (2009:224) affinano lo strumento in modo da poter cogliere con efficacia tutti gli aspetti medici, sociali e psicologici dell’essere malati e – soprattutto – le loro correlazioni.

Fig. 3: Il Modello ESA

Fonte: Cipolla, Maturo (2008:224)

Nel modello ESA, le dimensioni triadiche rimangono centrali ed è nella loro orbita che gravitano le corrispondenti specifiche costituite da:

a. Gli esiti risultanti dal processo diagnostico-strumentale.

b. L’attribuzione professionale caratteristica di valutazioni personali di tipo clinico. c. La percezione soggettiva di sensazioni esperite dal soggetto.

d. La semantica personale mediante cui l’individuo attribuisce un significato alla propria situazione di malattia.

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e. Il ruolo istituzionale attribuito dal contesto in base alla modificata ‘funzionalità’. f. La rappresentazione sociale dello sickscape, costituita dall’immaginario sociale

inerente la malattia.

4.6 Verso l’adozione di un paradigma bio-psicosociale

“In the biomedical model the disease is an occluded coronary artery, in the biopsychosocial model it is a dynamic dialectic between cardiovascular processes (hypertension or coronary artery insufficiency, psychological states (panic or demoralization), and environmental situations (a midlife crisis, a failing marriage…”39

L’avanzamento epistemologico costituito dal modello ESA è significativo in quanto interessa tutte le componenti del discorso; Maturo ne realizza una sintesi efficace adattando un precedente schema di Cipolla (Maturo, 2004:44).

Sociologia della medicina Sociologia della salute

Salute come dimensione organica

Paradigma biomedico Paradigma bio-psicosociale

Approccio pragmatico Approccio teorico e spendibile Ospedale (istituzione sanitaria) Territorio (continuity of care) Segmentazione delle cure Ricomposizione delle cure

Curare come approccio tecnico frontale Prendersi cura, auto-aiuto, self-care Medicalizzazione della vita De-medicalizzazione della vita

L’utilità di questo schema consta nell’esporre in modo inequivocabile quello che è un vero e proprio cambio di paradigma, riguardo il porsi verso la salute e la malattia, con tutte le implicazioni che questo comporta rispetto alle dimensioni spaziali, alle modalità attuative di servizi e relazioni, nonché all’interpretazione dell’esistenza nel suo insieme. La salute deve essere intesa come una dimensione che co-involge tanto l’ambito organico, quanto quello relazionale del soggetto e che adotta un approccio il quale conduce molto oltre il pragmatico della pratica terapeutica di natura prettamente ed esclusivamente biometrica. L’apporto è teorico e al contempo spendibile nell’empirico, non solo per quanto riguarda le istituzioni sanitarie delegate a tale funzione, ma anche alla comunità del soggetto, oltre che al soggetto stesso.

Esso predispone le basi per un prendersi cura – di sé stessi e degli altri – che garantisce continuità rispetto ai vari segmenti della terapia e della normalizzazione40, conformando

un paradigma che:

(i) prepone e propone la de-medicalizzazione dell’esistenza e non il contrario; (ii) interpreta la salute come una dimensione che co-involga invece di escludere

quanti più soggetti interessati possibile.

39 Arthur Kleinman, 1988:6.

40 Si adotta qui per ‘normalizzazione’ la definizione di Favretto e Zaltron (2015:14): “l’insieme delle

forme differenti di rottura e ricostruzione della normalità, inglobando totalmente o parzialmente o rifiutando totalmente, la presenza della malattia nell’esistenza quotidiana e nelal ristrutturazione dell’identità individuale.”

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4.7 I cardinali del Modello ESA per una malattia eterovissuta

L’intenzione con questa ricerca è di comprendere mediante narrazione le prospettive, le esperienze e le proposte di bambini, bambine e adolescenti congiunti di malati di cancro, al fine di meglio comprendere gli effetti esercitati dalla patologia sulle relazioni intergenerazionali nell’ambito di una famiglia.

Perseguendo questo obbiettivo, si rende necessario adottare un modello per l’interpretazione dell’esperienza di malattia che possa permettere di cogliere una tale complessità relazionale che, a oggi, risulta poco o per nulla trattata dalla ricerca sociologica.

Con modello per l’interpretazione, intendiamo qui come per Favretto et al. (2013:35) “un insieme di strumenti e abilità che sono socialmente e culturalmente appresi e costruiti nel corso delle interazioni e delle pratiche quotidiane, le quali orientano il modo di percepire i sintomi, di nominarli, di attribuire loro una causa, di immaginare un decorso, di ipotizzare gli esiti e di costruire aspettative sul proprio e altrui comportamento.”

L’aderenza del modello ESA nell’interpretare il ‘portato’ di un cancro nell’ambito di una famiglia, consta nell’implicita e accresciuta attenzione alle modalità con cui il malato si rapporta con i soggetti del suo immediato contesto, prestando particolare attenzione alle dinamiche che correlano la salute dei singoli membri con il benessere di coloro con cui condividono l’esistenza quotidiana.

Non si pretende con questo di proporre chissà quale innovazione euristica: già nel secolo scorso, per il miglioramento del benessere dei componenti di un sistema sociale, Ardigò auspicava una maggiore umanizzazione delle cure (1997:178). E sempre già allora, riconosceva alla famiglia delle significative capacità in termini di funzione preventiva, nonché terapeutica e riabilitativa rispetto alla malattia. (Ardigò, 1997:79). Comprendere meglio ciò che accade ‘agli altri’ e ciò che questi altri potrebbero apportare qualora maggiormente e/o diversamente coinvolti, questo sì, potrebbe attribuire alla presente ricerca un qualche valore sociologico.

Nell’affrontare la questione con le sfaccettature e contraddizioni che la caratterizzano sul piano inter-generazionale, però, è necessario comprendere il ‘cosa accade’ alle relazioni con i soggetti più giovani, nel momento in cui un familiare convivente viene interessato da una vicenda oncologica.

Per perseguire questo scopo, sul piano teorico, risultano dimensioni orientative strategiche le declinazioni sub-dimensionali del modello P. Ma non si tratta in questo caso di riferire tali dimensioni al soggetto malato, quanto piuttosto di apportare un aggiustamento in modo da poterle impiegare con riferimento a bambini, bambine e adolescenti che sono correlati al malato in qualità di figlie/i, nipoti, fratelli o sorelle.

Il fondamento concettuale dell’analisi che si intende condurre, quindi, è costituito da una rottura biografica da considerarsi ETEROVISSUTA, in quanto si assume che detta

‘rottura’ intervenente in caso di malattia grave, interessi non soltanto la biografia di chi è affetto dalla patologia, ma anche quella di chi la vive da un esterno relazionale molto ravvicinato e molto significativo.

Su questa base, riprendendo – adattandole – le definizioni sub-dimensionali della

Illness prodotte da Maturo (2007a:120-123), in sostanza si accenderà il fuoco

dell’attenzione empirica soprattutto con riferimento a:

L’ESPERIENZA ETEROVISSUTA DELLA ILLNESS da ricondursi alle percezioni o sensazioni di dispiacere o ansietà che un soggetto può esperire indipendentemente dalla presenza di cambiamenti corporei rilevabili dalla strumentazione medica nel familiare malato.

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LA SEMANTICA DELL’ILLNESS ETEROVISSUTA che corrisponde al significato che il

soggetto attribuisce alla condizione di chi è malato, tanto sulla base di quanto oggettivamente di essa viene rilevato, quanto di cosa della situazione i familiari individualmente esperiscono.41

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