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Capitolo III: Quadro teorico per la dimensione “infanzia”

1. Il quadro teorico per la dimensione “infanzia”

“La nostra è un’ora scientifica e la scienza deve rivolgere il suo sguardo indagatore sull’infanzia… (potendo) avvalerci di una metodica investigazione della natura dei bambini, condotta da uomini formati nelle tecniche di osservazione.”

Queste parole di Sully (citato in Prout, 2005:45) risalgono al 1895 e, dopo tanto tempo dedicato ad osservare l’infanzia, è possibile oggi affermare che bambini e bambine esistono non solo come vettore biologico di perpetuazione della società, ma anche in quanto attori sociali in grado di influenzare le loro vite, le vite di coloro che li circondano e delle società in cui vivono. (James A., 2009:38).

Di conseguenza, in affiancamento agli strumenti sociologici propri della dimensione ‘salute’ indicati nel capitolo precedente, di fronte a famiglie coinvolte da un percorso oncologico, per comprendere le modalità e gli effetti relativi all’impatto delle rotture biografiche sulle relazioni inter-generazionali può essere d’aiuto riferirsi al Nuovo paradigma della sociologia dell’infanzia (Prout, 2005:60).

Assumendo per paradigma l’insieme delle assumption con cui identificare quali siano le tecniche più adeguate per investigare degli aspetti specifici di un fenomeno (Punch, 2000:35), per quanto riguarda la dimensione ‘infanzia’ di questa ricerca è necessario in primis apprezzare il percorso culturale che ha caratterizzato la definizione e i principi inerenti il concetto stesso di infanzia, soffermandosi sull’evoluzione della teoria sociologica che – rispetto a detta evoluzione – si è posta e si pone sia come causa, sia come effetto.

1.1 Il termine “infanzia”: la definizione per questa ricerca

Secondo la Legge 27 maggio 1991, n. 176, si intende per bambino/a “ogni essere umano avente un'età inferiore a diciott'anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile.”

Ronfagni (1995:32) evidenzia che la legislazione italiana, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e i Protocolli Opzionali ad essa collegati43, tende a considerare tre fasce di età:

- da zero a sei/sette,

- dai sei/sette anni ai quattordici e - dai quattordici ai diciotto.

A ciascuna di queste fasce corrisponde tanto uno preciso contesto scolastico, quanto un progressivo aumento nell'attribuzione di rilevanza giuridica per quanto riguarda le manifestazioni di volontà del soggetto interessato.

Si tratta di una ripartizione ricorrente che viene impiegata da molto tempo come riferimento interdisciplinare anche nelle altre discipline umanistiche e scientifiche; per esempio, secondo medici ed epidemiologi quali Susser e Watson (citati da Prout, 2005:49) la distinzione trifasica da compiersi sarebbe tra:

- Social infancy: dalla nascita fino al compimento del settimo anno di età. - Chidlhood: da sette anni all’inizio della pubertà.

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- Adolescence: dalla pubertà alla accettazione sociale costituita dal riconoscimento del soggetto in quanto adulto.

Categorizzazioni cronologiche di questa natura sono utili a ridurre nel quotidiano la complessità semantico-concettuale e diventano necessarie per dotare di un ordine giuridico le interazioni sociali a cui fanno riferimento.

Negli ultimi due decenni però, sempre più autori di ambito sociologico concordano con Lupton (2012:4) nel considerare l'infanzia un costrutto socioculturale che è soggetto a interpretazioni diverse attraverso l’avvicendarsi di epoche storiche e culturali.44 In ogni

società infatti, si può osservare come il contesto determini in modo più o meno esclusivo il ‘come’ i propri membri definiscono l'infanzia e secondo quali modalità condivise “i bambini si trasformeranno in esseri sociali” (Lupton (2012:5).

L’assunto implica che se le rappresentazioni e le esperienze dell'infanzia sono costruite socialmente e culturalmente, implicitamente esse costituiscono al contempo elementi contingenti e dinamici in eventuale tensione (quando non contraddizione) con le attribuzioni inerenti il conferimento della maggiore età giuridica.

All’età ‘maggiore’ corrispondono infatti una serie di diritti e doveri molto più estesi e complessi di quelli permessi o concessi alle età ‘minori’, solo che – tanto in culture definibili di tipo ‘occidentale’, quanto per sistemi valoriali afferenti a paesi più o meno ‘terzi’ – la distinzione tra maggiori e minori attribuzioni costituisce un distinguo poco calzante con la realtà del vissuto quotidiano, le sue esigenze, le sue caratteristiche.

Nei contesti di primo tipo – quale è l’alveo in cui nasce e si sviluppa questa ricerca – si tende a ulteriori approfondimenti di quella differenziazione in fasce ulteriori45, mentre nei paesi con inferiori tenori di vita – o nei contesti socioeconomici deprivati di quelli più economicamente avanzati – la soglia considerata accettabile per attività di solito associate solo o prevalentemente all’età adulta, è di molto inferiore. Faccio qui riferimento ad attività e processi quali il lavoro retribuito, il matrimonio, la presa in carico dei più piccoli o – per comprendere anche e meglio il tema di questa ricerca – la cura dei parenti malati. Sulla scorta di queste considerazioni, per dotare l’impostazione teorica di questa ricerca con un orientamento empirico coerente, per quanto concerne la dimensione ‘infanzia’ si impiegherà come riferimento la definizione sviluppata da Prout, secondo il quale è da considerarsi infanzia quell’insieme di relazioni sociali negoziate nell’ambito del quale vengono vissuti i primi anni della vita umana (1990: 27).

Si tratta di una definizione che – nonostante una trentennale esistenza – è tuttora molto avanzata rispetto al pensiero dominante e, alle prassi più diffuse in ambito educativo e socializzativo. D’altro canto essa trovò sviluppo in un alveo storico e culturale molto favorevole a una riconsiderazione dei modelli tradizionali di infanzia: lo stesso periodo in cui veniva ultimata e approvata la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti dell'infanzia, nota anche con l’abbreviazione di CRC46.

44 Tra gli autori che, nei rispettivi contesti disciplinari, hanno costituito scuole e/o gruppi di pensiero

approfondito in materia si annoverano: Qvortrup (1991), Corsaro (1997), James e James (2004), Belotti e Ruggiero (2008) o Favretto (2017).

45 Con riferimento per esempio a categorie attribuite a pre-adolescenti o giovani adulti, ecc.

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