Capitolo VIII: Conclusioni Verso la promozione dell’agency dell’infanzia nelle relazioni di cura
6. Verso il riconoscimento integrato di un modello di agency bio-psicosociale
Nel capitolo VII ho analizzato le narrazioni trattando delle rappresentazioni inerenti alla malattia e il coinvolgimento nella cura, nonché delle modalità di partecipazione rispetto ad essa e delle valutazioni che i partecipanti hanno condiviso in merito all’esperienza del coinvolgimento.
Rispetto alle pratiche di responsabilizzazione come quelle riconducibili agli esempi di supporto emotivo e pratico addotte con le narrazioni, nella prassi si verifica di rado un riconoscimento da parte degli adulti.146
Al contrario, in questa ricerca, mi sono rivolto a bambine, bambini e adolescenti come raccomandano Thomas e Stoecklin (2018:77) e cioè come “soggetti che appartengono alla classe delle persone moralmente responsabili, le quali sono quindi titolari di diritti rispetto ai quali è dovuto rispetto; (nonché come) persone con talenti e capacità, che contribuiscono in vari modi alla società e alla cultura, e pertanto meritano stima.”
183 Dalla formalizzazione della Nuova Sociologia dell’Infanzia come paradigma della socializzazione in poi147, una quantità di studi teorici e soprattutto ricerche empiriche si sono occupati della relazione tra bambini e adulti, rivolgendo un’attenzione particolare a quella tra figli(e) e genitori. Alla considerazione di come tale relazione dovrebbe essere caratterizzata da una molto più marcata equità148 è, in effetti, corrisposto il riscontro di una più diffusa legittimazione della partecipazione dei più giovani nei processi di presa delle decisioni e della gestione congiunta delle situazioni.
Gradualmente, sulla scena sociologica, una visione più esatta della dimensione delle età ha acquisito consistenza e diffusione, delineando la generazione come un sistema di relazioni tra soggetti che è socialmente costruito e definito e nel quale bambini e adulti rivestono specifici ruoli con cui determinano (o dovrebbero determinare) insieme, le strutture di riferimento anche simboliche.149
Una reale diffusione di questi principi e soprattutto una sua coerente applicazione non cessa però di doversi confrontare con reticenze, quando non vere e proprie passive resistenze o attive ostilità, da parte di coloro che rimangono convinti assertori dei dettami del paradigma adultocentrico e che, quindi, continuano ad attribuire legittimità sociale in modo proporzionale all’età, indipendentemente dalle caratteristiche delle rispettive individualità e dei rispettivi contesti.
Anche con i portatori di interesse di cui questa ricerca si è avvalsa, è risultato che le relazioni tra genitori e figli(e) continuano ad essere orientate da ciò che i bambini saranno un giorno, piuttosto da quello che sono e potrebbero già essere oggi, soprattutto rispetto ad elementi critici dell’esistenza quali l’affrontamento della malattia grave e della morte.
La connotazione della questione che da questa prospettiva diventa riconoscibile è una natura isteretica del confronto intergenerazionale in sé e delle sue declinazioni soprattutto rispetto al mondo di vita per quanto riguarda la salute. In questo frangente, l’aspetto isteretico150 sarebbe correlato al fatto secondo cui coloro che detengono il potere decisionale
basano le proprie decisioni su competenze che sono obsolete, in quanto parziali perché, del contesto, non ne considerano tutti gli elementi, né tanto meno tutti i soggetti possibili, non in quanto attivi per lo meno.
La convinzione invece – per dirla come Belotti e Ruggiero (2008:29) – è che “è tanto utile per gli adulti essere in contatto con i bambini quanto per i bambini essere in contatto con gli adulti. Le cose sui bambini le impariamo soltanto dai bambini. La comprensione di noi stessi è enormemente impoverita se non siamo in contatto con l’infanzia… I bambini hanno una parte altrettanto importante nella crescita e nello sviluppo degli adulti come noi l’abbiamo nella loro.”
Quando il coinvolgimento nella scena di cura viene considerato come una risorsa da tutti i soggetti interessati – da chi lo agisce, da chi lo permette/facilita e da chi ne beneficia – si riconosce a bambine, bambini e adolescenti l’opportunità di compiere passi importanti verso la conoscenza, l’esperienza e la rielaborazione della cura degli altri e anche di sé.
Una siffatta opportunità rappresenta la concretizzazione di un’agency che si sviluppa e si alimenta sulla base della sperimentazione e del consolidamento dell’autonomia personale di
147 Ci si riferisce qui al ‘manifesto’ della New Sociology of Childhood indicato in Prout and James, 1990: 8, per
quanto poi integrato dagli stessi autori e tanti altri nel corso dei decenni.
148 Mayall, 1998:281. 149 Prout, 2005:75.
150 Per isteresi faccio qui riferimento a quel “fenomeno per cui il valore istantaneo di una grandezza che è
determinata da un’altra dipende non soltanto dal valore di questa allo stesso istante, ma anche dai valori che essa ha avuto in istanti precedenti.” Treccani, Enciclopedia on-line, http://www.treccani.it/enciclopedia/isteresi/.
184 cui ne beneficia, non solo il soggetto in sé, ma anche gli altri componenti del sistema di relazioni familiari, nonché – sul piano clinico – chi è malato.
Una modalità con cui contribuire a tale superamento è argomentare, comprendere e promuovere l’agency infantile sulla scena di cura. Perché anche rispetto ai concetti e agli ambiti della salute e della malattia, l'agency infantile e giovanile continua a essere un concetto controverso a cui tuttora è molto difficile attribuire una chiara definizione.
La persistente prevalenza dell'adultocentrismo come paradigma della socializzazione implica che le competenze infantili, così come le potenzialità e i limiti che nell’affrontare questioni di salute, continuino ad essere misurate attraverso prospettive prettamente biomediche151 impedendo di considerare il coinvolgimento una reale opportunità dagli impatti
significativi.
Per questo motivo è, non solo legittimo, ma anche opportuno contribuire alla promozione del concetto di agency rispetto all’interpretazione e all’orientamento delle esperienze di malattia e di cura, così da riconoscere e promuovere la possibilità che bambini, bambine e adolescenti possano agire consapevolmente e in maniera competente concretizzando una facoltà individuale che sia effetto delle relazioni e non – al contrario – il suo presupposto.
È, questa, una proposta che tratta di infanzia e di adolescenza come categorie sociali da assumersi non come delle entità vaghe connotate da vulnerabilità e innocenza, ma in quanto precise e peculiari soggettività in continua evoluzione, caratterizzate da una dinamica alterità.