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Evoluzione concettuale dell’agency dell’infanzia-adolescenza

Capitolo III: Quadro teorico per la dimensione “infanzia”

4. L’agency di bambine, bambini e adolescent

4.1 Evoluzione concettuale dell’agency dell’infanzia-adolescenza

Tra gli antesignani del concetto di agency della teoria sociologica, va certamente ricordato il Giddens di Central problem of social theory secondo cui lo scienziato che aspiri a spiegazioni del mondo sociale, dovrebbe considerare l’interazione tra la ‘agentività’ dei soggetti e le loro strutture di riferimento. Dopo tutto – come sostiene l’autore inglese – “every act which contributes to the reproduction of a structure is also

an act of production and as such may initiate change by altering the structure at the same time as it reproduces it.” (1979:69).

Interpolando il dibattito inerente la relazione diadica agenzia-struttura con la dimensione infanzia, diventa possibile considerare sotto una luce molto più valorizzante il ruolo che i bambini svolgono rispetto al loro crescere. Per il Ricoeur che ‘ci racconta la semantica dell’identità’ infatti, è possibile, anzi auspicabile, riconoscere il ‘crescere’ come una “partecipazione sempre più attiva alla “costruzione dello stesso orizzonte simbolico a partire dal quale diamo significato alla nostra esistenza.”55

Come Giddens prima di lui, nemmeno il filosofo francese faceva riferimento all’infanzia e la sua agentitivà, in quanto trattasi di un concetto che verrà definito in quanto tale solo molti anni più tardi. Gli elementi che entrambi permettono di sviluppare però, sono compatibili, in quanto permettono di assumere la agency come concetto che abbia genesi ed effetto nella partecipazione e nel suo progressivo rafforzarsi e diversificarsi all’evolvere dell’età. Agency implica costruzioni – ‘cocostruzioni’ a essere precisi – di senso, nonché attribuzione di significati. Agency tratta di orizzonti simbolici e – finalmente – di esistenza quotidiana.

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Una decisiva svolta teorica che ha invece incentivato una teorizzazione che possa dirsi specifica ed esclusiva rispetto al tema, avviene dal 1990 in poi, quando James e Prout condividono la loro definizione di bambini come attori sociali: “… children are and must

be seen as active in the construction of their own lives, the lives of those around them and of the societies in which they live. Children are not just the passive subjects of social structures and processes …” (1990, 8).

Da lì, un ulteriore impulso allo sviluppo teorico del concetto di agency, ha preso forma grazie alla pubblicazione e diffusione delle ricerche empiriche e dei trattati teorici che hanno analizzato la proposta socio-pedagogica dei movimenti dei bambini e adolescenti lavoratori: le esperienze note come Movimenti NATs.56

I NATs costituiscono una realtà che tuttora genera molto interesse in quegli autori della sociologia e della pedagogia interessati ad approcci alternativi del pensiero e in materia di politiche sociosanitarie ed educative. Attivi già dal 1978 in Perù, si tratta di Movimenti che si sono affermati soprattutto dagli anni Novanta in poi, in numerosi altri paesi sudamericani, indiani e dell’Africa Occidentale (Finelli, 2002:27),

L’elaborazione concettuale dell’esperienza dei NATs, per lungo tempo sviluppata soprattutto attraverso la valorizzazione critica del lavoro infantile, è stata realizzata da numerosi autori interessati alla tematica del cosiddetto protagonismo infantile.57

L’obiettivo di questi autori era ed è di dimostrare la fondatezza anche teorica delle proposte dei Movimenti, in modo da presupporre un processo di riconoscimento e legittimazione ai più alti livelli istituzionali che permetta un’istituzionalizzazione delle proposte dei NATs, nonché il supporto finanziario e politico ai progetti dei Movimenti (o per lo meno il non ostracismo alle loro attività).58

Con l’inizio del nuovo millennio, esperienze come quella concretizzata dal contributo dei NATs ai lavori della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Choudhury e Maharjan, 2006:28), hanno poi finalmente trovato consolidamento, intorno a quegli autori che. per la prima volta in maniera sistematizzata (e strategica), rivolgono in modo convinto e convincente “…their emphasis on the child as agent” non mancando di “… suggest studying generational relations since that can identify how far, in specific

contexts and social interactions, children have opportunities to enact moral competence.” (Alanen e Mayall, 2001:126).

Grazie a Mayhall, Alanen, Corsaro, Qvotrup e James, solo per citarne alcuni tra i principali, la valorizzazione critica del protagonismo infantile ha potuto acquisire una più precisa specificità teorica e un’adeguata articolazione empirica confluite nel concetto di agency dell’infanzia.

4.2 I frammenti mancanti del mosaico: per definire l’agency dell’infanzia

La cultura dominante dell’infanzia, per quanto sempre più messa in discussione dall’evolversi della ricerca e sempre più vittima delle contraddizioni ad essa intrinseche, continua a riprodurre rappresentazioni dell’infanzia tendenti al bipolarismo dionisiaco-

56 L’acronimo sta per Niños y Adolescentes TrabajadoreS ed è una delle locuzioni più impiegati da

bambini/e, ragazzi/e ed educatori dei movimenti nei paesi ispanofoni in cui hanno avuto origine.

57 Tra le innumerevoli opere di pertinenza, le seguenti possono essere considerate come indicative del

percorso progressivo di affermazione e sistematizzazione del paradigma della valorizzazione critica del protagonismo infantile: Myers (1989), Cussianovich Mercado (1994), Schibotto (1996), Liebel (2004), Ennew e Bessel (2006).

58 Opera di efficace sintesi al proposito è “Working Children's Protagonism: Social Movements and

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apolinneo.59 La natura delle potenzialità di bambine, bambini e adolescenti in qualità di attori sociali, richiederebbe invece il porsi nei loro confronti sulla base della considerazione di individui caratterizzati da sfaccettature che implicano connotazioni sociali ad alta complessità.

Nonostante l’ostilità – o se non altro la minimizzazione – diffusa in proposito nei contesti accademici, la stessa Mayhall (1998:269) rilevò già a suo tempo un significativo volume di esperienze – pratiche e teoriche – che raccomandavano all’analista delle scienze umane di considerare i bambini degli attori sociali a tutti gli effetti. Tra tanti autori (soprattutto autrici), è quella – per esempio – la scelta di campo di Montadon (2001:55), la quale si pone verso bambini e bambine come soggetti che partecipano in maniera costante e strutturale ad interazioni, attività, negoziazioni e aggiustamenti e che, pertanto, contribuiscono alla costruzione, perpetuazione e trasformazione dei loro mondi sociali con un contributo differente, ma non per questo meno rilevante, di quanto apportano gli adulti.

Sempre Montadon sostiene inoltre che, seguendo considerazioni di questo tipo, essi non svolgerebbero più solo ruoli etero-attribuiti, ma ricoprirebbero rispetto ai processi sociali stessi, sia la funzione di prodotti, che di produttori (2001:56). L’avanzamento teorico da compiersi però – raccomanda Mayall – va spinto oltre, in quanto, se consideriamo l’attore come qualcuno che compie un’azione, l’agente è un soggetto che la realizza assieme ad altre persone (Mayall, citata da James, 2009:47) e – in tal modo – apporta dei cambiamenti all’esistente, i quali contribuiscono a un più ampio processo di riproduzione culturale e sociale.

In altre parole, considerare i bambini degli attori sociali, ci permette di apprezzarne la proattività del ruolo che svolgono – o che dovrebbero poter svolgere – contribuendo alla costruzione della propria vita. L’infanzia quindi, come gruppo di soggetti più che degni di attenzione sociologica, non tanto e non solo per velleità di completezza dell’analisi dei sistemi di cui fanno parete, quanto per poter finalmente comprendere appieno un tutto sociale che altrimenti risulterebbe raffigurato in modo parziale: come valutare il significato di un mosaico a cui manchino dei pezzi importanti.

Comprendere appieno l’infanzia nella ricerca sociale, considerando bambini e bambine degli agenti però – afferma Mayhall – significa considerarli come titolari di “…

a part to play in the lives of those around them in the societies in which they live and as forming independent social relationships and cultures” (citata da James, 2009:47).

Nel momento in cui si riconosce all’infanzia il ruolo dell’essere parte integrante, parte attiva, parte rilevante – della propria esistenza e di quella della comunità – l’agency attribuisce loro lo status di componente fondante delle identità individuali. È in quei casi che si può e si deve ritenere l’agency come “il risultato di processi cognitivi” attraverso cui i bambini costruiscono in modo graduale il proprio sé e possono dotarlo della potenzialità di essere attori in grado di agire in strutture sociali più ampie (Favretto et al., 2017:67).

Per l’impostazione teorica di questa ricerca (e non solo), ne consegue che si compia quindi riferimento alla definizione di Favretto et al. (2017:69) secondo cui l’agency dell’infanzia è da intendersi come “la capacità di agire in modo deliberato, di parlare per conto di sé stessi e di riflettere attivamente sui propri mondi sociali, contribuendo a modellare la propria vita e quella degli altri… includendo sia il linguaggio parlato, sia le espressioni corporee.”

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4.3 Agency dell’infanzia ed elementi fondanti

Giunti a questo livello di ragionamento, per concludere l’inquadramento teorico di questa che costituisce una delle due dimensioni fondanti della tesi, è necessario dirimere e chiarire il rapporto tra l’agency dell’infanzia e le altre categorie chiave con cui può essere collegata quali: l’apprendimento, l’autonomia, l’empowerment e l’interesse superiore del bambino.

Queste dimensioni infatti acquisiscono una particolare rilevanza nella prassi empirica delle politiche sociosanitarie ed educative, soprattutto per quelle NON direttamente rivolte all’infanzia, ma che sull’infanzia possono esercitare effetti cruciali.

4.3.1 Agency e apprendimento

Ritenendo l’agency la risultante di un processo, appare evidente come essa non costituisca una capacità innata, ma una ‘qualità’ che richiede e implica un’acquisizione, un apprendimento. L’agency però, si intreccia con “un apprendere che – come sottolinea Lizzola (2002:40) – non è assimilazione o una mera interiorizzazione; né metabolizzazione di nozioni, classificazioni, linguaggi.”

Si tratta piuttosto di un apprendimento che avviene sviluppando la mente e l’identità attraverso la relazione dialogica con gli altri; il quale – giocoforza – implica l’assumersi di responsabilità nel momento in cui – attraverso la relazione – si prende contatto e consapevolezza di ciò che gli altri vivono e di ciò che gli altri pensano a tal riguardo. 4.3.2 Agency e autonomia

La consapevolezza, tanto quanto l’assunzione di responsabilità, implica necessariamente la possibilità e la capacità di autogoverno – almeno parziale – delle proprie azioni.

Agency però – come definito da Favretto et al. (2017:30) – non è (solo) autonomia, in quanto l’autonomia fa riferimento all’assunzione di decisioni informate, mentre l’agency riporta e richiede anche competenze più ampie che includano l’abilità di sapere ascoltare i propri bisogni e di sapervisi riferire nel momento in cui – secondo autonomia – vengono (devono essere) compiute delle scelte che hanno conseguenze non solo su sé stessi, ma anche sugli altri.

Risulta molto probabile che tutto questo porti ad alterazioni dei rapporti di potere esistenti e può essere significativo, al proposito, il distinguo che Lukes60 delinea al riguardo, distinguendo tra:

- Power to: ovvero la piena capacità o agency per il proprio agire. - Power over: ossia l’esercizio del controllo sulle azioni degli altri.

- Power through: e cioè gli effetti che si riesce ad ottenere nonostante i sistemi di conoscenza dominanti

Il discorso di un’infanzia che apprende evolvendosi, soprattutto (ma non solo) acquisendo autonomia e quindi potere, non può esimersi dal considerare il rapporto tra la agency che viene auspicata dalla teoria e le forme di empowerment che vengono invece promosse nella prassi.

53 4.3.3 Agency ed empowerment

Le tematiche e le pratiche di empowerment hanno riscosso a livello di politiche sociosanitarie una notevole attenzione negli ultimi decenni, anche riguardo l’infanzia.

Si tratta però di una promozione avvenuta troppo spesso seguendo direttive poco coerenti con le teorizzazioni richiamate in questo capitolo e che – a seconda del livello di approfondimento – è stata implementata mediante prassi che possono contribuire sì all’ulteriore sviluppo dei principi che la orientano, quanto al contraddirle.

Spencer (2013:5) per esempio, critica l’abuso delle attività finalizzate all’empowerment nei percorsi terapeutici, distinguendone sei forme sulla base di presupposti tra loro molto diversi e a cui corrisponderebbero molto diverse conseguenze nei soggetti che da esse ne vengono interessati. La principale critica dell’autore, infatti, si incentra soprattutto sulle variazioni delle modalità mediante le quali vengono riprodotti i rapporti intergenerazionali di potere, i quali a loro volta implicherebbero possibilità di promozione della salute con differenti chance di successo.61

Inoltre, rapportando il pensiero di Spencer (2015:18) al concetto di agency, si può richiamare l’attenzione sul fatto che i processi di empowerment destinati a bambine, bambini e adolescenti, di frequente siano posti in essere solo per ottenere compliance e non tanto per promuovere ascolto costruttivo e partecipazione reale.

Si tratta pertanto di processi che – ennesima epifania del redivivo filantropismo ottocentesco – vengono auspicati e condotti con le migliori intenzioni, ma che – causa la tuttora dominante rappresentazione dell’infanzia dionisiaco-apollinea – continuano a non garantire la realizzazione del superiore interesse per bambini e adolescenti.

4.3.4 Agency e interesse superiore dell’infanzia

Il concetto di interesse superiore dell’infanzia è un elemento doppiamente cruciale anche della Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC) di cui costituisce al contempo un articolo specifico e uno dei fondanti principi trasversali.

Come articolo – il numero 3 – dispone in primo luogo che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.”

Al proposito, la CRC identifica come duty-bearer primario lo Stato con le sue emanazioni, a cui spetta la funzione di assicurare la protezione e le cure necessarie al benessere di bambini e adolescenti, mantenendo però anche un’attenta considerazione e stimolo dei diritti e dei doveri dei duty-bearer specifici: i genitori o le altre figure adulte a cui tale responsabilità viene attribuita.

L’interesse superiore come principio trasversale, invece, implica che TUTTI gli altri

articoli della CRC, in tutte le loro più diverse applicazioni nei rispettivi contesti di vita a cui fanno riferimento, devono ad esso attenersi. Per esempio, non ci può adoperare per risolvere la violazione del diritto alla partecipazione o alla scolarità quando questo metta i soggetti a rischio di violenza o abuso che comporterebbero conseguenze ancora peggiori. Rispetto all’agency e alle sue applicazioni pratiche, il dibattito è stato anche molto cruento perché da diversi (e spesso neanche compatibili) pulpiti sono state espresse critiche riguardo l’esposizione ai rischi da parte dei bambini e alle eventuali tensioni relazionali generate da un agire deliberato che possa e debba essere espletato

61 Nello specifico, le sei forme di empowerment che Spencer identifica sono: Impositional, Dispositional,

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comunicando pensieri sviluppati in maniera autonoma anche sulla base di una riflessione esclusiva rispetto a ciò che si è dentro e di ciò che ci vive intorno.

5. Considerazioni intermedie

“I bambini esistono come soggetti a prescindere dalle idee prevalenti che ogni società ha di loro.”62

… ma si è dovuti giungere fino alla fine del millennio per riscontrare questo principio – in modo più o meno condiviso e più o meno consolidato – anche tra la comunità accademica. Peraltro, nella sociologia mainstream e soprattutto nel quotidiano delle persone, si fatica ancora molto a intra-vedere e ad apprezzare il legame tra interesse superiore e agency dell’infanzia-adolescenza; lo stesso accade per le altre dimensioni a cui il concetto di agency viene rapportato.

L’infanzia e l’adolescenza continuano ad essere connotate (stigmatizzate?) sulla base della sola dimensione generazionale come se si trattasse di un gruppo di individui che a priori sono ritenuti inconsapevoli, incapaci e incompetenti.

Causa ed effetto della persistenza di queste rappresentazioni, è la considerazione di bambini, bambine e adolescenti come oggetti passivi di processi di socializzazione e apprendimento dalla matrice ancora struttural-funzionalista, la quale legittima una dipendenza dagli adulti come se questa fosse innata, costante e irrisolvibile (o per lo meno non risolvibile prima del compimento della maggiore età). Sulla base di tale dipendenza, all’infanzia possono essere sì conferite facoltà di empowerment, ma sempre e solo per garantire funzionalità al sistema.

Al contrario, una volta chiarita quale dovrebbe essere la declinazione dell’agency dell’infanzia rispetto alle dimensioni di cui sopra, è necessario considerare bambine, bambini e adolescenti come soggetti dotati di una capacità di agire che varia all’avvicendarsi delle fasi della vita e che non inizia – d’emblée – a diciotto anni e un giorno.

La prospettiva auspicata è finalmente la possibilità di valorizzare in modo critico le potenzialità contributive in termini relazionali di bambini, bambine e adolescenti di cui sia riconosciuta l’agentività, conciliando in tal modo le argomentazioni dei New

Childhood Studies con il modello bio-psicosociale di sociologia della salute.

Lo scopo, nel capitolo che segue, è di armonizzare le due dimensioni in un paradigma unitario, multidisciplinare e coerente il quale, integrando le dimensioni teoriche di infanzia e salute – così come finora sono state trattate – permetta di finalizzare l’inquadramento teorico di questa ricerca.

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