LA RICERCA DELLA VERITA’. PROFILI SOSTANZIALI
4. La condotta di false dichiarazioni e il concetto di verità: vero oggettivo o vero soggettivo?
Le norme incriminatrici ora esaminate hanno in comune il riferimento al concetto di falso. Ma un comportamento che non violi il divieto posto da queste norme in che modo può dirsi conforme a verità? In altri termini, ci si domanda quale concetto di vero deve fungere da parametro per valutare la natura mendace di una dichiarazione. Un tale discorso concerne l’elemento oggettivo dei reati ma anche l’aspetto relativo al dolo in quanto nei reati di false dichiarazione i due aspetti presentano notevoli profili di compenetrazione.
Per quanto concerne la condotta commissiva di negazione del vero o affermazione del falso, “la condotta del soggetto si sostanzia in una dichiarazione di scienza concernente
163 L’art 26 l. 8 agosto 1995, n. 332, ha così modificato il testo dell’art. 381 bis, comma 4, c.p.p., come si è detto, il riferimento a tali condotte nei confronti della polizia giudiziaria non può che riguardare l’art 378 c.p.
164 In senso critico RANZATTO F., Estesa la ritrattazione al favoreggiamento-mendacio. Il commento, cit., p. 984.
165 Sul punto ampiamente PULITANO’ D., Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, cit., p. 158 -167.
166 Cass. pen., sez. VI, 19 aprile 1990, in Cass. pen. 1992, p. 947: “L'oggettività giuridica del favoreggiamento personale tutela le investigazioni dell'autorità e le ricerche della polizia giudiziaria anche fuori del processo penale, di tal che lo scopo della incriminazione della condotta tipica è quella di sanzionare l'intralcio comunque arrecato alle indagini della polizia o alle ricerche di questa. Ne deriva che integra il reato di favoreggiamento personale anche una condotta meramente omissiva, che si concreta nel silenzio, nella reticenza o nel rifiuto di dare alla polizia giudiziaria notizie utili ad indagare efficacemente sul reato commesso e sul suo autore”; Cass. pen., sez. VI, 08 giugno 1990, in Cass. pen. 1992, p. 946; Cass. pen., sez. VI, 06 giugno 1996, n. 8296, in Cass. pen. 1997, p. 2819; Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 1998, n. 773, in
Cass. pen. 2000, p. 604 “La previsione dell'art. 378 c.p. comprende ogni atteggiamento, anche negativo, idoneo ad eludere o fuorviare le investigazioni o ad intralciare le ricerche degli organi di polizia. Ne deriva che è configurabile il reato qualora il soggetto, esaminato dalla polizia giudiziaria, neghi la conoscenza di fatti a lui noti. Nè il delitto è escluso dalla eventuale concomitanza di informazioni già in possesso dell'autorità inquirente. La ricerca della verità in ordine all'accertamento dei reati ha infatti bisogno di una pluralità di elementi, il cui apporto non può essere rimesso al giudizio del singolo. Per la configurabilità del delitto di cui all'art. 378 c.p., inoltre, non si richiede che la giustizia venga effettivamente fuorviata, nè che l'intento di eludere le indagini sia stato concretamente realizzato, giacché il reato è ipotizzabile anche quando l'autorità sia a conoscenza della verità dei fatti ed abbia già conseguito la prova della sicura partecipazione al delitto della persona aiutata”.
determinati fatti, mentre le due forme della condotta si distinguono per il modo con il quale è impostata la narrazione o la risposta alla domanda, vale a dire come asserzione in termini positivi di un dato di fatto o come negazione dello stesso”.167
Il problema si pone con riguardo alla nozione di verità – o, per converso, alla nozione di falsità - cui fare riferimento nel giudizio di corrispondenza al vero di quanto affermato dal soggetto dichiarante. In altri termini se il concetto di verità da assumere a parametro sia quello che si richiama al vero oggettivo o al vero soggettivo, il che significa attribuire rilievo o meno alla personale percezione di quest’ultimo in merito alle proprie dichiarazioni.
La dottrina è unanime nell’accogliere la teoria del vero soggettivo: ai fini della determinazione della falsità si deve avere a riguardo al contrasto fra quanto dichiarato dal soggetto in merito alla propria percezione del fatto e la diversa percezione che di quel fatto ha, invece, avuto o alla totale mancanza di percezione riguardo a quel fatto. Non rileva, dunque, secondo questa teoria il contrasto fra il fatto così come rappresentato dal soggetto e il fatto così com’è realmente accaduto168. “Si avrà dunque una deposizione falsa non solo nel caso in cui il testimone riferisca di aver percepito (e memorizzato) un fatto in termini contrari all’effettiva percezione (e memorizzazione) del fatto stesso, ma anche nel caso in cui il testimone riferisca come da lui percepito (e memorizzato) un determinato fatto, che in realtà egli non ha assolutamente percepito, a nulla rilevando in questo caso che il fatto sia o non sia realmente accaduto). In applicazione di tali principi potrà naturalmente aversi falsità anche se il testimone riferisce in termini di certezza una percezione del fatto che egli non ha invece percepito con certezza”169.
Secondo la teoria del vero soggettivo, dunque, l’obbligo di verità posto in capo al dichiarante consiste nell’obbligo di riferire quanto da lui percepito. Una simile impostazione sembra trovare riscontro anche in base alla formulazione letterale dell’art 372, che impone al testimone l’obbligo di riferire “ciò che sa intorno ai fatti su cui è interrogato”, nessun riferimento, quindi, alla verità oggettiva. È stato inoltre notato che, se fosse ammessa la teoria del vero oggettivo, le dichiarazioni soggettivamente false su fatti veri non avrebbero penale rilevanza170.
167 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 436.
168 Così ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., p. 481; FIANDACA G. - MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 388; LA CUTE G., voce Falsa testimonianza cit., p. 1; PAGLIARO A. Principi di diritto penale. Parte speciale, cit., p. 122; RUGGERO G., voce Falsa testimonianza, cit. p.531; ROMANO B., Delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 133.
169 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 436.
Una delle argomentazioni a favore della teoria del vero soggettivo riguarda l’inoffensività della dichiarazione solo soggettivamente falsa. A ciò è stato tuttavia replicato che anche una tale dichiarazione può essere idonea a ledere il bene amministrazione della giustizia171. Attenta ha dottrina ha, infatti, osservato che: “quando si configurano i reati di falso come delitti contro la prova il giudizio sulla falsità della dichiarazione riguarda la prova, intesa come risultato probatorio. Il mendacio della dichiarazione può essere tratto solo da questo risultato, tanto che per ciò che attiene alla “divergenza” rispetto alla realtà oggettiva, quanto per ciò che attiene alle indicazioni non “veritiere” circa le modalità di conoscenza del fatto. La falsa testimonianza implica una valutazione della prova nel suo complesso, perché solo questa conclusiva rappresentazione del fatto può misurare, in tutto o in parte, la genuinità e la sincerità dell’acquisita testimonianza”172.
Il tratto peculiare della falsa testimonianza – ma questo vale per tute le fattispecie finora esaminate, la cui condotta si sostanzia in una falsa dichiarazione – è la forte connotazione psicologica dell’elemento materiale del reato, che richiede la consapevolezza di mentire da parte dell’agente.173
Anche la giurisprudenza è costante nell’applicare la teoria del vero soggettivo, facendo – peraltro – rientrare il dato della consapevolezza di mentire all’interno della tipicità del fatto. La Corte ha, infatti, affermato che “nel delitto di falsa testimonianza l’elemento materiale consiste non nella difformità fra le dichiarazioni del testimone e la realtà vera e propria, ma nella difformità tra quanto il teste depone e ciò che egli effettivamente conosce sui fatti in ordine ai quali viene interrogato”174. Non solo: “il reato di falsa testimonianza sussiste anche se i fatti deposti sono obiettivamente veri, quando il
171 ROMANO B, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit. p. 133; SIRACUSANO F., Studio sui reati contro la giurisdizione, cit., p. 164. L’Autore, analizzando il caso della dichiarazione vera dal punto di vista oggettivo, ma falsa quanto alle modalità di apprendimento della notizia rileva: “non ricorre l’ipotesi del reato putativo poiché chi depone falsamente il vero non erra credendo di non deporre il vero. Al contrario crede di deporre il vero e, per accentuare (o solo per accentuare) l’attendibilità di questa rappresentazione, svela modalità di conoscenza del “fatto”, rivelatesi poi mendaci”.
172 SIRACUSANO F., Studio sui reati contro la giurisdizione, cit., p. 164.
173 SIRACUSANO F., Studio sui reati contro la giurisdizione, cit., p. 163; PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit. p. 437
174 Cass. pen., sez. VI, 30 maggio 1995, n. 8639, in Cass. pen. 1996, p. 2945; nello stesso senso Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 5745, in Cass. pen., 2004, p. 508. Con riferimento all’art. 371 bis la Corte ha affermato che: “L'elemento materiale del delitto di false dichiarazioni al pubblico ministero consiste nella mera difformità tra quanto la persona dichiara e ciò che invece effettivamente conosce sui fatti in ordine ai quali è interrogata, essendo dunque del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato che le false dichiarazioni risultino successivamente ininfluenti ai fini dell'accertamento della verità dei fatti.”. Così Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2010, n. 7358, in Cass. pen. 2011, 1, p. 196.
teste li assuma avvenuti in sua presenza, mentre invece egli non li abbia ne visti né sentiti”175.
Sembra potersi concludere, dunque, che la genuinità della prova, intesa anche nella sua connotazione processuale, è sempre compromessa dal mendacio, anche quando quest’ultimo non ricada sull’accadimento dei fatti ma ricada su altri elementi della narrazione.