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Falsa testimonianza e falsa perizia o interpretazione

LA RICERCA DELLA VERITA’. PROFILI SOSTANZIALI

1. Il bene giuridico tutelato dai reati contro l’amministrazione della giustizia

3.3. Falsa testimonianza e falsa perizia o interpretazione

Tali reati consistono in una falsa dichiarazione resa al giudice, il soggetto processuale collocato in posizione di terzietà rispetto alle parti. Fatta eccezione per il reato di falsa interpretazione – poiché l’intervento dell’interprete, laddove necessario, è ovviamente funzionale in tutte le fasi del procedimento, anche quelle prodromiche e successive – la sede naturale di questi reati è il dibattimento141.

Le fattispecie in esame costituiscono le “tradizionali forme d’incriminazione della falsità nel processo”142. L’esigenza di tutela della “verità” - in termini di genuinità degli elementi sottoposti al vaglio del giudice – assume con riferimento queste fattispecie - il massimo grado di rilevanza, il che parrebbe confermato anche dal rigore sanzionatorio143.

P., Maggiori poteri agli avvocati nella legge in materia di indagini difensive. Modifiche al codice penale, cit, p. 292; D’AMBROSIO V., Commento all’art. 371 ter c.p., in Codice penale, a cura di PADOVANI T., Tomo I (artt. 1-413), VI Ed., Milano, 2014, p. 2314; PIFFER G., Commento all’art. 371 ter c.p., in Codice penale commentato, diretto da DOLCINI E. – GATTA G. L., Tomo II, IV Ed., Milano, 2015, p. 1190.

138 Cfr. supra, par. 2.5.

139 PISA P., Maggiori poteri agli avvocati nella legge in materia di indagini difensive. Modifiche al codice penale, cit., p. 292

140 PISA P., Maggiori poteri agli avvocati nella legge in materia di indagini difensive. Modifiche al codice penale, cit., p. 294

141 SEVERINI P., I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit., p. 5

142 SEVERINI P., I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit., p. 5

143 La pena prevista per il reato di falsa testimonianza era originariamente la reclusione da sei mesi a tre anni, l’art. 11 comma 2 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in l. 7 agosto 1992, n. 56 ha innalzato la pena edittale prevedendo la reclusione da due a sei anni. Una simile scelta è stata criticata in letteratura poiché “la scelta sanzionatoria del legislatore del ’92 incontra obiezioni sia se si tiene conto della (impropria) progressiva trasformazione dell’indagine preliminare quale luogo in cui si “forma” la prova, sia soprattutto se si pone mente alla mancata graduazione della pena della falsa testimonianza in relazione al reato presupposto”, FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto Penale. Parte speciale, cit. p. 370. Un’altra opinione negativa sull’argomento è stata espressa da ZANOTTI M., La disposizione di cui all’art. 11 del d. l. n. 306

Ciò poiché dichiarazioni false o reticenti rese al giudice possono “ostacolare, infatti, in maniera grave, l’obiettivo cui deve tendere il processo penale, che è quello di accertare la verità reale degli accadimenti, che ne costituiscono il substrato oggettivo”144.

Quanto detto trova conferma nel diffuso orientamento145 – condiviso anche dalla giurisprudenza – che ricostruisce queste fattispecie in termini di reati di pericolo, con ciò ritenendo che – ai fini della sussistenza del reato – non sia necessario che il mendacio abbia necessariamente fuorviato il giudice, influendo sul contenuto della decisione, che costituisce, secondo questa impostazione, il riferimento su cui fondare il giudizio di lesività146. A ben vedere, tuttavia, considerando la testimonianza nella sua – corretta – qualifica di mezzo di prova, la fattispecie di cui all’art. 372 dovrebbe considerarsi reato di danno. Il mendacio ha, infatti, già interferito sulla genuinità del mezzo di prova. L’attività giudiziaria subisce sempre un danno in seguito dalla condotta di falsa testimonianza: “anche nel caso in cui il giudice non sia stato tratto in inganno dalla falsità e questa non abbia avuto incidenza sulla sua decisione, il solo fatto dell’espletamento della prova falsa –

del 1992 convertito nella l. n. 356/92 relativa alle modifiche all’impianto codici stico della tutela penale dell’amministrazione della giustizia, in AA. VV., Mafia e criminalità organizzata, II, Torino, 1995, p.869: “la risposta penale per le falsità processuali si allinea a quella contemplata per il delitto di calunnia, il che può lasciare perplessi circa l’effettiva rispondenza della modifica a ponderate prospettive di politica criminale, dal momento che non è agevolmente spiegabile, infatti, per quale motivo si raggiunga la soglia sanzionatoria della fattispecie di cui all’art 368 c.p. (che, di per sé, trova giustificazione nella sua connotazione plurioffensiva)”.

144 SEVERINI P., I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit., p. 6, così anche MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, V, Torino, 1982, p. 900, secondo il quale: “Oggetto specifico della tutela penale è l’interesse concernente il normale funzionamento dell’attività giudiziaria, in quanto conviene assicurare a questa attività la sincerità e la completezza delle prestazioni inerenti al contenuto dei doveri di testimonianza, di perizia, di consulenza tecnica del giudice civile, e di interpretazione”. Quanto all’individuazione dello scopo del processo penale nella ricerca della verità, si segnala che non vi è unanimità della dottrina processualpenalisitca.

145 SEVERINI P., I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit., p. 7; FIANDACA G. - MUSCO E., Manuale di diritto penale. Parte speciale., cit., p. 364,: “ai fini della configurabilità del reato non è necessario che il fatto determini una sentenza erronea, ma è sufficiente la possibilità che ciò si verifichi: la falsa testimonianza ha dunque la struttura di un reato di pericolo”; SANTORO A., Testimonianza, perizia, interpretazione (Falsità in), in Noviss. Dig. XIX, 1973, Padova, p. 297; MARINUCCI G. - DOLCINI E., Manuale di diritto penale. Parte generale, 5 ed., Milano, 2015, p. 537. In giurisprudenza si vedano, per tutte: Cass. pen., 25 maggio 1989, in Riv. Pen. 1990, p. 1067: “Ai fini della sussietnza o meno del delitto di falsa testimonianza, non rileva l’uso che il giudice del processo principale abbia fatto della deposizione o l’esito della sua utilizzazione nell’insieme delle prove di cui disponeva, essendo sufficiente che la dichiarazione fosse pertinente al giudizio e potesse, sia pure astrattamente, influire sulla decisione”. Nello stesso senso Cass. pen., sez. II, 30 gennaio 1995, in Giur pen., II, p. 278: “Il reato di falsa testimonianza, in quanto reato di pericolo, non è escluso dall’esistenza di nullità processuali, salvo il caso limite in cui le stesse facciano venire meno i presupposti del reato, come ad esempio la qualità di testimone o il rapporto con l’autorità giudiziaria”.

e a maggior ragione la necessità di dimostrare la falsità della stessa – comporta sempre, quanto meno, un inutile dispendio di attività processuale”147.

Non sembra vi siano particolari problemi circa la loro natura di reati propri: l’agente deve evidentemente possedere la qualifica soggettiva di testimone, perito o interprete, così come individuata dalle norme processuali148.

Il soggetto attivo della falsa testimonianza deve essere individuato sulla base di due elementi: la qualifica soggettiva di testimone e la qualifica di Autorità giudiziaria del soggetto che raccoglie le dichiarazioni. Non vi sono, quindi, particolari incertezze nell’affermare che il reato “non si configura se il mendacio, quantunque comunicato dinanzi a un organo giudiziario, si manifesti al di fuori di un esame testimoniale in senso tecnico-processuale149”. Si pone, tuttavia, il problema se i delitti di falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione possano configurarsi nel caso in cui le dichiarazioni mendaci siano rese nel corso dell’udienza preliminare o dell’incidente probatorio.

Quanto alla qualifica di testimone, essa è individuata, per quanto attiene al processo penale, dagli artt. 194 e ss. c.p.p. Il soggetto assume tale qualifica sia che la deposizione venga assunta nell’udienza dibattimentale o di incidente probatorio, sia che venga assunta in sede di udienza preliminare150. A fondamento di questa tesi, senza dubbio condivisibile, pare incontrovertibile il dato normativo espresso dalla disposizione di cui all’art. 422 c.p.p.

147 PIFFER G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 419, nello stesso senso anche LA CUTE G., voce Falsa testimonianza, in Enc. Giur., vol XIII, Roma, 1989, p. 6: “La falsa testimonianza è un reato di danno poiché la verità cercata nel giudizio resta alterata […] ed occorre che il giudice sia stato effettivamente ingannato […].Il danno consiste, quindi, nella sottoposizione all’esame del giudicante di una prova consapevolmente falsa, nell’alterazione della fonte di prova”. DI GIOVINE O., voce Testimonianza (Falsità di), cit., p. 302: “il carattere astratto dell’interesse tutelato non lascia adito a dubbi in merito alla natura della fattispecie come fattispecie di danno: il mendacio e la reticenza non possono infatti che infirmare l’attendibilità del mezzo di prova e - specularmente - in tanto hanno rilevanza, in quanto infirmino l’attendibilità della testimonianza”.

148 SEVERINI I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit., p. 12, FIANDACA G. - MUSCO E., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit.,p. 365; PAGLIARO P., Principi di diritto penale. Parte speciale, cit., p. 115; PIFFER G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 421. Quanto al processo penale si richiamano gli artt. 194 – 207 e 497 – 500 c.p.p. per il testimone, 220 – 233 e 501 c.p.p. per il perito e 143 – 147 c.p.p. per l’interprete. Una definizione generale di testimone è stata fornita anche dalla giurisprudenza: “testimone, ai fini dell’art 372 c.p., è quel soggetto terzo rispetto alle parti del giudizio che, ammesso a rendere dichiarazioni di scienza su quanto a sua conoscenza in ordine a fatti rilevanti ai fini del decidere, viene chiamato a deporre davanti al giudice e in ambito processuale, nel contraddittorio delle parti, avvertito delle responsabilità penali cui va incontro per le dichiarazioni non corrispondenti a quanto a sua conoscenza, e depone rispondendo alle domande a lui rivolte sui fatti intorno ai quali è chiamato a fare dichiarazioni di scienza”. Cass. pen., 2 marzo 2000, n. 6118, in Cass. pen., 2003, p. 136.

149 RUGGERO G., voce Falsa testimonianza, cit., p. 527, ripreso da FIANDACA MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, cit., p. 384.

150 PIFFER G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 423. Così anche ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., p. 479; PAGLIARO P., Principi di diritto penale. Parte speciale, cit., p. 115. Di opinione contraria DI GIOVINE O., voce Testimonianza (Falsità di), cit., p. 302, PPREZIOSI S., Falsa testimonianza e false informazioni al pubblico ministero, in I delitti contro l’amministrazione della giustizia, a cura di COPPI F., Torino, 1996, p. 232.

Tale norma, nell’individuare in capo al giudice per l’udienza preliminare un potere officioso d’integrazione probatoria, dispone che: “Il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'articolo 210 di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio.”

Qualifica diversa da quella del testimone è quella di persona informata sui fatti, che è assunta dal soggetto che viene sentito dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria. Anche in capo a questo soggetto grava l’obbligo di verità151, ciò che differenzia questa posizione da quella del testimone è il soggetto destinatario delle dichiarazioni; tale differenza si riflette anche sulla definizione degli atti compiuti dai diversi soggetti: testimonianza - per il testimone - e sommarie informazioni - per la persona informata sui fatti -. Questa distinzione è connessa alle diverse funzioni - svolte dal giudice e dal pubblico ministero nella fase predibattimentale – e alla diversa disciplina dei rispettivi atti152.

Si può, dunque, concludere che la persona informata sui fatti non riveste la qualifica di testimone, il che è confermato dall’autonoma incriminazione della falsa dichiarazione resa dal pubblico ministero, punita dall’art. 371 bis.

Quanto al perito e all’interprete l’individuazione del soggetto attivo del reato è anche in questo caso basata su due elementi: il possesso della qualifica soggettiva di perito o interprete e la nomina da parte dell’Autorità giudiziaria153. Anche in questo caso – al pari di quanto detto per la falsa testimonianza – trattasi di elemento normativo della fattispecie, il suo contenuto andrà individuato sulla base delle norme processuali154.

Un problema particolare si pone per il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero o dalla parte privata, ai sensi degli artt. 359 e 225 c.p.p. A ben vedere, si può agevolmente affermare che questi soggetti siano privi della qualifica di perito, poiché la loro nomina non proviene dall’Autorità giudiziaria155. Tale affermazione non è peraltro

151 L’art. 362 c.p.p., infatti, nel disciplinare l’attività di assunzione d’informazioni svolta dal pubblico ministero durante le indagini, richiama l’art. 198 c.p.p., che dispone, oltre ad altri obblighi, l’obbligo in capo al testimone di “rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte. Quanto all’attività di assunzione d’informazioni da parte della polizia giudiziaria, l’art. 351 richiama quanto disposto dall’art. 362.

152 PIFFER G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 423.

153 PIFFER G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 472.

154 Ai sensi dell’art. 220 c.p.p. “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”. L’art. 221 c.p.p. disciplina le modalità della nomina del perito, che deve essere fatta dal giudice.

155 FIANDACA G. - MUSCO E., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., 375; ROMANO B., Delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., p. 81; GRIECO A., Falsa perizia e interpretazione, in I

smentita dalla modifica normativa introdotta dall’art. 11 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, che ha aggiunto il riferimento al consulente tecnico nella formulazione dell’art. 377 c.p. e dell’art. 384 c.p.p., comma 2, norme che contengono un richiamo all’art. 373 c.p. Il citato decreto, infatti, non ha apportato alcuna modifica all’art. 373, il che preclude ogni interpretazione di tendenza estensiva: il perito rimane soggetto diverso dal consulente di parte.156

Quanto, infine, alla nozione d’interprete, questi è il “soggetto incaricato di rendere possibile, mediante la traduzione in lingua italiana o straniera, la comprensione di uno scritto ovvero la dichiarazione di chi non conosce a lingua italiana o straniera”157.