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Ratio e inquadramento dogmatico

NEMO TENETUR SE DETEGERE. IL CONTRAPPESO GARANTISTA

2. La necessità di salvamento

2.1. Ratio e inquadramento dogmatico

La natura giuridica e – di conseguenza – la ratio attribuita dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla fattispecie del primo comma dell’art. 384 c.p. sono state oggetto delle interpretazioni più varie.

Nonostante il legislatore, nei lavori preparatori, abbia espressamente definito questa fattispecie un’ipotesi speciale dello stato di necessità418, una simile impostazione è stata oggetto di dibattito in letteratura419.

418 Si ricorda, peraltro, che nemmeno la natura dello stato di necessità è oggetto di accordo in dottrina, potendosi anche in questo ambito rilevare la presenza di opinioni che riconoscano efficacia scriminante, da una lato, e scusante dall’atro.

419 FORNASARI G., Art. 384 – Casi di non puniiblità, in Reati contro l’amministrazione della giustizia, a cura di FORNASARI G. – RIONDATO S., Torino, 2013, p. 259.

È opinione comune che essa trovi fondamento nel principio del nemo tenetur se

detegere, ossia nel riconoscimento dell’ancestrale istinto di conservazione della libertà e

dell’onore – presente in ogni persona – e, per altro verso, nella rilevanza attribuita alla prevalenza – dal punto di vista soggettivo - dei sentimenti familiari420. Vi è chi rileva, tuttavia, che una simile interpretazione del brocardo si discosti dal significato a esso generalmente attribuito in termini di “inammissibilità etico-giuridica di forme di coazione dell’imputato o del potenziale imputato a rendere dichiarazioni autoaccusatorie, apparendo ciò incompatibile col pieno riconoscimento del diritto di difesa, alla previsione dell’art. 384, comma 1 sono in realtà riconducibili anche comportamenti che non costituiscono sicuramente esercizio del diritto di difesa, come ad es. condotte materiali integranti gli stremi della frode processuale o del favoreggiamento personale”421.

Secondo tale impostazione è possibile ricondurre l’intera fattispecie prevista dall’art. 384 al principio del nemo tenetur se detegere, soltanto accogliendo un’interpretazione ampia e generica di quest’ultimo, “riferendolo cioè a comportamenti comunque pregiudizievoli per il soggetto o per il suo prossimo congiunto”422.

Effettivamente nulla vieterebbe di leggere nell’art. 384, primo comma, l’omologo del principio in parola inteso in senso sostanziale. Con ciò ritenendo l’art 384 la norma di giunzione dei due aspetti – quello processuale e quello sostanziale – del principio citato. Il che, fra l’altro, si porrebbe perfettamente in linea con la diversa natura dei due commi di cui è composta la norma.

420 Così FIANDACA G. - MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale, I, V ed., Bologna, 2012, p. 423: “Questa speciale circostanza di non punibilità è giustificata da una duplice considerazione di politica criminale. Il legislatore tiene conto, da un lato, dell’istinto di conservazione che spinge ciascun individuo a evitare di accusare sé medesimo (nemo tenetur se accusare); dall’altro della forza difficilmente coercibile dei sentimenti familiari, la quale fa sì che si rifugga dall’esporre a processo i congiunti: sicché, di fronte al dilemma in cui taluno può trovarsi tra l’osservanza della legge penale e il nocumento proprio o di un prossimo congiunto, l’art 384 rende lecita la scelta a favore dell’istinto di conservazione e della solidarietà familiare”; concorde ANTOLISEI., Manuale di diritto penale. Parte speciale, II, 15 Ed., integrata e aggiornata a cura di GROSSO C.F., Milano, 2008, p. 567; PISANI M., Casi di non punibilità, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, a cura di CATENACCI M., in Trattato teorico/pratico di diritto penale, diretto da PALAZZO F. – PALIERO C. E., Torino 2015, p. 602 ZANOTTI M., Nemo tenetur se detegere. Profili sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 174; BERTOLINO M., Analisi critica dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 2015. Contra SPENA A., Sul fondamento della non punibilità nei casi di necessità giudiziaria (art. 3841), in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 145: “la figura di cui all’art. 384, primo comma, vista nel suo insieme, è una sorta di chimera giuridica, un “mostro” irriducibile ad una medesima natura, e dal fondamento politico criminale piuttosto dubbio e ambiguo”.

421 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, tomo I, I delitti contro l’attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da MARINUCCI G. - DOLCINI E, Padova, 2005, p 867. L’autore riprende le considerazioni di PULITANO’ D., Nemo tenetur se detegere: quali profili di diritto sostanziale?, in Riv. it. dir. proc. pen. 1999, p. 1271.

Quanto ai rapporti fra il principio del nemo tenetur se detegere e l’art. 384, sembra condivisibile l’opinione di chi ritiene che la valenza strettamente processuale del principio, identificata quale diretto precipitato del diritto di difesa stabilito dall’art 24 Cost, non sia – per ciò stesso – incompatibile con una autonoma valenza di natura esoprocedimentale dello stesso principio così come individuata dall’art. 384 c.p. Siffatta valenza emergerebbe dalla presenza, nel catalogo dei reati di cui al primo comma dell’art. 384, di delitti posti a tutela di beni giuridici che tutelano momenti di natura extra processuale, come i delitti di omessa denuncia o di omissione di referto423.

In letteratura non vi è unanimità di vedute con riferimento alla natura giuridica della fattispecie in esame. In particolare le posizioni si dividono fra un’interpretazione che dà maggior risalto agli aspetti soggettivi della norma - riconducendo quindi la causa di non punibilità nell’alveo delle cause di esclusione della colpevolezza – e un’interpretazione in chiave oggettiva, che giunge a qualificare la fattispecie di cui all’art. 384 come una causa di giustificazione424.

L’interpretazione soggettiva si fonda sull’assunto che il legislatore abbia inteso dare rilevanza alla situazione personale dell’agente, cosa che emergerebbe dai limiti di carattere soggettivo stabiliti per l’operatività della norma. La necessità che fonda l’esenzione da pena deve, infatti, essere riferita al soggetto agente o a uno dei suoi prossimi congiunti e questi deve personalmente realizzare la condotta necessitata425.

La ricostruzione in chiave soggettiva della norma chiama a sostegno l’interpretazione – comunemente accettata in letteratura, a differenza di quella riferita allo stesso termine presente bell’art 54 – del termine “costretto” in chiave squisitamente personale, peraltro conforme al significato di uso comune del termine. E, in effetti, tale termine va riferito a

423 ZANOTTI M., Nemo tenetur se detegere. Profili sostanziali, cit., p. 188. L’Autore prosegue nell’iter argomentativo, portando il ragionamento alle estreme conseguenze sostenendo che “la norma ordinaria è rilevante, nella sua funzione di limite, non tanto nella parte in cui coincide con il principio costituzionale, quanto piuttosto in quella che ad esso è complementare. È nella proiezione pre-processuale dell’art. 384 c.p. che il canone del nemo tenetur se detegere ha modo di evidenziarsi come limite logico dell’ordianmento”. Da ciò conseguirebbe - secondo l’ipostazione citata che, tuttavia, costituisce posizione minoritaria – la natura del concetto di inesigibilità quale principio generale dell’ordinamento, per questo applicabile ai reati non espressamente previsti dall’art. 384, che costituirebbero un mero elenco esemplificativo”. In senso decisamente contrario PULITANO’ D., Nemo tenetur se detegere: quali profili di diritto sostanziale?”, cit. p. 1271.

424 Per una compiuta analisi degli orientamenti proposti in letteratura, si rimanda a TASSINARI D., Nemo tenetur se detegere. La libertà dalle autoincriminazioni nella struttura del reato, Bologna, 2012, p. 312.

“una situazione di effettivo condizionamento della volontà del soggetto da parte di un fatto esterno”426.

La costrizione agisce, influenzandolo, sul percorso decisionale dell’agente, condizionandolo e costringendolo ad agire per evitare un nocumento ai beni della libertà e dell’onore, propri o di un prossimo congiunto. La norma richiede che il potenziale nocumento sia grave, giacché soltanto in questo caso il nocumento può essere tale da condizionare la capacità di autodeterminarsi427.

Da queste premesse l’interpretazione soggettiva428 trae la conclusione che la fattispecie di cui all’art. 384 non possa essere applicata oggettivamente, ma rientri nella categoria delle cause di esclusione della colpevolezza, in ragione del suo spiccato carattere, per così dire, individuale. Ne consegue, secondo questa impostazione, che la norma non sottenda un bilanciamento d’interessi configgenti di pari rango – operazione propria delle cause di giustificazione, che giunge a rendere penalmente lecito il reato commesso in circostanze in cui venga in considerazione l’interesse ritenuto prevalente - ma solo la scelta di ritenere inesigibile – dando rilevanza alla situazione soggettiva dell’agente - un comportamento conforme alle norme429. L’aver agito in presenza della situazione descritta

426 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit. p. 867.

427 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit. p. 867.

428 Questa interpretazione ritiene la norma espressione del principio di inesigibilità. In questo senso: FORNASARI G., Art. 384 – Casi di non punibilità, in Reati contro l’amministrazione della giustizia, cit. p. 262; MARINUCCI G. - DOLCINI E., Manuale di diritto penale. Parte generale, 5 ed., Milano, 2015; DE FRANCESCO G., Diritto penale. I fondamenti, Torino, 2011, p. 517; PALAZZO F., Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2013, p. 458; MANNA A,: Corso di diritto penale. Parte generale, Padova, 2015, p. 442.

429 Contra MARI A., L’art. 384 c.p. tra vecchi problemi di inquadramento sistematico e interpretazioni costituzionalmente orientate, in Cass. pen., 3, 2012. La sentenza in commento ha stabilito che “ai fini dell'applicabilità dell'art. 384, comma 1, c.p., che scrimina o comunque manda esente da responsabilità penale colui che commetta un fatto di favoreggiamento personale perché ha agito per tutelare un proprio (o di un familiare) individuale interesse di libertà o di onore, la nozione di libertà deve essere intesa nella sua più lata interpretazione, in linea con la lettera della norma che non introduce alcuna particolare specificazione, onde vi rientra senz'altro l'esigenza di libertà di evitare un'accusa penale, cioè un procedimento penale o anche soltanto indagini penali, ricollegandosi tale esigenza al diritto inviolabile di difesa (art. 24, comma 2, cost.), che ha valore costituzionale al pari di quello della non fuorviata e giusta amministrazione della giustizia (art. 111 e 112 cost.) che sta alla base dell'incriminazione del favoreggiamento. In questa prospettiva, è comunque irrilevante, ai fini dell'efficacia scriminante, che la situazione di pericolo trovi causa in un fatto accidentale, in un fatto altrui o anche nel fatto proprio e volontario del soggetto agente che realizzi la condotta di favoreggiamento”. Cass. pen., sez. VI, 16 giugno 2011, n. 37398, in Cass. pen. 2012, 3, p. 884. L’Autore rileva che la Corte, pur non prendendo espressamente posizione sulla questione, tende a inquadrare tale causa di non punibilità quale scriminante speciale e autonoma e non come una species dello stato di necessità, con conseguente applicazione della medesima anche in caso di stato di pericolo volontariamente causato dall’agente e a ritenere che la tutela del diritto personale alla difesa (sia nel suo aspetto tecnico che in quello di valenza latamente esoprocedimentale) si presenti quale interesse soggettivo perfettamente comparabile e bilanciabile con quello dell’amministrazione della giustizia”.

dall’art. 384 non influisce sul disvalore oggettivo del fatto realizzato, che pure continua a rimanere antigiuridico.430

Alla ricostruzione della norma alla stregua di causa scusante, consegue – per parte della dottrina - l’attribuzione di rilevanza all’errore. Il soggetto agente andrà esente da pena se avrà agito rappresentandosi erroneamente la situazione descritta dall’art. 384431.

Il ricorso alla categoria dell’inesigibilità, tuttavia, non si traduce – per la prevalente dottrina - nel riconoscere alla stessa il rango di principio generale dell’ordinamento – tanto da essere ritenuta una scusante di carattere generale – del quale l’art. 384 costituirebbe una declinazione.432

Anche alcune pronunce della Corte di legittimità hanno aderito all’interpretazione c.d. soggettiva dell’art 384, ritenendo che tale orma contenga una causa di non punibilità “basata sul principio della inesigibilità di un comportamento diverso, come tale escludente la colpevolezza, a differenza dell'esimente di cui all'art. 54 c.p. avente natura di causa oggettiva di esclusione della antigiuridicità”433.

L’interpretazione oggettiva, al contrario, ritiene la fattispecie dell’art. 384 rientrante nella categoria delle cause di giustificazione.434 Il punto che ha attirato le maggiori critiche a questa impostazione è quello riguardante il rapporto dell’art. 384 – laddove si voglia interpretarlo in chiave oggettiva - e la causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54. Le due norme presentano senza dubbio forti similitudini. La questione sorge un particolar modo poiché, volendo ravvisare fra le due disposizioni un rapporto di genere a specie, non è chiaro se debbano ritenersi impliciti nell’art. 384 i requisiti – in esso mancanti – che sono invece espressamente previsti all’art. 54, con ciò – di fatto – restringendo la portata applicativa dell’art. 384.

430 PAGLIARO A., Principi di diritto penale. Parte speciale, vol. II, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, Milano, 2000, p. 134; ROMANO B., Giustificazione e scusa nella liberazione da particolari situazioni di necessità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 40; ID Cause di giustificazione, cause scusanti e cause di non punibilità in senso stretto, in Riv. it. dir proc. pen., 1990, p. 55; PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 867.

431 Così PAGLIARO A:, Principi di diritto penale. Parte speciale, vol. II, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, Milano, 2000, p. 135.

432 Per questa impostazione vedi ZANOTTI M., Nemo tenetur se detegere. Profili sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, cit. p. 178. Contra PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit. p. 868, PULITANO’ D., Nemo tenetur se detegere: Quali profili di diritto sostanziale?, cit., p. 1271.

433 Così Cass. pen., sez. I, 03 luglio 1980, Mastini, in Cass. pen. 1982, p. 463; in senso conforme Cass. pen., sez. VI, 25 ottobre 1989, Milioto, in Cass. pen. 1991, I, p. 2000: “La causa di non punibilità prevista dal comma 1 dell'art. 384 c.p. in relazione ai singoli delitti contro la pubblica amministrazione in esso considerati, postula, come condizione, che ne costituisce anche la ragione giustificatrice, uno stato di necessità, ossia una situazione che non sia determinata dal soggetto attivo, perché basata sul principio della inesigibilità di un comportamento diverso, come tale escludente la colpevolezza (a differenza dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p. che ha natura di causa oggettiva di esclusione della antigiuridicità).”

Tale è la posizione di una parte della giurisprudenza, che ritiene implicitamente richiamati i requisiti dell’art. 54, proprio in forza dell’asserito rapporto di specialità fra le due norme: la non volontaria causazione della situazione di pericolo e la necessaria proporzione fra i beni in bilanciamento435. Va segnalato, tuttavia, che in altre occasioni la Corte si è espressa diversamente, non ritenendo doversi applicare i requisiti di cui all’art. 54 anche all’art. 384, giacché la fattispecie delineata da quest’ultimo, pur ritenendola una causa di giustificazione, proprio in forza della sua specialità rispetto allo stato di necessità, non richiederebbe la presenza di tutti i requisiti da esso previsti.436

Come rilevato in letteratura, la qualificazione della norma in parola alla stregua di scriminante – e come tale in rapporto di specialità con l’art. 54 - è espressamente riportata nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale437.

Le critiche all’interpretazione oggettiva si fondano sull’assunto per cui non può ravvisarsi un rapporto di specialità fra l’art. 384 e l’art. 54, poiché l’art. 384 non fa cenno agli elementi della non volontaria causazione della situazione di pericolo, della proporzione tra i beni in conflitto e dell’ingiustizia del nocumento. Secondo questa prospettiva sostenendo l’esistenza di questo rapporto di genere a specie fra le due norme “sembra si voglia semplicemente indicare che l’art. 54 detta i principi generali applicabili a ogni situazione necessitante e ciò al fine di giustificare una inaccettabile applicazione analogica in malam partem dell’art. 54”438.

V’è, tuttavia, una terza via, che prospetta la ricostruzione della necessità di salvamento quale causa di giustificazione, pur negando la sussistenza del rapporto di specialità con l’art. 54. Secondo questa impostazione “è preferibile ritenere che ci si trova di fronte alla presenza di una scriminante solo genericamente (per la formula “necessità di salvare”) riconducibile all’art. 54, con il quale non è in rapporto di specialità; pertanto, per

435 Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 1991, Oggianu, in Cass. pen., 1992, p. 1809: “L'esimente di cui all'art. 384 c.p., se ritenuta sussistente, elimina dal fatto il carattere dell'antigiuridicità. Sicché, ove quel fatto fosse presupposto per la realizzazione di un evento diverso non voluto, per tale evento l'autore del fatto non sarà responsabile a meno che non abbia colposamente ecceduto nella scriminante ex art. 55 c.p.”

436 Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 1982, Tomba, in Cass. pen., 1984, p. 875: “La norma contenuta nell'art. 384 c.p. trova la sua ragione d'essere nel principio etico giuridico nemo tenetur se accusare e nel riconoscimento della forza incoercibile degli affetti familiari; essa, in sostanza, prevede un'ipotesi speciale dello stato di necessità regolata con norma che deroga a quella generale dell'art. 54 c.p. perché, diversamente da quella stabilita in tale articolo, è applicabile anche se il pericolo sia stato volontariamente causato dal soggetto passivo e possa essere altrimenti evitato”.

437 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit. p. 871.

una sua compiuta classificazione, occorrerà fare riferimento agli elementi negativi del fatto di reato”.439

A ogni buon conto, ritornando all’impostazione che ritiene sussistente il rapporto di specialità, questa non sembra potersi ritenere condivisibile. Oltre alle inaccettabili conseguenze interpretative cui perviene una simile interpretazione, essa si espone a un’ulteriore critica, connessa alla dubbia natura giuridica della causa di non punibilità di cui all’art. 54 c.p. La questione della sussistenza – o meno – del descritto rapporto di specialità fra le due norme non sembra avere, infatti, efficacia dirimente. È, infatti, stato rilevato che lo stato di necessità “può articolarsi in modi assai differenti fra loro, o conferendo rilievo all’autoconservazione (e strutturandosi così come scusante che incide solo sul profilo della colpevolezza), ovvero puntando sulla comparazione obiettiva degli interessi in conflitto (ed assumendo di conseguenza la precisa conformazione della causa di giustificazione)440.

E, infatti, gli stessi argomenti posti in letteratura a sostegno della natura scriminante dello stato di necessità, portano a concludere per la totale estraneità della logica sottesa all’art. 54, rispetto a quella dell’art. 384. Fra questi, quello più difficilmente superabile è connesso al fatto che il soccorso di necessità sia ammissibile anche quando provenga da un terzo soggetto, “il che travolge la prospettiva individualistica dell’istinto di conservazione e della inesigibilità di un comportamento diverso”.441

Può dunque concludersi che debba ritenersi preferibile accogliere l’interpretazione dell’art. 384 in chiave di causa di esclusione della colpevolezza, poiché espressione del principio di inesigibilità del comportamento conforme al diritto.

Ciò, in primo luogo perché il contenuto della norma si riferisce a situazioni di natura psicologica tali “che solo in virtù di quelle può considerare soccombente l’interesse pubblico, in astratto non suscettibile di un giudizio di comparazione con quello afferente all’impunità propria o di prossimi congiunti. La logica ispiratrice dell’esimente non potrebbe essere più distante da quella del bilanciamento obiettivo degli interessi, o della mancanza di danno sociale”442.

Ed è proprio questo il motivo per il quale è nata la prassi applicativa favorevole alla tesi dell’implicito richiamo di requisiti di fatto non menzionati nella norma: l’impunità

439 ROMANO B., Delitti contro l’amministrazione della giustizia, V ed., Padova, 2013, p. 114, che però ritiene l’art. 384 una scriminante.

440 ZANOTTI M., Nemo tenetur se detegere, profili sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 183.

441 ZANOTTI M., Nemo tenetur se detegere, profili sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 184.

garantita dall’esimente è percepita "come intrinsecamente dannosa per i superiori interessi della Giustizia”443

La scelta politico criminale di attribuire una portata così ampia a questa causa di non punibilità è stata, infatti, criticata anche in letteratura sotto il profilo dell’opportunità: è stato infatti rilevato da parte della dottrina che la tutela del bene oggetto della norma in esame non vale il sacrificio del pubblico interesse alla corretta amministrazione della giustizia. Senza contare le ricadute di natura pratica in termini di tacita accettazione della condotta mendace e di svalutazione del valore probatorio delle dichiarazioni dei soggetti richiamati dalla norma444.