LA RICERCA DELLA VERITA’. PROFILI SOSTANZIALI
5.2. Il naturale ambito di applicazione della ritrattazione: la condotta dichiarativa, interpretazione correttiva
L’introduzione del nuovo codice di procedura penale e la riforma dei reati contro l’amministrazione della giustizia hanno riportato a galla i dubbi sulla ragionevolezza della disciplina della ritrattazione. Irragionevolezza che, dopo l’introduzione dell’art. 371 bis, sembrava essere ancor più evidente187. In giurisprudenza, tuttavia, si diffuse la prassi di
184 Corte Cost. 228/1982, cit.
185 Corte Cost., 28 gennaio 1983, ord. n.50, in Giur cost., 1983, I, p.211.
186 BOTTALICO F., La ritrattazione. Struttura e funzione fra diritto penale e processo, cit., p. 160.
187 Poiché, come nota AMARELLI G., La ritrattazione e la ricerca della verità, cit., p. 160 la nuova fattispecie prevista da reato di false informazioni al pubblico ministero “aveva indirettamente offerto ai sostenitori della palese irragionevolezza dell’esclusione dall’art 376 c.p. delle ipotesi di favoreggiamento-mendacio, in luogo dell’art 372 c.p., un nuovo tertium comparationis, che faceva apparire ancor più infondata la scelta legislativa”.
ricondurre tutte le condotte di false dichiarazioni alla polizia giudiziaria alla fattispecie del favoreggiamento personale, sia nel caso in cui la polizia giudiziaria stesse procedendo di propria iniziativa all’assunzione di sommarie informazioni, sia nell’ipotesi in cui stesse agendo su delega del pubblico ministero, come previsto dall’art. 370 c.p.p.
Tale prassi era, inoltre, motivata sulla scorta di due ordini di motivazioni. L’una richiamava il tenore letterale dell’art. 371 bis, che si riferisce unicamente alle informazioni mendaci rese al pubblico ministero e non anche a quelle rese alla polizia giudiziaria. A conferma di ciò si rilevava come il legislatore, in sede di conversione del d.l. 306/1992 (con cui è stato introdotto il reato di false informazioni al pubblico ministero) avesse inequivocabilmente voluto restringere tale fattispecie alle sole informazioni rese al pubblico ministero, eliminando dalla norma il riferimento alla polizia giudiziaria188.
D’altra parte veniva in rilievo un altro tipo di considerazione: l’equiparazione, operata dalla disciplina processuale, degli atti compiuti dal pubblico ministero a quelli compiuta dalla polizia giudiziaria su delega di quest’ultimo non doveva avere alcun effetto sugli istituti di diritto sostanziale, essendo le norme penali sostanziali informate al principio di tassatività e quindi al divieto di analogia. Divieto che sarebbe stato violato dall’estensione analogica delle fattispecie sussumibili nell’art. 371 bis, anche se si fosse trattato, di fatto, di analogia in bonam partem, poiché finalizzata all’estensione interpretativa di una norma favorevole al reo189.
Parte della dottrina eccepiva a questo argomentare che, per sussumere le condotte di mendacio alla polizia giudiziaria non fosse necessario ricorrere all’interpretazione analogica. Si trattava, infatti, secondo la dottrina d’interpretazione estensiva: l’art. 371 bis, infatti, si riferisce alle dichiarazioni rese “su richiesta” del pubblico ministero, non “davanti” al pubblico ministero, di fatto non escludendo che la raccolta di tali informazioni potesse essere effettuata da un organo delegato190. Ebbene, gli argomenti normativi sembrano non lasciare spazio a un’interpretazione di questo tipo. Invero la questione è mal posta: trattasi infatti di capire se sia irragionevole la scelta del legislatore di escludere
188 Così MOCCIA S. - SCHIAFFO F., voce False informazioni al pubblico ministero, cit., p. 1.
189 Si veda in argomento RANZATTO F., Estesa la ritrattazione al favoreggiamento-mendacio, cit., p. 982.
190 Contra PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 713: tale interpretazione è ostacolata da una serie di elementi normativi, quali “il tenore letterale della locuzione “Richiesto dal pubblico ministero”, la rubrica dell’articolo (“false informazioni al pubblico ministero”), l’intenzione del legislatore, quale emerge dalla modifica della norma in sede di conversione del d.l. n. 306/1992 con l’eliminazione nella rubrica e nel testo dell’articolo del riferimento alla “polizia giudiziaria”, ed infine l’inidoneità dell’istituto della delega –in questo caso del pubblico ministero alla polizia giudiziaria- a conferire al delegato la qualifica soggettiva del delegante”.
dall’ambito di operatività della ritrattazione le false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, non di qualificare queste alla stregua di condotte rilevanti ex 371 bis. Questa potrebbe essere una strada percorribile per giungere all’applicazione dell’art. 376 a questo tipo di condotte ma, oltre a risultare piuttosto contorta, appare inevitabilmente contraria alla lettera della legge e al divieto di applicazione analogica, vigente per le norme incriminatrici e per le norme di carattere eccezionale.
Questo è il contesto in cui si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n. 101/1999191, che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art 376 primo comma del codice penale, nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero a norma dell’art 370 c.p.p. di fornire informazioni ai fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in tutto o in parte reticenti”.
Nella parte motiva della sentenza la Corte muove dal presupposto che “secondo l’orientamento della giurisprudenza, le false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che opera su delega del pubblico ministero, ancorché penalmente illecite, cadono, in ragione del principio di stretta legalità fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 371 bis c.p.”192. Per questo motivo la giurisprudenza ritiene che “il silenzio, la reticenza e le dichiarazioni false alla polizia giudiziaria possano integrare –quando ne ricorrano gli elementi della fattispecie- il reato di favoreggiamento personale previsto dall’art. 378 c.p.”193.
Di qui la questione “se sia conforme al principio di eguaglianza, come espressione dell’esigenza di razionalità delle scelte legislative, l’esclusione della causa di non punibilità della ritrattazione nel caso delle false dichiarazioni alla polizia giudiziaria specificamente delegata dal pubblico ministero (integranti fattispecie dell’art 378 c.p.), mentre tale causa di non punibilità vale nel caso delle false dichiarazioni rese al pubblico ministero stesso”194.
La Corte ha ritenuto che la disciplina così risultante fosse irragionevole, poiché: “l’assunzione diretta e personale da parte del pubblico ministero (art. 370, comma 1 primo
191 Corte Cost., 30 marzo 1999, n. 101, in Dir. pen. proc. 1999, p.982, con nota di RANZATTO F., Estesa la ritarattzione al favoreggiamento-mendacio, cit., p. 983. Sull’argomento si vedano anche: BELLUTA H., Operatività della ritrattazione per talune specie di favoreggiamento, cit., p. 772; GULLO A., Il favoreggiamento personale tra tendenze repressive e nuove esigenze di tutela, cit., p. 3345; MARCONI G., La corte Costituzionale estende i margini di applicabilità della ritrattazione, in Giur. cost., 1999, p.2332; SANTORIELLO C., I rapporti fra favoreggiamento personale e ritrattazione in una (parziale) sentenza di illegittimità costituzionale dell’art 376 c.p., cit., p.928.
192 Corte cost. 101/1999, cit.
193 Corte cost. 101/1999, cit.
periodo c.p.p.) di informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 c.p.p.) e l’assunzione delle medesime informazioni, avvalendosi della polizia giudiziaria a ciò delegata (art. 370, comma 1 secondo periodo c.p.p.), costituiscono esclusivamente forme diverse della medesima attività, facente sostanzialmente capo comunque al pubblico ministero nell’esercizio dei poteri che ad esso spettano, quale organo che dirige le indagini preliminari all’esercizio dell’azione penale (artt. 326 e 327 c.p.p.). E’ così che da un lato in generale si giustifica l’art. 370, comma 2 c.p.p., il quale per lo svolgimento dell’attività e il compimento degli atti delegati alla polizia giudiziaria rinvia alle forme di garanzia procedurale e alle regole di documentazione previste per le indagini svolte direttamente dal pubblico ministero; e dall’altro si spiega la necessaria equivalenza, quanto a utilizzabilità nel seguito del processo, degli atti diretti e di quelli delegati. Di fronte a tale convergenza di disciplina, corrispondente a un’unitarietà di ratio che sorregge le norme relative alle attività di indagine e alla loro valenza processuale, quale che sia l’autorità che procede ad assumere le informazioni –il pubblico ministero o la polizia giudiziaria su delega di questo -, la diversità di trattamento che la norma impugnata introduce, circa gli effetti della ritrattazione nel’un caso e nell’altro, appare priva di ogni ragionevole giustificazione e quindi sicuramente arbitraria”195.
Le conseguenze che derivano da questa decisione appaiono per un certo verso condivisibili, quantomeno secondo il comune senso di equità. Tuttavia, dal punto di vista strettamente giuridico, le argomentazioni addotte dalla Corte non sembrano essere del tutto convincenti e prestano il fianco ad alcune critiche.
In primo luogo, il fatto che il percorso argomentativo prenda le mosse dalla presa d’atto di una distorta prassi giurisprudenziale non sembra rispondere ad un corretto approccio metodologico della questione. Ebbene tale orientamento, oltretutto non univoco, non avrebbe dovuto essere acquisito dalla Corte quale premessa certa. Avrebbe dovuto essere, piuttosto, sottoposto a un vaglio in termini coerenza con i principi del diritto penale. Il contenuto del concetto di aiuto richiamato dall’art. 378 c.p., infatti, non sembra possa essere facilmente ricondotto a tutte le condotte di mendacio alla polizia giudiziaria, alle dichiarazioni reticenti e a quelle in forma omissiva. Almeno non senza che possa sorgere qualche dubbio in termini di determinatezza/tassatività al riguardo. La Corte avrebbe dovuto quindi domandarsi se tali condotte fossero sempre penalmente rilevanti o se non
potessero rientrare “nelle lacune originarie di tutela che fisiologicamente esistono, in forza del principio di frammentarietà, in ogni settore disciplinare del diritto penale”196. Bene avrebbe fatto la Corte a chiarire se le condotte in parola sono sempre riconducibili al reato di cui all’art 378 c.p. e, se lo sono, in che termini.197
La Consulta, inoltre, afferma che “tuttavia, ai fini della risoluzione della presente questione di legittimità costituzionale, non è necessario procedere a un raffronto tra i reati previsti negli articoli anzidetti, per trovarvi elementi comuni o elementi differenziali che inducano a prendere posizione circa la razionalità della disposizione impugnata che prevede la ritrattazione come causa di non punibilità solo in un caso e non nell’altro”198. In altri termini, non è affrontato il tema principale della questione, cioè il raffronto della fattispecie esclusa dall’elenco di cui all’art. 376 con quella più simile a essa che, invece, vi rientra. Se questo avesse condotto al riconoscimento della stessa oggettività giuridica delle due fattispecie, il passaggio successivo avrebbe potuto essere solo e unicamente quello di ritenere illegittimo l’art. 376 nella parte in cui non ricomprende anche l’art. 378 c.p. tout
court.199
Alla base delle motivazioni della sentenza in parola ci sono argomentazioni di carattere unicamente processuale. È, infatti, sulla base di argomentazioni processuali che la Corte equipara le condotte di false informazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, cosa che, allora, dovrebbe riportare alla questione riguardante la possibile riconducibilità delle condotte all’art. 371 bis. In altri termini se tali condotte sono strutturalmente identiche, non si coglie il motivo per cui non dovrebbero essere equiparate anche ai sensi del reato di false informazioni al pubblico ministero.200
Volendo poi confrontare la decisione in esame con la 228/1982, prima esaminata, risulta che gli argomenti da quest’ultima addotti (l’eterogeneità dei beni tutelati e la differenza cronologica dei due comportamenti) per affermare la ragionevolezza dell’esclusione del reato di favoreggiamento dall’art. 376 c.p., vengono meno in seguito all’introduzione dell’art. 371 bis. C’è, infatti, chi ha sostenuto che, seguendo questo percorso argomentativo, la Consulta avrebbe potuto estendere la disciplina dell’art. 376 al reato di favoreggiamento personale “a prescindere da ogni distinzione di attività delegate o
196 AMARELLI G., La ritrattazione e la ricerca della verità, cit., p. 113.
197 Così AMARELLI G., La ritrattazione e la ricerca della verità, cit.; GULLO A., Il favoreggiamento personale tra tendenze repressive e nuove esigenze di tutela, cit., p. 3345.
198 Corte cost. 101/1999, cit.
199 AMARELLI G., La ritrattazione e la ricerca della verità, cit., p. 113; GULLO A., Il favoreggiamento personale tra tendenze repressive e nuove esigenze di tutela, cit. p. 3345
non delegate dalla polizia giudiziaria, dal momento che entrambe le fattispecie dell’art. 371 bis c.p. e dell’art. 378 c.p. sono poste a presidio del corretto svolgimento dell’attività investigativa, concernono la stessa fase del procedimento penale e, avendo la medesima cornice edittale, risultano espressive dello stesso identico grado di disvalore sociale”.201
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte presuppone, in effetti, che i reati di false dichiarazioni al pubblico ministero e di favoreggiamento personale siano connotati dalla medesima oggettività giuridica, solo su questo presupposto si può riconoscere come irrazionale una diversificazione nella disciplina di queste fattispecie202. Non molto tempo dopo, infatti, la Corte fu nuovamente sollecitata sul punto. Venne, infatti, sollevata nuovamente questione di legittimità costituzionale dell’art. 376, comma 1, nella parte in cui non prevedeva la ritrattabilità del favoreggiamento commesso tramite dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non operante su delega del pubblico ministero203.
La Corte ha rigettato la questione204, ritenendola infondata. Le attività di assunzione d’informazioni da parte della polizia giudiziaria, in via autonoma, e del pubblico ministero, o della polizia giudiziaria da questi delegata, sono, secondo la consulta, da ritenersi differenti. Infatti, “alla diversità soggettiva corrisponde, se non una diversa disciplina delle forme, dell’utilizzabilità e degli obblighi dei dichiaranti, una normale diversità di cadenza temporale, le informazioni assunte dalla polizia giudiziaria riguardano di solito il momento iniziale delle indagini, a contatto immediato con i fatti o con la descrizione dei fatti da cui origineranno le indagini preliminari e poi, eventualmente l’esercizio dell’azione penale”205. Gli interessi protetti che vengono in gioco sono, secondo la Corte, differenti, di qui la ragionevolezza della differenziazione. E dunque, “la ritrattazione, quale prevista dal
201 AMARELLI G., La ritrattazione e la ricerca della verità, cit., p. 115.
202 Da questo punto di vista la sentenza in esame è perfettamente in linea con la precedente decisione 27 dicembre 1996, n 416, cui venne dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 384, comma 2 c.p. “nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per le false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle a norma dell’art. 199 c.p.p.”. Ciò riconoscendo l’identità delle condotte materiali che possono integrare le due fattispecie delittuose e la “omogeneità del bene protetto, non necessariamente identico, ma in ogni caso consistente nella funzionalità di ciascuna fase rispetto agli scopo propri, nei quali le esigenze investigative (massime all’inizio della prima fase del procedimento) e quelle della ricerca della verità (massime alla fine del processo) si sommano intrinsecamente, cosicché gli artt. 378, 371 bis 372 c.p. finiscono in pratica per presidiare ciascuno una fase distinta del procedimento e del processo”.
203 La Cassazione continuava a ritenere che le condotte meramente omissive di reticenza davanti alla polizia giudiziaria integrassero sempre il reato di favoreggiamento personale. Si veda Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, p. 570 con nota di CURSANO R., Applicabilità della ritrattazione al favoreggiamento personale mediante dichiarazioni reticenti alla polizia giudiziaria, in Giur. it., 2000, p. 570.
204 Corte cost, 9 ottobre 2000, n. 424, in Giur cost, 2000, p.1815. Per un commento alla decisione si veda RANZATTO F. Non ritrattabili le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non delegata dal P.M., cit., p. 1608.
vigente codice penale, è, infatti, finalizzata primariamente a dare soddisfazione all’interesse alla definizione del giudizio penale (nel caso dell’art 372 c.p.) o all’esercizio dell’azione penale (nel caso dell’art. 371 bis c.p.) fondati su elementi probatori veridici. Nella ipotesi in cui il mendacio si realizzi tramite dichiarazione alla polizia giudiziaria che agisce di sua iniziativa, presumibilmente nella fase iniziale delle indagini, aiutando l’autore del reato a eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa, ciò che costituisce l’elemento materiale del reato di favoreggiamento, la sanzione penale mira primariamente ad assicurare il massimo di efficacia delle indagini e tempestività delle loro conclusioni, obiettivo irrimediabilmente compromesso dalla falsità delle dichiarazioni e non più realizzabile, nemmeno con postume ritrattazioni. Onde, in tal caso, la ritrattazione non conseguirebbe lo scopo, ciò che mostra, sotto questo profilo, l’esistenza di un elemento differenziatore tra il mendacio (a qualunque titolo eventualmente penalmente rilevante) realizzato di fronte alla polizia giudiziaria operante di sua iniziativa, da un lato, ovvero di fronte alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero o davanti al pubblico ministero stesso, dall’altro: elemento differenziatore che rende non manifestamente irrazionale la diversa disciplina della ritrattazione dettata nei casi considerati”206.
A ben vedere, la Corte non porta fino alle estreme conseguenze le argomentazioni esposte nella sentenza 101/1999. L’incongruenza che sembra caratterizzare le decisioni considerate si spiega con il polimorfismo che caratterizza l’atto di assunzione d’informazioni da parte della polizia giudiziaria: attività che, di fatto, può svolgere molteplici funzioni, spesso molto diverse fra loro. Per questo motivo la ragione giustificatrice della ritrattazione non sempre può realizzarsi se applicata a queste condotte, poiché potrebbe non essere idonea ad annullare gli effetti della dichiarazione mendace.207
La ritrattazione, dunque, ha un senso solo se intervenga a ripristinare la verità rispetto a dichiarazioni alla polizia giudiziaria che “vengano in considerazione nella loro dimensione in senso lato probatoria, in ordine alla ricostruzione di un fatto o alla responsabilità dell’indagato”208. Si pensi al soggetto che fornisca all’indagato un falso alibi: la successiva ritrattazione sarà idonea a rimuovere gli effetti della falsità. Cosa che
206 Corte cost. 424/2000, cit.
207 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 760.
non potrà avvenire laddove il mendacio abbia avuto l’effetto di rendere possibile la fuga dell’indagato; tale pregiudizio non potrà essere rimosso dalla successiva ritrattazione.209
La Corte ha individuato l’elemento discriminante nella delega del pubblico ministero. In altri termini: all’interno della species false dichiarazioni alla polizia giudiziaria, laddove tale delega sussista la ritrattazione è da considerarsi idonea alla rimozione della lesione del bene giuridico, laddove invece non sussista, non è configurabile un’efficace ritrattazione. Non che questo sia un criterio soddisfacente, poiché “l’assenza di una delega da parte del pubblico ministero non è di per sé indicativa di uno specifico oggetto dell’attività di indagine della polizia giudiziaria ed in particolare dell’assenza di quella dimensione probatoria della dichiarazioni acquisite, che costituisce il presupposto per una ritrattazione idonea allo scopo”210. Ciò è tanto più vero se si considera la tendenza del legislatore ad ampliare il novero delle ipotesi in cui la polizia giudiziaria agisce autonomamente211.
Tuttavia, se è da accogliersi la ricostruzione della Corte, che accosta e sovrappone l’oggettività giuridica del reato di false informazioni al pubblico ministero con quello del favoreggiamento personale realizzato mediante mendacio alla polizia giudiziaria, la ritrattazione potrà essere limitata nella sua operatività solo sulla base di un criterio ben preciso. Criterio che, a ben vedere, può essere costituito solo dall’idoneità della manifestazione del vero a rimuovere gli effetti pregiudizievole del mendacio212.
Dal quadro finora delineato emerge un dato incontrovertibile: non è possibile arrivare a risultati soddisfacenti senza un intervento che modifichi la disciplina di reati contro l’amministrazione della giustizia213. Il tentativo di far funzionare istituti pensati per
209 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 761.
210 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 761.
211 Si pensi all’art. 11, comma 1 d. lgs. 28 agosto 2000, n.274, riguardante i reati di competenza del giudice di pace, che dispone: “Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione del fatto e per l’individuazione del colpevole e ne riferisce al pubblico ministero, con relazione scritta, entro il termine di quattro mesi. Si pensi anche alle modifiche apportate dalla l. 26 marzo 2001, n. 128 agli artt. 327 e 348, comma 3 c.p. L’attuale testo dell’art. 327 c.p. dispone che “Il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli”. L’art 348, comma 3, nella nuova formulazione, prevede che: “Dopo l’intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell’articolo 370, esegue le direttive del pubblico ministero ed inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova”.
212 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 762.
213 Così la maggior parte della dottrina. Si citano, per tutti, MARCONI G., La corte Costituzionale estende i margini di applicabilità della ritrattazione, cit., p. 2332, e SANTORIELLO C., I rapporti fra favoreggiamento personale e ritrattazione in una (parziale) sentenza di illegittimità costituzionale dell’art 376 c.p., cit., p. 928.
un sistema che non è più attuale, ma soprattutto il tentativo di applicare questi istituti a fattispecie di nuovo conio, che sono espressione dei nuovi modelli di recente introduzione, non è destinato ad andare a buon fine. Sarebbe auspicabile un intervento legislativo che