LA RICERCA DELLA VERITA’. PROFILI SOSTANZIALI
1. Il bene giuridico tutelato dai reati contro l’amministrazione della giustizia
3.1. False informazioni al pubblico ministero
L’introduzione dell’art 371 bis120 (False informazioni al pubblico ministero) nel codice penale è stata realizzata, in occasione di un intervento legislativo di natura tipicamente emergenziale, dall’art 11 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al
nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa).
Il testo originario121 della norma prevedeva un unico comma e puniva con la reclusione da uno a cinque anni chiunque rendesse false o reticenti dichiarazioni al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria. Il riferimento alle informazioni rese alla polizia giudiziaria fu eliminato dal testo della norma in sede di conversione del d.l., limitando l’operatività della fattispecie alle sole dichiarazioni rese al pubblico ministero.
Il secondo comma fu introdotto dall’art 25 l. 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al
codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), con cui il legislatore ha ridotto il massimo edittale della
120 Si veda in argomento: ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, cit., p. 475; CORVI P., Informazioni false o reticenti nel corso delle indagini preliminari in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 131; DE PASQUALE E, voce False informazioni al pubblico ministero, in Dig. disc. pen., Torino, agg. 2000, p. 280.; FIANDACA G. - MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 375; INSOLERA G., I delitti di false dichiarazioni al pubblico ministero e al difensore. Alla ricerca del bene giuridico tutelato, cit., p. 1037; PAGLIARO A., Principi di diritto penale. Parte speciale, vol. II, cit., p. 112; PIFFER G., I delitti contro ‘amministrazione della giustizia, cit., p. 364; ROMANO B., Delitti contro l’amministrazione della giustizia, V ed., Padova, 2013, p. 114; SEVERINI, I delitti di false dichiarazioni nel processo penale, cit. p. 124; D’AMBROSIO V., Commento all’art. 371 bis c.p., in Codice penale, a cura di PADOVANI T., Tomo I (artt. 1-413), VI Ed., Milano, 2014, p. 2308; PIFFER G., Commento all’art. 371 bis c.p., in Codice penale commentato, diretto da DOLCINI E. – GATTA G. L., Tomo II, IV Ed., Milano, 2015, p. 1185
121 La norma nella sua versione originaria era così formulata: “(False informazioni al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria). Chiunque nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
pena da cinque a quattro anni e ha introdotto un’ipotesi di sospensione ex lege del procedimento122.
L’intervento legislativo, emanato in seguito alle stragi di Palermo, fu adottato in risposta a gravissimi attentati posti in essere da pericolose organizzazioni criminali. Tuttavia, la stessa dottrina da qualche tempo auspicava un adeguamento della disciplina riguardante i reati contro l’amministrazione della giustizia, in conformità con nuovo codice di rito emanato nel 1988.
Una parte della dottrina, infatti, accolse con favore l’introduzione di questa fattispecie di reato, poiché con essa veniva a colmarsi la lacuna dovuta all’impossibilità di applicare l’art. 372 alla persona informata sui fatti che, sentita dal pubblico ministero, avesse reso dichiarazioni mendaci. In seguito all’entrata in vigore della nuova disciplina processuale, il soggetto sentito durante le indagini preliminari non era più qualificabile come testimone. Tuttavia, si diceva, l’obbligo di rispondere secondo verità doveva ritenersi sussistente sia in capo alla persona informata sui fatti sentita dal pubblico ministero, sia al testimone sentito dal giudice. Si riteneva, inoltre, che tale vuoto normativo non potesse essere colmato dalla possibilità di applicare a queste ipotesi il reato di favoreggiamento personale123.
La dottrina prevalente, tuttavia, criticò l’introduzione della norma, poiché disattendeva ai principi del modello accusatorio, accolti dal nuovo codice di rito124. La norma, così formulata, frustrava il principio della formazione della prova in dibattimento, creando uno sbilanciamento degli equilibri processuali in materia probatoria a tutto vantaggio della fase delle indagini preliminari e a discapito di quella dibattimentale. La presenza dell’art. 371 bis “favoriva inoltre la tendenza alla cristallizzazione delle indagini preliminari ad opera del pubblico ministero, risolvendosi in uno strumento di coazione
122 Il testo del comma introdotto dispone, con involuta sintassi e un sicuramente eccessivo numero di preposizioni, che: “Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere”.
123 Si citano per tutti ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, cit., p. 475; FIANDACA G. - MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 376; PAGLIARO A., Principi di diritto penale. Parte speciale, vol. II, cit., p. 111, che rileva come “l’inserimento si è reso necessario, perché, a seguito dell’introduzione del nuovo codice di procedura penale, le false dichiarazioni rese al pubblico ministero non potevano più essere considerate testimonianze in senso tecnico. Pertanto, non erano più applicabili loro le disposizioni penali sula falsa testimonianza. D’altra parte, rimaneva l’esigenza di evitare già alla radice –cioè in sede di indagini preliminari- ogni possibile fonte degli errori giudiziari che potessero essere cagionati dalle informazioni false fornite al p.m. Né è scaturita così la nuova norma, la quale ha appunto lo scopo di colmare tale lacuna”.
psicologica sul dichiarante da parte del pubblico ministero”125. Il che appariva stridente rispetto alla nuova disciplina processuale, stante la scelta operata dal legislatore del 1988 di espungere dal codice di procedura penale gli istituti dell’arresto monitorio e dell’arresto in flagranza del testimone. Scelta che trovava la sua motivazione proprio nella finalità di ridurre al minimo lo spazio potenzialmente utilizzabile da parte del pubblico ministero per l’esercizio di pressioni psicologiche. Non solo: tale scelta rispondeva all’obiettivo di rendere il dibattimento il luogo principe di formazione e valutazione della prova.126
Questa novella provocò aspre critiche da parte di chi auspicava una rivisitazione della disciplina processuale, troppo sbilanciata nell’attribuzione di facoltà e strumenti a ciascuna delle parti processuali. Era necessaria una limitazione dei poteri del pubblico ministero, così da rendere effettivo il principio della parità tra le parti del processo. Il che, in altri termini, costituiva il rovesciamento delle finalità che avevano ispirato l’intervento del 1992.
Si rese così necessario, dopo soli tre anni, un intervento legislativo che, in qualche modo “aggiustasse il tiro”: la legge 332/1995 modificò l’art. 371 bis, diminuendo il massimo edittale della pena prevista dalla norma e introducendo una causa di sospensione del procedimento “all’evidente fine di attenuare il possibile effetto di coazione psicologica del dichiarante”127.
La stessa legge, inoltre, modificò l’art. 381 c.p.p., al fine di sancire espressamente il divieto di procedere all’arresto in flagranza per il reato di false informazioni al pubblico ministero. Ciò al fine di porre rimedio alla discutibile prassi giudiziaria di applicare l’arresto ai casi previsti dall’art. 371 bis, in base alla mancanza di un esplicito divieto normativo, quale quello previsto dall’art. 476, comma secondo c.p.p. (norma che stabilisce il divieto di arresto del testimone in udienza).
La legge 306/1992 modificò anche l’art. 376, inserendo fra le fattispecie ritrattabili il reato di false informazioni al pubblico ministero. Tale scelta legislativa appare sicuramente ineccepibile in termini di ragionevolezza, stante la forte similitudine della fattispecie introdotta con quella prevista all’art. 372. Tuttavia, come è stato giustamente notato da attenta dottrina, “gli effetti sostanziali della ritrattazione previsti in favore del dichiarante ascoltato in corso di indagini, pur se di potenziale indubbia utilità nel favorire l’accertamento di una verità inizialmente negata, possono dar luogo al rinnovarsi di
125 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 366.
126 PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 367.
perplessità in ordine a un istituto che, garantendo l’impunità a colui che modifichi la propria versione dei fatti in momenti successivi del procedimento, offre il destro a strumentalizzazioni della conoscenza poco compatibili con l’importanza degli obblighi imposti a coloro che sono chiamati a collaborare con la giustizia.”128.
È stata, inoltre, discutibile la scelta di non differenziare il termine di efficacia della ritrattazione rispetto a quello previsto dagli artt. 372 e 373. L’individuazione del termine ultimo nel momento della chiusura del dibattimento è, infatti, consono rispetto ai reati (come la falsa testimonianza e la falsa perizia o interpretazione) eventualmente commessi nel corso di quella stessa fase processuale. Non è invece conforme alla ratio della ritrattazione prevedere lo stesso termine per il reato di false informazioni al pubblico ministero, poiché in quel momento la lesione della genuinità del patrimonio investigativo non sembra più rimediabile. Meglio sarebbe stato prevedere un termine diverso, anticipandolo al momento della chiusura delle indagini preliminari, cioè al momento conclusivo della fase procedimentale in cui le dichiarazioni sono state raccolte e utilizzate. Il che avrebbe anche permesso di porre l’accento riguardo all’auspicata autonomia delle due fasi (anche se, di fatto, frustrata da numerosi interventi legislativi), garantendo una tutela penale a entrambe i momenti processuali, ma senza confondere il momento delle indagini da quello della formazione della prova.129
L’estensione della ritrattazione all’art. 371 bis ha inoltre sortito l’effetto di alimentare ulteriormente i dubbi riguardo al suo ambito di operatività. In particolare, nonostante la norma abbia esteso la disciplina dell’art. 376 unicamente alle false dichiarazioni rese al pubblico ministero, proprio questo fatto ha fomentato le perplessità riguardo alla ritrattabilità anche delle informazioni rese alla polizia giudiziaria. Dubbi di questo genere erano già emersi in dottrina con riferimento alle ipotesi del c.d. favoreggiamento-mendacio, tuttavia l’argomento letterale sembrava non lasciare spazio a interpretazioni. Se, infatti, il legislatore avesse voluto prevedere la non punibilità in conseguenza della resipiscenza rispetto a condotte di falsità processuali non espressamente indicate all’art. 376, l’avrebbe fatto specificandolo all’interno della singola norma
128 DE PASQUALE E., voce False informazioni al pubblico ministero, cit., p. 280.
129 Così DE PASQUALE E., voce False informazioni al pubblico ministero, cit., p. 280 e PIFFER G., I delitti contro l‘amministrazione della giustizia, cit., p. 368, che, sotto altro profilo rileva anche come “La tecnica modificativa adottata non abbia tenuto conto del peculiare profilo rappresentato dall’utilità di una anticipata ritrattazione delle dichiarazioni rese in corso di indagini alla luce della possibilità di ricorso ai riti alternativi in fase anteriore al dibattimento e del conseguente uso diretto i fini della definizione del processo degli atti contenuti nel fascicolo del P.M.”. Situazione che, come si è detto supra, ha portato al ricorso all’interpretazione analogica al fine di ritenere applicabile anche ai riti premiali la fattispecie della ritrattazione.
incriminatrice. Prova di ciò è la circostanza che, laddove il legislatore abbia scelto di farlo, lo ha fatto proprio in questo modo, si pensi a titolo esemplificativo, all’art. 371 c.p130.
Nonostante il tenore delle norme fosse chiaro e univoco, la stessa giurisprudenza aveva più volte rilevato l’identità di ratio e struttura fra l’art. 372 e l’art. 378, tutte le volte che fosse commesso tramite false dichiarazioni alla polizia giudiziaria. Sulla scorta di queste argomentazioni, molti tribunali avevano sollevato questione d’illegittimità costituzionale.
È anche vero, tuttavia, che l’entrata in vigore del nuovo codice di rito, che ha portato un mutamento strutturale quale il passaggio al modello accusatorio, e le conseguenti riforme intervenute in materia di reati contro l’amministrazione della giustizia, tese a fornire tutela penale alla fase delle indagini preliminari, hanno certamente spostato i termini della questione, modificando il quadro di riferimento131.