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2.4. Uscita, voce e lealtà

2.4.2. La voce

La voce è quella azione che permette al management di ascoltare ciò che coloro che la utilizzano hanno da dire. La voce è tutto ciò di cui possono servirsi i membri di una organizzazione per cercare di migliorare qualche cosa che non va (Hirschman, 2017). I soggetti intendono far capire che è in atto un mal funzionamento interno oppure, come nel caso che interessa maggiormente questo elaborato, che i dipendenti stanno vivendo una situazione in cui i propri bisogni ed esigenze non sono soddisfatte. Oppure, ancora, si tratta del fatto che sono venute meno tutte quelle attenzioni che chi ricopre posizioni di status più elevate dovrebbe garantire agli altri membri. Ed è così che questi membri decidono di far sentire la propria voce.

L’opzione voce è però un concetto più impreciso rispetto all’uscita in quanto “può comprendere l’ampia gamma compresa tra una debole lagnanza e una violenta protesta” (ibid. : 34). In generale, fa riferimento a

Un qualsiasi tentativo di cambiare, invece che di eludere, uno stato di cose riprovevole, sia sollecitando individualmente o collettivamente il management direttamente responsabile, sia appellandosi a un’autorità superiore con l’attenzione di imporre un cambiamento nel management, sia mediante vari tipi di azione e proteste, comprese quelle intese a mobilitare l’opinione pubblica (ibid. : 47).

Come è possibile evincere da tale definizione, l’opzione voce concerne uno o più atteggiamenti diretti che una persona o un gruppo di persone mette in atto per manifestare le proprie idee e opinioni. In effetti, l’autore ritiene che l’individuo sia un soggetto che possiede delle “doti considerevoli di comunicazione e di persuasione verbale e non verbale” (Hirschman, 1988 : 436). Si tratta comunque di una azione «scomoda» come sostiene Hirschman perché essa richiede uno sforzo molto ingente. Significa in qualche modo “mettere la propria faccia” ed esprimere ciò che non va di fronte a chi ricopre posizioni di status più elevate. I dipendenti possono aver paura di dire la loro in quanto possono temere delle ritorsioni da parte della direzione. È qui che dovrebbe intervenire colui che ricopre un ruolo di leadership: dovrebbe far sì che ogni membro del gruppo possa esprimere ciò che pensa, i propri bisogni ed eventuali disagi che sono maturati all’interno dell’ambiente lavorativo.

La voce, quindi, è un comportamento comunicativo, che rappresenta la manifestazione di un conflitto. Che in questo caso è appunto manifesto, esplicito e non latente. Dunque, la voce può essere descritta come “the verbal communication of problems or ideas intended to stimulate organizational improvement to superiors with the perceived power to take action” (Van Dyne, Le Pine, 1992; Premeaux, Bedian, 2003; Burris et al., 2008 cit. in Burris et al., 2013 : 22). In questa

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definizione si evince una volontà da parte dei dipendenti di far capire ai propri superiori che qualcosa deve essere modificato per la ricerca di un miglioramento organizzativo. Ma possiamo definire la voce anche facendo riferimento al fatto di “discussing problems with a supervisor or co-workers, taking action to solve problems, suggesting solutions, seeking help from an outside agency like a union” (Rusbult et al., 1988 : 601); in questa definizione, viene sottolineato l’atto della discussione dei problemi, con la conseguente ricerca delle soluzioni possibili, attraverso, ad esempio, il sostegno (per i lavoratori) del sindacato. I membri devono essere stimolati per utilizzare la voce, ma anche supportati, appunto, grazie ad un sindacato; ma i dipendenti devono soprattutto essere convinti che l’opzione voce sia efficace.

Da sottolineare poi la “flessibilità e l’adattabilità della categoria voce” (Pasquino, 2014 : 177). A tal riguardo, O’Donnell (1986) effettua una distinzione tra la voce orizzontale e la voce verticale. La prima si riferisce al fatto di parlare con i pari, ad esempio degli amici, o nel caso di un contesto lavorativo, significa parlare con colleghi che ricoprono le medesime posizioni all’interno della organizzazione di lavoro (questo potrebbe avvenire mediante la dinamica intraorganizzativa di confronto sociale). Dunque, vi è uno scambio di informazioni e le persone cercano un terreno comune di riflessione (Pasquino, 2014). La voce verticale, invece, si riferisce al fatto di parlare con il proprio superiore: “gli individui esprimono il loro scontento, dissenso, commento critico alle scelte dei dirigenti” (ibid. : 177). Il fatto è che secondo Hirschman (1986) solamente quest’ultima comporta dei costi mentre la voce orizzontale comporta dei benefici espressivi; in realtà, anche la voce orizzontale può risultare costosa in certe circostanze, pertanto è necessario sottolineare come i costi dell’uscita e della voce varino al variare delle situazioni in cui i soggetti si trovano (Dowding et al., 2000). Ad ogni modo, questa distinzione tra voce orizzontale e verticale introdotta da O’Donnell rappresenta un importante arricchimento analitico della categoria/opzione voce (Pasquino, 2014).

Una ulteriore distinzione concernente la voce riguarda la forma che essa può assumere. Si tratta della distinzione tra voce premurosa e voce aggressiva. La prima è una forma costruttiva, la quale “consiste nel cercare di risolvere un problema tenendo conto delle proprie preoccupazioni ma anche di quelle della organizzazione” (Hagedoorn et al., 1999 : 311, tradotto dall’autrice). Alcuni esempi sono il fatto di discutere e di parlare di un problema esistente con il proprio superiore, fino a che non viene raggiunta una soluzione o un accordo che possa apportare benefici ad entrambe le parti, o comunque non apportare conseguenze negative per una parte. L’altra forma, dunque la voce aggressiva, è quella meno costruttiva, la quale consiste essenzialmente nel vincere sull’altra parte. Un esempio per spiegare questa forma di voce riguarda la situazione in cui un dipendente

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diventa eccessivamente insistente con il suo superiore al fine di ottenere ciò che vuole (Rubin et

al., 1994).

Bashshur e Oc (2015) affermano che sembra esserci una tentazione irresistibile a “inventare” nuovi tipi e forme di voce; gli autori raccomandano un ritorno alle definizioni più strettamente radicate nella concettualizzazione originale della voce, come descritta inizialmente da Hirschman (1970).