4.4. L’analisi dei dati
4.4.6. Ripensare al passato, uno sguardo al futuro
Per concludere il dialogo con gli interlocutori, abbiamo deciso di indagare sui loro pensieri concernenti le vicende passate; in particolare, il nostro interesse era capire se, secondo loro, fosse stato fatto abbastanza oppure ci sarebbe stato qualcosa di diverso da fare.
In generale vi è coerenza nelle risposte per quanto riguarda il ruolo svolto dal sindacato in occasione degli scioperi: per tutti i dipendenti è stato fondamentale, in particolare per il coordinamento della manifestazione. “Ci ha tenuto più compatti” (intervistata 2), “Ha
coordinato e diretto l’azione di tutti” (intervistata 5).
Il fatto è che “tante volte viene fatto uno sciopero di solo un’ora, nel parcheggio. Ma dovrebbe
essere uno sciopero a oltranza… Se non si ottiene niente il primo giorno, dobbiamo continuare con il secondo giorno ecc. Poi capisco che perdi gente perché tanti non se lo possono permettere. Però dovrebbe esserci una diversa prospettiva: va bene perdo per adesso, però poi se ottengo… Non abbiamo mai fatto una cosa con un grande impatto. Non ci siamo fatti sentire abbastanza.”
(intervistato 1).
Anche altri dipendenti la pensano allo stesso modo. “L’unico modo per fare di più, era se ci fosse
stata più adesione da parte di colleghi e colleghe, probabilmente potevamo aspirare a qualcosa di più.” (intervistata 4).
“Avremmo dovuto tenere più duro, avremmo dovuto essere più compatti (ma ti parlo a livello di grande distribuzione, non solo noi del Carrefour). Ognuno ha paura di perdere il suo lavoro. In Carrefour siamo 200 dipendenti, se forse siamo 50 iscritti al sindacato è tanto.” (intervistata 2).
L’interlocutrice mette in evidenza il problema della rappresentanza del sindacato e il fatto che probabilmente il sindacato non riesce a fare tutto ciò che vorrebbe perché non vi è adesione da parte di tutti i lavoratori. Le domande che sorgono sono: come può agire il sindacato se solo pochi lavoratori decidono di ascoltare le sue proposte e iniziative? Se sono pochi che decidono di seguirlo nelle manifestazioni e scioperi? Detto in altri termini, il sindacato agisce, ma per conto di chi? L’intervistata 2 parla del fatto che coloro che non sono iscritti, spesso sono proprio coloro che pretendono delle risposte, in assenza però di una partecipazione attiva.
Se cambia il ruolo ricoperto dai dipendenti, cambiano i pensieri rispetto a questo argomento. Infatti, la lavoratrice 3 afferma: “Io come rappresentante sindacale sento di aver fatto il
massimo.”. Ma ciò contrasta con le risposte dei dipendenti. Aggiunge però che “Spesso mi è dispiaciuto di non essere stata seguita come avrei voluto. Ma tutte le cose che potevamo fare, le abbiamo fatte. A volte i lavoratori ci accusano di non aver fatto qualcosa. L’azienda secondo me
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sa che i dipendenti non sono troppo uniti. Se viene comunicato ai lavoratori che domani, ad esempio, viene indetto uno sciopero e tutti, ma dico tutti, manifestiamo, ha una certa valenza. Se questo non accade, anche l’azienda capisce che non tutti seguono il sindacato nella lotta. E questo non può che avere certe conseguenze: ci sarà meno impatto. E poi da parte dell’azienda non c’è attenzione alle risorse umane. L’unico obiettivo è il profitto.” (intervistata 3). Questo,
quindi, effettivamente risulta coerente con le risposte dei lavoratori. Tutti, a prescindere del ruolo ricoperto all’interno dell’azienda, concordano sul fatto che lo sciopero, e quindi la voce, abbia più efficacia se tutti si impegnano nel suo utilizzo, se tutti si fanno avanti.
La sindacalista della Filcams afferma che “Gli scioperi sono stati utili perché certe situazioni
sarebbero peggiorate ancor più velocemente di quanto sia realmente successo. Inoltre, anche se
l’ipermercato non ha effettivamente chiuso22
durante lo sciopero, per chi dirige una azienda ci sono state difficoltà.” (intervistata 6).
Il fatto è che sembra crescere una maggiore sfiducia nel sindacato e nelle sue attività. Ad esempio, l’intervistato 1 afferma esplicitamente: “Io ho perso un po’ di fiducia nel sindacato; secondo me
sono i primi che devono battersi affinché non ci siano certi contratti e forme di contratto (come quelli dei dipendenti esterni). Prima c’era più adesione. Prima l’azienda doveva trovare un accordo con te e il sindacato in qualche modo moderava il tutto. Ora ti hanno dimostrato
(l’intervistato fa riferimento all’azienda) che fanno senza di te. Hanno licenziato persone per
prendere “schiavi” praticamente. Sono ragazzi, pagati poco, da quel che si sente dire non sono pagati per tutto il tempo che lavorano: sono condizioni disumane. La stessa azienda tratta in modo diverso i lavoratori. Queste forme di lavoro non dovrebbero esistere e i sindacati fanno poco.” L’intervistato appare molto infastidito per questa situazione. Si mostra più triste e allo
stesso tempo frustrato. Sottolinea, infatti, che lui non si sente di trattarli male come fanno alcuni dei suoi colleghi. Questo è confermato anche dalla intervistata 3 che ha raccontato di come i colleghi e capi reparto trattino male i lavoratori interinali.
Le intervistate 4 e 5 affermano invece che secondo loro il ruolo del sindacato è stato fondamentale per lottare per i propri diritti contrattuali, al tempo, ma risulta fondamentale anche oggi. Ritengono che soprattutto le RSU svolgano un ruolo cruciale: “fanno da mediatori”, “fanno da tramite tra
noi e loro”. A tal riguardo emerge quindi una differenza con altri interlocutori.
22 L’intervistata ha fatto riferimento al fatto che gli scioperi tendenzialmente hanno avuto la durata di
un’ora, durante la quale non tutti i dipendenti hanno preso parte alla manifestazione. Da considerare, inoltre, che la differenza di orario tra i vari reparti dell’ipermercato non consente, fatta eccezione per i free rider, la completa adesione agli scioperi da parte della totalità dei dipendenti.
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“Non ti nego che una volta mi è capitato di discutere con un rappresentante sindacale perché ci dissero che qualcosa avremmo dovuto mollare e comunque non pretendere dall’azienda, quando precedentemente mi avevano detto che l’azienda non poteva farlo. Ora non ricordo di cosa si trattasse ma prima mi dissero che l’azienda non poteva fare ciò che chiedeva e poi dissero che comunque glielo concedevamo. E io ci discussi. Riconosco comunque che senza il sindacato qui ti fanno firmare di tutto e di più, e te firmi o te ne vai, ti mandano a casa. Quindi penso sia proprio fondamentale il sindacato.” (intervistata 4).
Chiedendo invece ai lavoratori come vedono la loro situazione lavorativa futura, sono emerse preoccupazioni e incertezze. L’intervista 5 ha affermato che “Questo punto vendita non va per
niente male, credo sia uno dei migliori in Toscana. Però resta sempre la paura che da un giorno all’altro, dal giorno alla notte, ci mandino tutti a casa.” (intervistata 5). Sottolinea come tale
paura non sia costante e quotidiana, ma, nonostante ciò, si tratta di una preoccupazione che a volte emerge nei suoi pensieri.
Un’altra problematica che viene descritta è quella relativa alla salute fisica: “Spero di resistere
fisicamente. Perché certi tipi di lavoro spesso non puoi svolgerli con la postura corretta. Io sono messa male, ho dei problemi alla schiena, al collo. Noi sbagliamo perché dovremmo volerci bene… L’azienda non fornisce tutto ciò che potrebbe aiutare nello svolgimento di queste mansioni, tipo certi macchinari specifici.” (intervistata 2).
Sono emerse anche preoccupazioni relative alla stabilità economica: “Spero che venga modificato
il mio contratto. Ah, e non vorrei mai diventare capo reparto. Io sono dalla parte dei dipendenti. I capi reparti ricoprono quel ruolo per orgoglio di fare il capo, anche se prendono poco più dei dipendenti.” (intervistato 1).
La parte successiva della tesi sarà dedicata ad una riflessione conclusiva riguardante i dati raccolti; si tratterà, dunque, di alcune considerazioni relative a ciò che è emerso dalla ricerca empirica qui presentata.
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Conclusioni
Upward voice […] is a vital pathway for valuable ideas to reach decision makers who might otherwise remain in the dark (Satterstrom et al., 2020 : 1).
Questa ricerca ha rappresentato un tentativo di applicazione del modello EVL, che ha disegnato lo strumento attraverso il quale raggiungere l’obiettivo della tesi: l’analisi dei conflitti organizzativi. Il modello, dunque, ha rappresentato lo “strumento” attraverso il quale si è cercato di condurre un’analisi il più esaustiva possibile di tali dinamiche intraorganizzative.
Il nucleo centrale del framework è rappresentato dal modello EVL, che è stato arricchito di elementi descritti nel corso dei capitoli precedenti, alcuni appartenenti al mondo degli studi organizzativi, altri provenienti dalla letteratura sulle relazioni industriali.
È possibile affermare che la ricerca qui presentata sia stata efficace per vari motivi; innanzitutto, è stato possibile comprendere che l’azienda ha vissuto, in passato, dei momenti in cui le dinamiche conflittuali sono state molto accentuate. Oggi la situazione sembra essere caratterizzata da minore frequenza di conflitti, ma con una crescente insoddisfazione relativa alle attività lavorative e una visione negativa del clima organizzativo, caratterizzato da ritorsioni sul lavoro e minore interessamento dei dipendenti nei confronti dell’azienda e delle attività che devono essere svolte. È stato inoltre possibile analizzare alcuni aspetti, in particolare i bisogni dei dipendenti e le relazioni con i capi, che svolgono un ruolo importante nella soddisfazione di quei bisogni ed esigenze lavorative (e non). Osservando le dinamiche lavorative dell’azienda oggetto di studio attraverso la “lente” rappresentata dal framework, è stato possibile capire quali siano i bisogni dei dipendenti che sono maggiormente soddisfatti dalla azienda e quali meno. Analizzando i dati raccolti è stato possibile comprendere che l’azienda soddisfa maggiormente i bisogni primari (ad esempio quelli relativi allo stipendio e al rispetto dei tempi di accredito), mentre soddisfa meno quelli di auto-realizzazione (la possibilità di avere maggiore autonomia nello svolgimento delle attività lavorative, ma anche la possibilità di ricoprire posizioni differenti all’interno della azienda).
Abbiamo poi analizzato le possibili combinazioni tra uscita, voce e lealtà di cui abbiamo discusso in maniera approfondita nel corso del capitolo secondo. Anche in questo caso, possiamo affermare che il framework teorico sia stato efficace in quanto ha consentito di capire l’andamento delle varie combinazioni tra i meccanismi di recupero: in generale, osserviamo come molti lavoratori
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abbiano deciso di restare1 e altrettanti abbiano deciso di uscire. E l’uscita è stata frequente in quei
momenti in cui l’azienda ha iniziato a proporre degli incentivi. Molti, invece, hanno utilizzato la loro voce per farsi sentire, in particolar modo grazie al supporto del sindacato e allo strumento dello sciopero. Alcuni di questi sono poi usciti, mentre altri sono rimasti; altri ancora sono usciti senza essersi fatti sentire.
Abbiamo descritto la voce come l’espressione delle idee, opinioni, pensieri e preoccupazioni dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione di lavoro, con l’intento di cambiare lo stato delle cose e di migliorarne il funzionamento (Bashshur, Oc, 2015). Quindi, abbiamo inteso la voce come quel comportamento volto alla ricerca di un cambiamento della situazione attuale (nel nostro caso i dipendenti hanno utilizzato la voce per cambiare lo stato – al tempo – attuale delle cose, causato a sua volta da un cambiamento rispetto allo stato precedente). Si tratta di una definizione che vede la voce focalizzata sul problema e orientata al cambiamento: una voce costruttiva, che richiama la voce premurosa descritta da Hagedoorn et al. (1999). Tale definizione pone inoltre il cambiamento come variabile dipendente della voce. Dunque, pensiamo alla voce come un vero e proprio tentativo di cambiare le condizioni attuali, coerentemente con quanto affermava Hirschman.
In generale appare difficile pensare e valutare la voce come un comportamento in-role (in ruolo), infatti vi è una visione abbastanza condivisa che ritiene la voce un comportamento extra-role, orientato al miglioramento. Considerare la possibilità dei dipendenti di esprimersi e soprattutto di essere ascoltati dai propri capi non dovrebbe essere considerato un qualcosa di “extra”, ma una costante attività comunicativa, di scambio di idee, di opinioni e di eventuali preoccupazioni. Dalla letteratura analizzata sull’argomento ma anche a partire dai dati emersi dalla ricerca sul campo, abbiamo quindi compreso che la voce dei dipendenti verso l’alto è fondamentale per l’organizzazione e il suo miglioramento e apprendimento, dal momento in cui coloro che svolgono le attività lavorative e che sono a stretto contatto con i clienti – come nel caso della azienda oggetto di ricerca di questa tesi – toccano con mano le vicende quotidiane/organizzative, in termini di relazioni tra lavoratori, relazioni con i clienti e svolgimento delle attività.
Attraverso la ricerca sul campo è emerso che molto spesso la voce, utilizzata sia singolarmente che collettivamente (attraverso l’attività di “mediazione” dell’organizzazione sindacale2), non
1 Ricordiamo come il restare rappresenti uno degli atti descritti attraverso la fig. 2.2. “Combinazione dei
meccanismi di uscita e voce” (pag. 82).
2 È stato possibile comprendere che a volte i dipendenti utilizzano la propria voce rivolgendosi direttamente
al direttore, altre volte invece si passa attraverso la figura del sindacato, in particolare grazie alla figura presente in azienda delle rappresentanze sindacali unitarie.
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viene effettivamente presa in considerazione o se questo accade si tratta di una situazione poco frequente. Alcuni intervistati hanno infatti affermato che spesso i dipendenti non utilizzano la loro voce perché sono certi che non verrà realmente presa in considerazione dalla direzione, oppure perché hanno paura che l’utilizzo della voce possa causare ritorsioni. Abbiamo compreso, dunque, che si verifica spesso il fenomeno della pseudo voce; si tratta, in effetti, di una preoccupazione che i dipendenti hanno, in quanto in passato hanno assistito ad alcune ritorsioni, messe in atto soprattutto dai capi reparto.
Il fatto è che probabilmente le proteste sono risultate efficaci da un lato, nel senso che protestando i lavoratori hanno in qualche modo impedito all’azienda di pretendere che svolgessero le mansioni in determinati orari lavorativi. Questo, infatti, ha rappresentato il timore maggiore dei dipendenti. Dalle affermazioni ed espressioni riportate nel corso del capitolo quarto è stato possibile comprendere che le decisioni, dunque i cambiamenti introdotti dal management, hanno rappresentato una vera e propria minaccia per i dipendenti: la paura di dover lavorare la notte e la domenica. È stato il motivo per cui hanno deciso di prender parte agli scioperi e quindi alle manifestazioni, proclamate ed organizzate dalle organizzazioni sindacali. Per quanto concerne i due cambiamenti, effettivamente il management ha seguito la propria strada, supportata dalla legge, per tenere aperto il punto vendita la domenica, ma soprattutto e più in generale tutti i giorni e tutta la notte. Negli anni successivi, la decisione della azienda di non restare più aperta durante la notte fu legata al fatto che non era più conveniente tenere il punto vendita aperto durante le ore notturne. Non vennero prese in considerazione le proteste dei dipendenti; pertanto, in questo senso, il sindacato non è riuscito nel suo intento.
È possibile sostenere che il framework costruito abbia consentito di avere una visione abbastanza ampia delle vicende conflittuali. Allo stesso tempo, è stato possibile evidenziare alcuni limiti della ricerca. Un primo limite che emerge è relativo al campione. È stato possibile intervistare sei persone, pertanto si tratta di un campione abbastanza ristretto (nell’azienda Carrefour di Pisa lavorano circa 200 persone) che non ha permesso di osservare eventuali somiglianze o differenze nei comportamenti dei dipendenti, dunque vi è stato un limite in termini di osservazione di omogeneità-eterogeneità dei modelli comportamentali.
Un ulteriore limite è il fatto che, tra i sei intervistati, quattro sono dipendenti dell’azienda, una è dipendente e RSU (rappresentante sindacale unitaria) e l’ultima è una sindacalista. Sarebbe stato interessante intervistare alcuni capi reparto ma questo, come spiegato nel paragrafo 4.3, non è stato possibile. Il fatto è che i capi reparto sono quei soggetti che ricoprono ruoli di supervisione e quindi di leadership (almeno sotto un punto di vista formale) e sono coloro che potrebbero (anzi, dovrebbero) promuovere la voce dei dipendenti attraverso atteggiamenti di apertura e
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disponibilità (Detert, Burris, 2007 cit. in Satterstrom et al., 2020). In tal modo, i leader svolgerebbero un ruolo fondamentale nell’incoraggiare la voce. Sarebbe dunque stato interessante capire se c’è volontà di promuovere e incoraggiare la voce dei propri collaboratori di reparto, in situazioni caratterizzate da alta conflittualità all’interno dell’azienda. Ciò che abbiamo potuto osservare, ma solo dal punto di vista dei dipendenti, è che i capi reparto ritengono in qualche modo di poter minacciare o ricattare gli altri lavoratori (ad esempio, cambiandone gli orari e i reparti), scoraggiando la loro voce.
Strettamente legato agli altri, vi è un limite concernente il fatto che sarebbe stato utile fare una analisi che includesse ulteriori punti di vista, come quello dell’azienda. L’inevitabile riferimento è a quelle figure che in qualche modo rappresentano l’altra faccia della medaglia, come i dirigenti e i responsabili delle risorse umane, che non è stato possibile intervistare. A tal riguardo, si è cercato di contattare, attraverso la figura dell’informatore chiave, alcuni soggetti che al tempo degli eventi ricoprivano tali ruoli nell’azienda, ma non ho ricevuto risposta. Potremmo intendere questa “non-risposta” come un dato, in quanto probabilmente non vi è stata la volontà di collaborare alla ricerca, unita alla volontà di non raccontare il proprio punto di vista.
Dal punto di vista metodologico, le interviste condotte mediante le storie di vita sono risultate efficaci ed utili alla comprensione degli eventi e soprattutto alla comprensione delle affermazioni, delle espressioni e delle emozioni degli intervistati; sicuramente però (e come spiegato sopra) potrebbe essere interessante svolgere una ricerca per approfondire ulteriormente i fenomeni studiati con un campione più ampio e articolato, che coinvolga più punti di vista.
Ad ogni modo, riteniamo che possa essere interessante continuare a utilizzare questo tipo di framework per analizzare quelle che sono le interazioni tra leader e collaboratori/collaboratrici e capire le motivazioni per cui i leader tendono, più o meno, a scoraggiare la voce dei dipendenti; ancora, sarebbe interessante avvalersi del framework sviluppato per capire le motivazioni di alcuni comportamenti dei dipendenti, ad esempio di chi è uscito e di chi è uscito senza utilizzare la voce, ma anche di chi non si rivolge al sindacato per risolvere potenziali problematiche e di chi in qualche modo si comporta (anche inconsapevolmente) come free-rider.
Nonostante i limiti sopra indicati e la necessità di sviluppare e mettere alla prova ulteriormente il framework, è possibile affermare che questa mia ricerca ha prodotto delle conoscenze sul caso dell’azienda Carrefour ma anche la possibilità di applicare le conoscenze emerse dal framework ad altre situazioni organizzative.
Il vantaggio di aver fatto interagire due campi di studio e letterature ad esse relative (che tendenzialmente non interagiscono tra loro in quanto nella realtà potrebbero essere difficili da
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distinguere) dunque, il campo degli studi organizzativi e quello delle relazioni industriali, ci ha permesso di analizzare in modo più complesso l’utilizzo della voce dei dipendenti e il modo in cui essa viene utilizzata e le forme in cui si manifesta.
Se avessimo utilizzato il modello EVL senza prendere in considerazione la dimensione organizzativa ed escludendo la dimensione delle relazioni industriali, probabilmente non saremmo riusciti ad analizzare nel profondo certe dinamiche intraorganizzative. Escludere la dimensione organizzativa presumibilmente avrebbe portato ad una analisi delle risposte comportamentali da parte dei dipendenti senza la presa in considerazione di quelli che sono i loro bisogni (in tutte le loro sfaccettature), le relazioni tra gli attori all’interno della organizzazione e il clima organizzativo entro cui tali dinamiche avvengono; non avremmo quindi contestualizzato le dinamiche prese in considerazione. Allo stesso tempo, escludere la dimensione delle relazioni industriali sarebbe stato in qualche modo limitante perché abbiamo potuto capire come l’ambiente sia “abitato” da più organizzazioni in interazione tra loro (nel nostro caso, l’interazione tra organizzazione e organizzazione sindacale), le quali giocano ruoli importanti anche nella reciproca dipendenza relativa all’ottenimento di certe risorse.
Dunque, pensiamo che questo lavoro possa auspicabilmente rappresentare un contributo ulteriore per ricerche future, che riescano a delineare una visione più completa delle vicende conflittuali intraorganizzative di un’azienda e che trattino i temi approfonditi in questo elaborato prendendo in considerazione il maggior numero possibile di punti di vista.
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Bibliografia
Accornero A. (1994), Il mondo della produzione, Il Mulino, Bologna
Akhtar M. N., Bal M., Long L. (2016), “Exit, voice, loyalty, and neglect reactions to frequency of change, and impact of change”, Employee Relations, vol. 38, no. 4, pp. 536-562