4.4. L’analisi dei dati
4.4.2. Ruolo del lavoratore in azienda, bisogni del dipendente, relazioni lavorative
Nel corso del capitolo primo abbiamo posto particolare attenzione ai bisogni dei lavoratori, pensando alle risorse umane di una organizzazione come una delle risorse più importanti per il funzionamento della organizzazione stessa, con il riferimento a Maslow e alla sua teoria della motivazione12 e ad altri contributi sull’argomento forniti da Quaglino et al. relativamente ai
concetti di membership e groupship. È stato quindi interessante cercare di capire ciò che pensano e ciò che percepiscono i dipendenti della azienda Carrefour per quanto concerne tale argomento. Per quanto concerne i bisogni primari, ossia quei bisogni che riguardano ciò di cui un lavoratore necessita per vivere, il riferimento va essenzialmente a quello che è lo stipendio. Nel corso di alcune interviste è stato toccato questo aspetto senza che io chiedessi esplicitamente agli intervistati di parlarne. Ad esempio, un lavoratore ha affermato: “Nonostante tutto sono sempre
stati puntuali con i pagamenti.” (intervistato 1). Questo è confermato anche da altri intervistati. “Carrefour fornisce quella sicurezza (economica) che altri posti di lavoro potrebbero non garantire” (intervistata 3). Dunque, l’azienda sembra soddisfare quelli che prendono il nome di
bisogni fisiologici (Maslow, 1943).
Per quanto concerne la soddisfazione dei bisogni relativi alle condizioni di lavoro sicure risulta interessante ciò che mi ha raccontato l’interlocutrice 4 e a cui ha fatto riferimento anche l’intervistata 513 relativamente alla sicurezza della salute (rispetto all’emergenza sanitaria causata
dal Covid-19)14 nel periodo di marzo 2020.
12 Come già spiegato nell’ambito della presentazione del framework e nel corso del capitolo primo, la teoria
motivazionale di Maslow è stata ampiamente criticata e superata ma è comunque risultata utile alla comprensione del fenomeno oggetto di studio, dunque relativamente ai bisogni dei dipendenti e la loro soddisfazione da parte dell’azienda. Si chiede dunque di leggere l’applicazione della teoria di Maslow in senso più ampio, non quindi intendendo la soddisfazione dei bisogni primari come necessaria alla soddisfazione dei bisogni di sicurezza e così via (dunque secondo la scala di prepotenza descritta dallo studioso), ma intendendo la soddisfazione degli uni come non legata alla soddisfazione degli altri.
13 Ricordiamo che le intervistate 4 e 5 sono entrambe lavoratrici nel reparto casse.
14 L’analisi del caso studio fa riferimento alle vicende conflittuali avvenute nel passato e relativamente ad
altre situazioni, ma si è deciso di raccontare questo evento per comprendere l’importanza dei bisogni di sicurezza e della loro soddisfazione.
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“Mancavano le mascherine per noi cassiere. Chi era di mattina, tra cui io, disse: ‘trovateci le mascherine sennò noi non apriamo’. Ma poi le mascherine arrivarono. E fu fondamentale l’appoggio della nostra capo reparto. Lei ci difendeva anche con il direttore, rispetto anche al fatto delle entrate scaglionate. Si è battuta tanto per noi e per farci svolgere il lavoro in sicurezza.” (intervistata 4).
L’intervistata mentre raccontava questo accaduto ha utilizzato dei toni molto accesi e si è mostrata arrabbiata nei confronti della azienda, che avrebbe fatto lavorare i propri dipendenti anche in assenza del dispositivo di protezione, nonostante la situazione critica, dal punto di vista sanitario, nel nostro Paese nel mese di marzo. Questo breve racconto ha fatto emergere sicuramente l’importanza della soddisfazione dei bisogni e il ruolo fondamentale svolto dalla persona che occupa la posizione di capo reparto. Di qui, un richiamo alle interazioni tra colleghi e tra dipendenti e capo reparto e, ancora, tra capi reparto e direttore che contribuiscono sicuramente alla creazione del clima organizzativo. Questo perché come abbiamo sostenuto nel corso dell’elaborato, le interazioni tra gli attori in gioco risultano fondamentali in quanto contribuiscono alla manifestazione di alcune vicende più o meno conflittuali. In relazione all’evento appena descritto, riguardante le cassiere e la loro preoccupazione relativa all’esposizione al rischio di contagio da Covid-19, osserviamo che vi sono state interazioni tra colleghe, le quali si sono mostrate da subito pronte a “combattere” e ad astenersi dal lavoro nel caso in cui fosse mancata la tutela da parte dell’azienda; l’altra interazione ha riguardato le lavoratrici e la propria capo reparto, la quale a sua volta ha interagito con il direttore, ponendosi in una posizione di protezione nei confronti dei propri collaboratori e collaboratrici. Quella del Carrefour è una struttura organizzativa molto verticalizzata che probabilmente impronta di per sé i tipi di relazioni che possono crearsi: un dipendente sarà portato a parlare prima con i propri colleghi, confrontandosi su certe questioni. Successivamente sarà portato a rivolgersi al proprio capo reparto e presumibilmente, solo in un’ultima istanza, deciderà di rivolgersi al direttore.
Durante lo svolgimento delle interviste sono emersi altri racconti riguardanti il tema dei bisogni: l’intervistata 5 ha parlato della questione concernente la distanza casa-lavoro. Il fatto è che la lunghezza del tragitto per andare a lavoro influisce sicuramente sulla scelta dello stesso; anche il come raggiungerlo, quindi se con un mezzo privato (o a piedi) o con un mezzo pubblico, influisce su tale scelta (Accornero, 1994).
“Io vengo da fuori e devo prendere il treno per arrivare a lavoro, e a me ad esempio non fanno fare certi orari, tipo la chiusura e neanche la mattina presto” (intervistata 5).
La distanza dal lavoro rappresenta quindi un elemento importante per il lavoratore in quanto abitare vicino o lontano dal posto di lavoro, recarvisi a piedi oppure con un mezzo di trasporto,
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“risulta a volte decisivo per connotare lo status del lavoratore” (Accornero, 1994 : 266). L’autore sottolinea che molte ricerche mostrano che le donne con più facilità rispetto agli uomini, sacrificano un posto di lavoro buono per un posto vicino. Ma nel caso della lavoratrice 5 l’azienda le viene incontro in quanto non le viene chiesto di fare un orario che prevede la chiusura serale o l’apertura al mattino.
Vi è un richiamo quindi, oltre che alla distanza dal luogo di lavoro, anche all’ora della sveglia, elemento strettamente legato al primo. L’ora della sveglia rappresenta uno degli elementi cronologici fondamentali in grado di differenziare la rappresentazione del lavoro (Accornero, 1994). L’ora della sveglia viene determinata appunto dall’orario di ingresso al lavoro e dalla distanza dal luogo di lavoro. Per quanto concerne l’ora della sveglia, si tratta di un momento che varia a seconda dell’orario. C’è infatti chi fa i turni alternati (dunque lavora una settimana al mattino e una alla sera) oppure chi lavora in sequenza mattino, sera e notte. Ancora, vi è chi deve fare turni più complicati, tornando a lavoro più volte nella giornata (il cosiddetto “turno spezzato” che viene effettuato da chi lavora in aziende come il Carrefour, in particolare coloro che lavorano nei reparti come macelleria, panetteria ecc.) oppure chi lavora solo di notte o solo di prima mattina.
Nel corso del capitolo primo abbiamo affermato che ogni lavoratore cercherà di realizzare le proprie capacità e di sviluppare la propria autonomia. Vi è quindi, in ogni individuo, un bisogno concernente il desiderio di auto-compimento, ossia un bisogno di svilupparsi autonomamente. Ad esempio, una lavoratrice ha affermato: “Mi piacerebbe avere più ore, però non alle condizioni
dell’azienda. Ho visto cosa è accaduto a dei miei colleghi che hanno chiesto un aumento di ore oppure una variazione di orario e l’azienda ha risposto mettendo ad esempio le domeniche in orario oppure turni più scomodi. Quindi significa andare a contrattare con l’azienda che ti propone soluzioni troppo svantaggiose per te.” (intervistata 3). Secondo il punto di vista della
lavoratrice, le situazioni risultano più vantaggiose per l’azienda rispetto al singolo lavoratore. Vengono sottolineati alcuni aspetti negativi anche da altri intervistati: “Sono più le richieste che
fa l’azienda a noi rispetto a quelle che facciamo noi all’azienda. Cioè si percepisce che c’è molta pressione dell’azienda sui lavoratori. E questo va a toccare le libertà di noi dipendenti. Un esempio è quello relativo alle domeniche, che non abbiamo nel contratto però le facciamo.”
(intervistato 1). Possiamo ipotizzare che i bisogni dell’azienda (groupship) arrivino a superare di gran lunga quelli dei lavoratori (membership) (Quaglino et al., 1992).
L’intervistata 2 afferma di essere soddisfatta ma sottolineando che nel tempo è venuta sempre meno la sua discrezionalità lavorativa e quella del suo capo reparto:
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“Non puoi più fare niente. Prima c’era più possibilità di interagire e, ad esempio, di scegliere il materiale da utilizzare. Mentre oggi no, si è perso il contatto tra le persone perché fondamentalmente facciamo tutto con le piattaforme: c’è un programma che fa gli ordini in automatico a seconda di ciò che manca.” (intervistata 2).
La lavoratrice sottolinea quindi un cambiamento concernente il modo di lavorare, causato dalla introduzione di un certo strumento tecnologico, che di fatto ha ridotto la sua discrezionalità. Viene meno la scelta, e in qualche modo viene meno la sua iniziativa, pertanto sembra venir meno il bisogno di auto-realizzazione, dunque quel bisogno relativo al fatto di essere autonomi ed essere in grado di esprimere le proprie capacità e potenzialità. E questo causa per la lavoratrice frustrazione.
Frustrazione che caratterizza anche la situazione di un’altra lavoratrice: “Io sento che potrei fare
e dare molto di più all’azienda, ma l’azienda non mi dà l’opportunità, probabilmente perché sono una donna, probabilmente perché ricopro il ruolo di RSU.” (intervistata 3). Di qui, l’importanza
delle differenze di genere che vengono percepite dall’intervistata come un forte ostacolo alla sua realizzazione lavorativa, alla possibilità di crescere dal punto di vista della mansione e del posto all’interno dell’azienda stessa. Questo è confermato dall’intervistato 1 che mostra frustrazione ma anche segni di rassegnazione mentre racconta la sua situazione lavorativa:
“Per me è frustrante il fatto che non ho ancora un contratto full-time, nonostante sia in azienda da moltissimi anni, cioè da quanto è nata. Ogni anno mi scade il contratto e poi mi viene rinnovato come part time.” L’intervistato indica come la sua sia una condizione caratterizzata
dall’incertezza che ogni anno si presenta nel momento in cui arriva a stipulare il contratto con l’azienda.
L’intervistata 3 afferma di sentirsi realizzata dal punto di vista lavorativo, non per il ruolo che ricopre in azienda ma per quanto concerne il suo ruolo di rappresentante sindacale. Ciò ha permesso alla lavoratrice di confrontarsi con l’azienda, conoscere i suoi progetti, capire la sua logica aziendale e, allo stesso tempo, fare da intermediario tra essa e i lavoratori. Lei afferma che:
“Per me cercare di far capire le mie impressioni e ascoltare i dipendenti è fondamentale. Se non avessero “noi” come RSU non so come farebbero a gestire le cose perché i lavoratori di fronte a situazioni critiche brontolano e sembrerebbe che spacchino il mondo ma poi se devono farlo davanti al direttore non lo fanno.”
Sottolinea che secondo lei i dipendenti, da soli, non riuscirebbero ad esprimere i loro problemi; allora “io e i miei colleghi arriviamo a parlare con il direttore cercando di arrivare ad un
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Utilizzando il termine compromesso, si evince che esso è considerato la tattica sindacale per eccellenza e non si prendono in considerazione modalità differenti di risoluzione dei conflitti. Sicuramente non si pensa di ricorrere ad una modalità differente, come l’integrazione descritta dalla Follett, di cui abbiamo parlato nel capitolo terzo, perché si pensa che non sia possibile raggiungere soluzioni vantaggiose tout court per entrambe le parti (lavoratori e azienda). O meglio, il presupposto sul quale si basa la relazione organizzazione e contro-organizzazione è quello secondo cui una delle parti sicuramente deve rinunciare a qualcosa.
Anche la sindacalista della Filcams afferma che “L’essenza del sindacato è quella di trovare
accordi con la contro-parte, per trovare equilibri giusti. È una azione rivendicativa che si basa sul compromesso.” (intervistata 6).
Per quanto concerne le relazioni sul lavoro, in generale gli intervistati hanno risposto in modo positivo, affermando quindi di avere relazioni tendenzialmente buone con tutti, sia con i colleghi di reparto che con i capi reparto, capi settore e direttore. Relazioni e interazioni che, come accennato poco fa e come abbiamo osservato nel corso del capitolo secondo, sono determinati per le caratteristiche di un certo clima organizzativo (fiducia reciproca, collaborazione, sistema efficace di feedback ecc.).
L’intervistata 3 afferma a riguardo: “io amo la collaborazione, anche perché se percepisco e vedo
che ci comportiamo come un gruppo unito, lavoriamo bene e otteniamo i nostri risultati”.
Nel corso dell’intervista è emersa una questione interessante riguardante la decisione degli orari lavorativi. Solitamente accade che ogni capo reparto decide gli orari dei propri collaboratori di reparto e glielo comunica tramite un foglio cartaceo con scritto gli orari di tutti. Ad ogni modo, tale modalità può sicuramente creare malcontenti tra i dipendenti, soprattutto se percepiscono che il capo reparto, colui che appunto fa gli orari per i dipendenti e per se stesso, favorisce in qualche modo se stesso per soddisfare le proprie esigenze. Ovviamente non tutti si comportano in questo modo: ci saranno capi reparti che magari tengono di conto delle esigenze di tutti. È stato interessante il racconto della intervistata 3 che ha spiegato come avviene questo processo di scelta e decisione degli orari nel suo reparto:
“Sono un po’ di anni che io cerco di collaborare. Mi spiego meglio: io mi consulto con i miei colleghi e insieme decidiamo, ad esempio, il giorno in cui a me torna meglio fare la mattina, il giorno in cui la mia collega preferisce fare il pomeriggio e così via, per tutti. E io poi scrivo in un foglio tutte le nostre preferenze. Di fatto creiamo noi, confrontandoci, il nostro orario. E io poi lo passo al capo reparto. Questo significa che noi lavoratori sappiamo già che orario avremo nella settimana successiva, perché abbiamo contribuito alla sua creazione”.
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Questo va a sottolineare la capacità di auto-organizzazione del suo gruppo di lavoro. Questa modalità di confronto e consultazione reciproca permette che le esigenze di tutti vengano, la maggior parte delle volte, soddisfatte. E possiamo aggiungere che questo contribuisce alla attribuzione di una maggiore responsabilità del singolo nei confronti del gruppo, in quanto ognuno in qualche modo contribuisce alla creazione di quel foglio sul quale viene scritto l’orario di lavoro. Dunque, come afferma l’intervistata, risulta necessario cercare di accontentare tutti, magari chiedendo dei sacrifici qualche volta, ma anche facendo partecipare ogni singolo membro alla vita organizzativa. “Io penso che il confronto sia fondamentale” (intervistata 3). Alla luce di quanto abbiamo descritto nel capitolo primo relativamente al fenomeno della leadership, il comportamento dell’intervistata sembra ricordare uno stile democratico di leadership, come quella descritta da Lewin, Lippitt e White (1939). Durante l’intervista con la lavoratrice 3, infatti, è stato toccato questo tema. Ripensando alla struttura organizzativa dell’azienda è come se ogni singolo reparto sia quasi come una parte a sé dell’ipermercato. “È come se fossero tanti piccoli
supermercati indipendenti, ognuno ha il suo orario e ognuno deve svolgere la propria mansione”
(intervistata 3). Di fatto, i dipendenti di un certo reparto fanno riferimento a quelle che sono le direttive del proprio capo reparto, che a sua volta fa riferimento alle direttive del capo settore. E, infine (o inizialmente, dipende dal punto di vista intrapreso) vi sono le direttive del capo. Pertanto, possiamo pensare alla presenza di più figure di leader all’interno dell’azienda, tendenzialmente uno per ogni reparto.
“Il nostro capo (reparto) fa il leader ma a volte mi sento anche io una leader. Se c’è qualcosa che
non va, gli altri vengono a dirlo a me e non al capo reparto”.
L’intervistata numero 3 racconta di come si sente un punto di riferimento per gli altri, probabilmente per le sue conoscenze a livello sindacale oppure per il fatto che si impegna nell’essere imparziale sul luogo di lavoro, cercando inoltre di risolvere e mediare le discussioni che nascono tra colleghi. Un riferimento che richiama un orientamento democratico nel ricoprire un ruolo da leader, che pone attenzione a quelle che sono le attività lavorative (uno stile orientato al compito) ma anche alle relazioni tra colleghi (uno stile orientato alle relazioni) e che queste siano il più positive possibile e improntate alla collaborazione.
Anche l’intervistata 2 parla in maniera positiva delle relazioni che ha sul luogo di lavoro. Nel corso della intervista si è affiancato alla questione delle relazioni il tema della comunicazione. In particolare, è emersa la questione relativa a “utilizzare la propria voce” e all’ “essere realmente preso in considerazione”. Il fatto è che “voice is ubiquitous in organizations” (Detert et al., 2013 : 625): i dipendenti in qualche modo, se vogliono, possono trovare il modo di utilizzare la loro voce, di esprimersi e parlare con coloro che ricoprono posizioni di status più elevate (senza
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ricorrere necessariamente alla figura intermediaria di rappresentanti sindacali unitari e sindacalisti). Tenendo conto di quanto descritto nel corso del capitolo secondo sul fenomeno della pseudo voce, spesso accade che vi sia un disinteresse totale verso le opinioni dei dipendenti da parte dei capi, che invece potrebbero contribuire al miglioramento dell’organizzazione nel suo complesso e in generale a risultati positivi in termini di apprendimento, prestazioni ed erogazione dei servizi (Likert, 1961; Dutton, Ashford, 1993; Argyris, Schön, 1996; Morrison, Milliken, 2000).
“Io mi relaziono con tutti, anche con il direttore. […] C’è anche un livello di confidenza elevato perché comunque lavoriamo in azienda da tanto tempo, quindi può essere anche un capo reparto, se ho da dirgli qualcosa glielo dico. Espongo tranquillamente i miei problemi, io la faccio sentire la mia voce, ma poi non è che venga ascoltata più di tanto.” (intervistata 2).
Un’altra dipendente afferma “a volte ci ascoltano, a volte no ma non è che possiamo pretendere
che ascoltino tutto quello che diciamo noi dipendenti. Penso che funzioni così da tutte le parti.”
(intervistata 4).
L’intervistato 1, con un tono di rassegnazione, afferma: “Diciamo che alla fine l’azienda fa
sempre come vuole”.
In questo momento dell’intervista, l’intervistata 2 si è mostrata molto decisa e infastidita dall’atteggiamento che ha riscontrato, nel corso delle sue esperienze, nei capi reparto e nel direttore; aggiunge inoltre di sentirsi tranquilla di esprimere ciò che pensa, e preferisce parlare piuttosto non dire niente.
“È chiaro, io mi arrabbio perché ci tengo; dal momento in cui vedo che dall’altra parte non ho una risposta, io mi appiattisco e mi tiro indietro.” (intervistata 2).
Questa sua affermazione ricorda quanto affermato da De Vries et al. (2012 : 229): “when employees perceive pseudo voice, they stop talking and start fighting”, combattendo, ad esempio, attraverso il silenzio, che alle volte può rappresentare un comportamento molto più significativo rispetto all’utilizzo della voce.
Di fatto, le interlocutrici 2 e 4 affermano che spesso si verifica il fenomeno della pseudo voce, secondo cui i capi appunto non prendono realmente in considerazione ciò che i dipendenti dicono riguardo una problematica o un consiglio concernente il funzionamento dell’azienda stessa. Si evince però una differenza nelle affermazioni: se da un lato la dipendente 5 ritiene che sia una situazione soddisfacente e non pretende niente di più, l’altra lavoratrice appare più scontenta di tale atteggiamento da parte dell’azienda.
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Sempre per quanto concerne le relazioni sul lavoro, l’intervistata 5 (che lavora nel reparto casse) afferma “Noi siamo un po’ ghettizzate” riferendosi al fatto che le casse è come se fossero divise totalmente dagli altri ambienti/reparti dell’azienda. L’intervistata ha raccontato che hanno inoltre delle sale, dove recarsi nel momento della pausa, differenti rispetto a quella degli altri lavoratori e sicuramente ciò alimenta una divisione tra lavoratori di reparti differenti.
4.4.3. Sensazioni a seguito della introduzione dei cambiamenti da parte del management
Come accennato all’inizio di questo capitolo, i conflitti che si sono verificati tra dipendenti e azienda hanno riguardato essenzialmente due situazioni di cambiamento. Il primo concerne l’introduzione della domenica come giorno in cui dover svolgere la propria attività lavorativa; il secondo cambiamento ha invece riguardato l’apertura del punto vendita durante la notte, quindi con un allungamento dell’orario da 9-21 ad un orario continuato 24 ore al giorno15.
Per quanto riguarda la vicenda della domenica, gli intervistati affermano che il cambiamento è stato graduale. “Prima la domenica era facoltativa, poi è diventata obbligatoria. Poi da una