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4.4. L’analisi dei dati

4.4.5. Tempi di vita e tempi di lavoro

Quando si è deciso di cercare di comprendere le dinamiche conflittuali avvenute all’interno dell’azienda si era reso necessario cercare di capire anche le conseguenze che tali cambiamenti avessero causato per i dipendenti. Pertanto, è stato chiesto agli intervistati di parlare riguardo a quella che prende il nome di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

L’attenzione a questa tematica risulta sempre interessante e attuale negli scenari lavorativi. Spesso il tema è strettamente legato al ruolo della donna, ma è necessario sottolineare come “i tempi di vita sono prima di ogni cosa i tempi delle scelte individuali di ogni persona, di ciascun uomo e di ciascuna donna, e non si identificano tout court con i tempi della famiglia” (Marino, 2012 : 297). Si è infatti alla ricerca di quel “bilanciamento fra impegno professionale e realizzazione personale nelle relazioni primarie o anche nel tempo libero e nella società civile che, solo coordinati insieme, costituiscono la base della qualità della vita, letta nel suo insieme e nel suo ciclo complessivo” (Trifiletti, 2017).

Il fatto è che tra gli intervistati, coloro che sono stati coinvolti direttamente dal cambiamento concernente l’introduzione della domenica come giorno in cui svolgere l’attività lavorativa, è solo una (intervistata 2). Gli altri sono lavoratori part time, per cui l’azienda non gli ha mai obbligati in tal senso. Sono loro che possono scegliere di lavorare di domenica, per avere “in cambio” un giorno libero durante la settimana. Dunque, non vi è stata la possibilità di indagare e analizzare le risposte di più dipendenti sugli aspetti relativi alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Ad ogni modo è possibile analizzare il (poco) materiale raccolto riguardo questo tema. Interessante è la testimonianza dell’intervistato 1 che racconta: “In realtà devo dirti che da quanto

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domenica ho un giorno infrasettimanale libero. Io metto al primo posto l’organizzazione dei bambini e quindi mi sono adattato e organizzato così. Però certo… vorrei che l’azienda stesse chiusa di domenica”. Tornando indietro nel tempo, l’intervistato racconta che nel momento in

cui l’azienda apportò il cambiamento della introduzione della domenica, protestò partecipando allo sciopero. Decisivo è apparso il fatto che in quel momento l’intervistato non aveva figli e considerava la domenica come un “giorno in cui non si deve assolutamente lavorare” (intervistato 1). Infine, ha aggiunto: “Dal momento che abbiamo lottato e le cose rimangono così,

e visto che l’azienda sta aperta, a quel punto ne approfitto.” (intervistato 1).

In linea con questo pensiero è quello dell’intervistata 3: “Io la domenica, ne ho una in

straordinario e quindi lo faccio solo per questo. Prima lo facevo perché volevo andare incontro all’azienda, ora non più. Abbiamo visto troppi cambiamenti, loro non guardano in faccia noi, quindi cerchiamo di pensare al nostro benessere psico-fisico. Se mi fa comodo fare la domenica, la faccio; sennò no.”

L’intervistata 2 racconta che ha avuto dei problemi relativi al fatto di stare con la famiglia, passare del tempo insieme ai propri figli. “Il fatto è che chi lavora il pomeriggio, non può stare con la

famiglia. Per persone che come me che hanno un compagno che lavora tutta la settimana, e la domenica fa festa, è difficile. Già lavoro di sabato, se poi lavoro anche la domenica e ho il riposo tra settimana, è stressante. È difficile organizzare qualcosa, una gita ecc.”.

L’intervistato 1 ha fatto un riferimento a quel cambiamento di clima di gruppo interno all’azienda:

“Ci sono stati cambiamenti perché, ad esempio, prima tra colleghi ci venivamo più incontro. Io che ero uno dei più piccoli, anche se mi scocciava un po’ facevo la domenica al posto di altri che magari avevano famiglia. Oggi invece ognuno pensa per sé.”

L’intervistata 3 afferma: “Cerchiamo di sopravvivere in questo ambiente.” La parola sopravvivenza appare carica di significato in quanto va a sottolineare le difficoltà che i lavoratori si trovano a vivere ed affrontare. Pertanto, emerge come i lavoratori si trovano a mettere in atto dei meccanismi di difesa “che consentono all’individuo di gestire situazioni percepite come avverse o pericolose” (Gabassi, 2006 : 243). Si tratta di quelle che prendono il nome di strategie di coping18, ossia quelle strategie “di fronteggiamento e controllo delle potenziali fonti di stress”

(ibid.); strategie che, nel caso dei dipendenti dell’azienda Carrefour, sembrano essere “focalizzate sul problema” (problem-focused), dunque con l’obiettivo di ridurre l’impatto negativo di un

18 Il termine coping deriva da to cope, che significa far fronte. Si tratta di quei processi cognitivi che

consentono all’individuo di adattarsi nell’ambiente entro cui è inserito (Gabassi, Mazzon, 1995 cit. in Gabassi 2006).

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problema e quindi mirate al cambiamento della situazione attuale19. Questo può accadere in

diversi modi: ricercando delle informazioni, le quali permettono una rivalutazione della situazione. Nel nostro caso, l’organizzazione sindacale e la RSU hanno permesso che i dipendenti venissero maggiormente a conoscenza delle problematiche che sarebbero sopravvenute a seguito della introduzione dei cambiamenti introdotti dal management. Un’altra modalità attraverso la quale può esplicarsi la strategia di coping focalizzata sul problema è quella di agire direttamente: e questo è accaduto attraverso le attività di sciopero che hanno visto i dipendenti utilizzare la loro voce. Inoltre, un’altra modalità consiste nella inibizione dell’azione, che possiamo riscontrare in alcuni atteggiamenti dei dipendenti: “ad esempio, prima era frequente rimanere a lavoro fino a

tardo pomeriggio nonostante l’orario terminasse alle 11 di mattina. Oggi no, non è più così.”

(lavoratore 1). E altri intervistati hanno raccontato di come vi è un minore interesse nel completare necessariamente i loro compiti entro l’orario di lavoro. Come sottolineato anche in precedenza, emerge come i lavoratori siano meno motivati e che il clima organizzativo abbia subito una serie di modifiche. Caratteristiche quali sostegno, calore e apertura (Quaglino et al., 1992) nel tempo sono venute meno, trasformandosi in chiusura e bassa fiducia tra i membri, con la conseguente attivazione di atteggiamenti di difesa20. Ed è possibile che questo abbia portato le persone a

sentirsi soggetti che devono solo eseguire delle attività, senza una propria discrezionalità e che ciò abbia aumentato i livelli di stress. Questo a causa soprattutto del basso grado di attenzione da parte della direzione dei bisogni dei dipendenti.

Come abbiamo osservato nel corso del testo, i lavoratori, i cui bisogni vengono il più possibile soddisfatti da parte dei capi, svolgono con più serenità e positività i loro compiti, mentre se ciò non avviene, il clima inevitabilmente subisce delle variazioni in termini negativi. Per non parlare degli effetti negativi anche per quanto concerne il rapporto dipendenti-clienti.

L’intervistata 2 ha raccontato che “In una riunione io dissi al direttore: si ricordi che un

dipendente stressato è normale che poi si rivolge in modo stressato verso il cliente. Il dover essere

sottomesso al cliente e l’essere sempre accondiscendente non mi va bene21.”

19 Questa è una delle due funzioni di coping descritte da Lazarus (1966); l’altra funzione è quella focalizzata

sull’emozione (emotional-focused), la quale ha l’obiettivo di modificare l’esperienza oggettiva e dei sentimenti negativi che derivano da essa (Gabassi, 2006).

20 Con l’attivazione delle strategie di coping di cui abbiamo parlato sopra.

21 Il riferimento è ad una nuova filosofia dell’azienda che consiste in delle regole che si basano sulla

centralità del cliente; sono chiamate anche le «regole 5 5 5» in quanto cinque regole sono dedicate alla “fiducia”, cinque al “servizio” e cinque all’ “esperienza”. Carrefour stesso afferma che il cliente è al centro del proprio impegno e la soddisfazione del cliente rappresenta il metro di misura delle proprie ambizioni.

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