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PROFILI TIPOLOGICI E STRUTTURALI

2. Dinamiche ermeneutiche nella giurisprudenza interna

2.2. Le oscillazioni interpretative incidenti su di un elemento del fat- fat-to tipico

2.2.1. La corruzione in incertis actis

Un esempio di mutamento ad effetto incriminatorio avente ad og-getto un elemento del fatto tipico è quello che si registra in tema di c.d. corruzione propria, in ordine all’interpretazione della nozione di

“atto contrario ai doveri d’ufficio” di cui all’art. 319 c.p.

Prima della riforma introdotta con la l. 6.11.2012, n. 190 (c.d. leg-ge Severino), l’art. 318 c.p. puniva la «corruzione per un atto d’uf-ficio» (c.d. corruzione impropria), nei casi un cui l’obbiettivo della retribuzione fosse il compimento di un atto che il pubblico funziona-rio avrebbe comunque dovuto compiere. L’art. 319 c.p. puniva e con-tinua tuttora a punire, invece – più severamente – la c.d. corruzione propria, avente ad oggetto in casi in cui il pactum sceleris riguardi il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o l’omissione di un atto conforme ai doveri di ufficio.

In entrambe le ipotesi, il presupposto dell’incriminazione era l’in-dividuazione, o almeno l’individuabilità, dello specifico atto, oggetto dell’accordo corruttivo 54.

54 In questo senso, v. in dottrina C.F. GROSSO, Sub artt. 318-322 c.p., in T. P

A-Tuttavia, in contrasto con l’interpretazione restrittiva più risalente, sul finire degli anni Novanta si è registrato un mutamento in malam partem ad opera delle sezioni semplici della Cassazione (in particolare della sezione VI) 55, che ha ritenuto che la locuzione di «atto contrario ai doveri d’ufficio» non dovesse essere interpretata in senso formale, bensì ricomprendesse qualsiasi comportamento posto in essere in violazione dei doveri di imparzialità, senza la necessità di individuare uno specifi-co atto determinato. L’overruling ha svolto una vera e propria funzione incriminatoria, estendendo l’ambito di applicazione della fattispecie di corruzione “propria” anche nei casi in cui la “retribuzione” fosse diretta ad acquisire una generica disponibilità del pubblico ufficiale.

Le ragioni di tale mutamento – innovativo rispetto alla pregressa esegesi giurisprudenziale – vanno ricercate nell’esigenza di colmare quello che era avvertito dalla giurisprudenza come un pericoloso vuoto di tutela, dovuto alla perdurante inerzia legislativa e alla neces-sità di adeguare lo spettro applicativo alle nuove forme di manifesta-zione del fenomeno corruttivo. L’overruling è stato motivato dall’esi-genza di reprimere, oltre alla c.d. corruzione “burocratica” caratte-rizzata dal compimento di uno o più atti amministrativi definiti, an-che quelle forme di manifestazione di c.d. corruzione “politico-af-faristica”, in cui l’oggetto del pactum sceleris non si traduce necessa-riamente nel compimento di un atto determinato, ma assume conno-tati più sfumati, essendo piuttosto incentrata sulla costruzione di una stabile rete di rapporti interpersonali. La necessità di individuare di volta in volta lo specifico atto oggetto di mercimonio ostacolava la repressione proprio delle forme più insidiose di corruzione, in cui lo scambio corruttivo è finalizzato alla costruzione di rapporti stabili, per effetto dei quali il pubblico funzionario finisce per essere messo genericamente a “libro paga” e, cioè, retribuito, dal privato. In tali casi, infatti, come rilevato in dottrina, può risultare «quasi impossibi-le individuare lo specifico atto (…) oggetto della corruzione» 56. In

chia-DOVANI (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazio-ne, Torino, 1996, 186.

55 V. Cass., sez. VI, 27.5.1998, n. 9517, in Cass. pen., 1999, 3128; Cass., sez. VI, 3.11.1998, n. 12357, in Rass. avv. Stato, 2000, I, 515. Nello stesso senso, v. anche Cass., sez. VI, 15.5.2008, n. 34417, in Cass. pen., 2009, 4, 1420, in base alla quale si ribadisce che «ai fini della configurazione del delitto di corruzione propria, pur non dovendosi ritenere necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio (…) occorre che dal suo comportamento emerga comunque un atteggia-mento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli». Più risalente v.

Cass., sez. VI, 5.2.1998, n. 2894, in Cass. pen., 1999, 2514, 3405.

56 Cass., sez. VI, 17.2.1996, Cariboni e altri, in Dir. pen. e proc., 1996, 691.

ve empirico-criminologica, la corruzione affaristica costituisce una forma di manifestazione particolarmente insidiosa, anche in ragione della distanza concettuale rispetto al previgente modello normativo di corruzione, incentrato sull’individuazione del nesso tra l’atto d’uf-ficio e l’indebito vantaggio. Questa discrasia tra dato legislativo e realtà criminologica ha spinto la giurisprudenza a ritenere integrato il reato facendo leva su altri criteri, quali la sussistenza della relazione del pubblico funzionario con il privato, al di là del dato puramente forma-le della presenza di un vizio di forma-legittimità in un atto determinato 57.

Con la riforma introdotta dalla l. n. 190/2012, il legislatore ha mo-dificato l’art. 318 c.p., trasformando il reato di corruzione per atto d’ufficio nel reato di corruzione “per funzione”, attraverso la puni-zione del «pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa». Al fine di assicurare la repressione legale della corruzione politico-affaristica, il nuovo art. 318 c.p. ha espressamente svincolato la punibilità dall’individuazione di uno specifico atto, così indirettamente “ratificando” l’interpretazione e-stensiva-incriminatrice della giurisprudenza che, già da tempo – co-me abbiamo visto –, riconosceva rilevanza penale a tale manifesta-zione criminologica, sebbene sotto il diverso e più grave titolo di rea-to di cui all’art. 319 c.p. Con la riforma dell’art. 318 c.p., il legislarea-tore ha, dunque, inteso colmare la preesistente lacuna normativa cui la giurisprudenza aveva già cercato di porre rimedio in via interpretati-va. A seguito della riforma, parte della giurisprudenza ha, quindi, ri-conosciuto la punibilità ex art. 318 c.p. dello «stabile asservimento del pubblico ufficiale (…) attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione eser-citata» 58, in stretta osservanza della nuova previsione legale.

Nonostante abbia avuto il merito di “consolidare” l’orientamento

57 Con scetticismo, parte della dottrina ha invece sostenuto le ragioni per cui, alla stregua degli altri elementi costitutivi della fattispecie, l’atto” dovrebbe essere determinato: v. A. MANNA, Corruzione e finanziamento illegale dei partiti, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1999, 116 ss.; T. PADOVANI, Il confine conteso, in Riv. it. dir. proc.

pen., 4, 1999, 1302; F. SGUBBI, Reati contro la p.a. e sindacato del giudice penale sull’attività amministrativa: il legislatore alla rincorsa del pubblico ministero, in Dir. pubbl., 1997, 99 ss.; V. MANES, L’atto d’ufficio nelle fattispecie di corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 2000, 926, il quale, in chiave storica, richiama la distin-zione tra corrudistin-zione in senso romanistico (come accettadistin-zione per il compimento di qualsiasi atto d’ufficio) e corruzione in senso germanistico (ossia la corruzione per il compimento di specifici atti contrari ai doveri).

58 Cass., sez. VI, 25.9.2014 n. 49226, in www.dejure.it.

estensivo, legittimandolo ex post sotto il profilo formale, la nuova in-criminazione ha destato, comunque, alcune perplessità 59. Essendo prevista dal novellato art. 318 c.p., la corruzione per funzione è puni-ta meno severamente della corruzione propria, mentre in alcuni casi l’orientamento estensivo della giurisprudenza aveva ricondotto tali ipotesi alla più grave ipotesi delittuosa di cui all’art. 319 c.p. Per que-sto motivo, in giurisprudenza, la scelta legislativa di punire la corru-zione indeterminata meno severamente di quella determinata non è apparsa “ragionevole” perché la corruzione “funzionale” sembra rife-rirsi a fatti caratterizzati da un maggiore disvalore, dato che la “mes-sa a disposizione” della funzione da parte del pubblico agente rap-presenta un vulnus particolarmente grave e riprovevole in ragione del radicale sprezzo che il pubblico agente mostra verso i suoi doveri.

Alla luce di tali considerazioni, dopo la riforma legislativa, la giu-risprudenza di Cassazione (tutta interna alla sezione VI) 60 ha conti-nuato a ricondurre i fatti di corruzione funzionale sotto la più grave figura della corruzione propria, ritenendo che «lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il siste-matico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post” (…) integra il reato di cui all’art.

319 c.p.» 61. Nell’indifferenza per il nuovo contenuto normativo

59 Per alcune osservazioni critiche della citata riforma v. F. PALAZZO, Le norme pe-nali contro la corruzione tra presupposti criminologici e fipe-nalità etico-sociali, in Cass.

pen., 2015, 10, 3389B ss., secondo cui la nuova incriminazione rivela «un’ambivalenza di fondo che non lascia presagire un grande avvenire a questa previsione normativa». V., sulla riforma nel complesso, R. GAROFOLI, La nuova disciplina dei reati contro la P.A., in www.penalecontemporaneo.it, 15.1.2013; e in relazione alle esigenze di politica cri-minale v. G.M. FLICK, Dalla repressione alla prevenzione o viceversa? Dalle parole ai fatti per non convivere con la corruzione, in Cass. pen., 2014, 9, 2754B ss.

60 V. Cass., sez. VI, 15.10.2013, n. 9883, in Cass. pen., 2014, 7-8, 2442, secondo cui «lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, at-traverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post”, configura il reato di cui all’art. 319 c.p., e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p.». Nello stesso senso, v. anche Cass., sez. VI, 19.6.2014, n. 33881, in Cass. pen., 2015, 4, 1496, secondo cui «in tema di corruzione, l’elemento sinallagmatico della fattispecie prevista dall’art. 319 c.p. è integrato anche dalla mera disponibilità mo-strata dal pubblico ufficiale a compiere in futuro atti contrari ai doveri del proprio ufficio, ancorché non specificamente individuati» e Cass., sez. VI, 23.2.2016, n.

15959, in www.dejure.it.

61 Cass., sez. VI, 25.9.2014, n. 47271, in Guida dir., 2014, 49-50, 24, in base alla quale «è da ritenere che l’art. 318 c.p. non abbia coperto integralmente l’area della

“vendita della funzione”, ma soltanto quelle situazioni in cui non sia noto il finali-smo del suo mercimonio».

dell’art. 318 c.p., l’orientamento giurisprudenziale sembra forzare i limiti dell’art. 319 c.p.: la stretta osservanza della previsione legale avrebbe dovuto probabilmente far rientrare qualunque patto corrut-tivo che non avesse ad oggetto un atto determinabile nella nuova pre-visione dell’art. 318 c.p.

Nonostante la riforma, la giurisprudenza ha, invece, continuato ad avallare l’indirizzo interpretativo in malam partem inaugurato sul fi-nire degli anni Novanta, anche se, tale indirizzo non produce più ef-fetti di incriminazione ma semplicemente “modificativi”, in quanto la punibilità del fatto è oggi comunque ricompresa nella meno grave fattispecie prevista dall’art. 318 c.p.

2.2.2. L’effettiva “influenza” sul pubblico funzionario nel millantato