PROFILI TIPOLOGICI E STRUTTURALI
2. Dinamiche ermeneutiche nella giurisprudenza interna
2.3. Le oscillazioni interpretative incidenti su di una norma extra- extra-penale integrativa
2.3.1. La rilevanza penale dell’elusione fiscale
Un caso emblematico di incertezza avente ad oggetto l’interpre-tazione di una norma extra-penale integrativa del precetto ha riguar-dato la questione della rilevanza penale del fenomeno dell’elusione fiscale.
Come è noto, mentre l’evasione fiscale si caratterizza per l’occul-tamento del presupposto d’imposta, il fenomeno elusivo consiste nel-l’«aggiramento della normativa tributaria attraverso una condotta for-malmente conforme alle norme impositive (…); una condotta cioè po-sta in essere essenzialmente senza altra ragione economica che quella di ottenere un risparmio di imposta» 129. In sintesi, la distinzione tra elu-sione fiscale ed evaelu-sione fiscale consiste nelle modalità del compor-tamento: quando “evade”, il contribuente “occulta” una realtà eco-nomica suscettibile di tassazione, mentre quando “elude”, compie
«fatti secundum ius e tuttavia assistiti da finalità che contrastano con lo spirito della legge» 130.
Nel nostro ordinamento, in assenza di un’espressa fattispecie in-criminatrice, la questione della rilevanza penale delle condotte elusi-ve è collegata all’interpretazione dell’art. 37-bis, d.p.r. 29.9.1973, n.
600, modificato ad opera dell’art. 7, d.lgs. 8.10.1997, n. 358, secondo cui sono «inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, di-retti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti» 131.
Tuttavia, l’interpretazione di tale norma ha dato adito ad alcune
M. GAMBARDELLA, sulla questione se siano punibili i cittadini rumeni espulsi, au-tori del reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dallo Stato impartito dal questore (art. 14, co. 5-ter, t.u. imm.), se, in un momento successivo alla com-missione del fatto, perdono lo status di extracomunitari per effetto dell’adesione della Romania all’UE.
129 T. GIACOMETTI, La problematica distinzione tra evasione, elusione fiscale e abuso del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 454.
130 G.M. FLICK, Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, in Giur. comm., 2011, 465.
131 Art. 37-bis, d.p.r. 29.9.1973, n. 600.
contrasti, soprattutto dopo che, con la sent. Halifax, 21.2.2006, causa C-55/02, la Corte GUE ha espresso il divieto del c.d. “abuso del dirit-to”, ossia della condotta di chi utilizza mezzi leciti per ottenere risul-tati indebiti. In effetti, i dubbi interprerisul-tativi sono originati dal fatto che l’elusione fiscale trova il suo presupposto fattuale proprio nell’a-buso del diritto. La condotta abusiva si caratterizza per lo “sviamen-to” dal fine ordinamentale, ossia per la strumentalizzazione del dirit-to per raggiungere finalità diverse dallo scopo per cui è stadirit-to attribui-to (connotaattribui-to strumentale), oltre che per il fatattribui-to che l’agente, tenendo una condotta formalmente rispettosa della normativa, ma contraria ai suoi fini, può dar adito ad una sproporzione tra il beneficio ottenu-to ed il sacrificio imposottenu-to ad altri beni meritevoli di tutela (connotaottenu-to proporzionalistico). La Corte di giustizia ha precisato, poi, che l’a-buso può ricorrere anche quando il vantaggio fiscale costituisce lo scopo non esclusivo, purché essenziale: l’abuso del diritto sussiste, quindi, anche quando concorrono altre ragioni economiche a soste-gno dell’operazione economica.
Nonostante la pronuncia della Corte di Lussemburgo, la dottrina interna ha tuttavia escluso che – in assenza di un’espressa tipizzazio-ne legislativa – l’elusiotipizzazio-ne potesse integrare un illecito penale 132. La verifica dell’integrazione del requisito dell’abuso del diritto postule-rebbe un giudizio valutativo eccessivamente discrezionale, dato che rimettere al giudice il compito di accertare il requisito della «man-canza di valide ragioni economiche» implicherebbe «una delicatissima intromissione dei giudici in valutazioni in fatto» 133. Il giudizio sul-l’integrazione del presupposto dell’abuso del diritto attribuirebbe ai giudici uno strumento “duttile” in grado di consentire l’adattamento
“in via ermeneutica” del dato legislativo, con conseguente estensione dell’ambito del penalmente rilevante, a dato legislativo invariato.
I moniti della dottrina sono stati recepiti dalla giurisprudenza 134,
132 V., ex multis, A. ALESSANDRI, L’elusione fiscale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 1075 ss.; F. MUCCIARELLI, Abuso del diritto, elusione fiscale e fattispecie in-criminatrici, in G. MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Mi-lano, 2009, 421 ss.; E. MUSCO-F. ARDITO, Diritto penale tributario, Bologna, 2010, 166 ss.
133 G.M. FLICK, Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, cit., 485.
134 In termini di irrilevanza penale della condotta elusiva, Cass., sez. V, 7.7.2006, n. 34780, in Corr. trib., 2006, 3045 ss.; Cass., sez. V, 18.5.2006, n. 23730, in Cass. pen., 2007, 9, 3256, secondo cui «la condotta elusiva non viola alcuna norma incriminatrice giacché l’elusione è fenomeno diverso ed antitetico all’eva-sione».
che ha, infatti, escluso – almeno inizialmente – la rilevanza penale dell’elusione fiscale sulla scorta delle medesime argomentazioni.
Tuttavia, l’inversione di rotta si è registrata a partire dal 2011 135, allorquando le condotte di elusione fiscale sono state sussunte sotto le fattispecie previste dagli artt. 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omes-sa dichiarazione) d.lgs. 10.3.2000, n. 74. Con la sentenza Dolce&Gab-bana 136, la Cassazione ha ritenuto che anche la c.d. estero-vestizione, ossia la cessione della titolarità dei marchi ad una società esterna a fronte della permanenza sul territorio nazionale dell’attività creativa e di gestione dei marchi, possa assumere rilevanza penale, proprio ai sensi degli artt. 4 e 5 d.lgs n. 74/2000, «quando tale condotta, risolven-dosi in atti e negozi non opponibili all’amministrazione finanziaria, comporti una dichiarazione infedele per la mancata esposizione degli elementi attivi nel loro effettivo ammontare». In effetti, attraverso il ri-corso alla tecnica fiscale dell’estero-vestizione, gli imputati erano riu-sciti ad “eludere” l’amministrazione tributaria, raggiungendo il fine di ottenere il risparmio di imposta: la Cassazione, quindi, «ha ritenu-to configurabile il rearitenu-to di dichiarazione infedele [...] anche in presenza di una condotta elusiva rientrante tra quelle previste dall’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600» 137. Chiaro è stato l’intento della giu-risprudenza di adeguare – non senza forzature – la legislazione vigen-te, in modo da consentire la repressione anche delle nuove e più ela-borate tecniche elusive. Motivando espressamente a favore della pre-vedibilità dell’overruling interpretativo, la sentenza Dolce&Gabbana
135 V. Cass., sez. III, 18.3.2011, n. 26723, Ledda, in www.dejure.it: fattispecie in tema di sequestro preventivo per equivalente in cui la Corte ha precisato che il reato di dichiarazione infedele, a differenza di quello di dichiarazione fraudolen-ta, non richiede alcuna attitudine ingannatoria nei confronti del Fisco.
136 Cass., sez. II, sent. 22.11.2011, n. 7739, Dolce&Gabbana, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2013, 442. Nel caso di specie, i due stilisti, in concorso con altri, avevano costituito nel 2004 una società di diritto lussemburghese, la GADO s.r.l., alla qua-le avevano ceduto i marchi, vera fonte della ricchezza del gruppo, ad un prezzo sottostimato. La società lussemburghese aveva poi concesso i diritti di sfrutta-mento dei marchi ad una società italiana controllata dagli stessi imputati, dietro pagamento di royalties. In questo modo, il flusso dei redditi generati sotto forma di royalties, dichiarato in Lussemburgo, era assoggettato ad un’imposizione deci-samente più favorevole di quella italiana. Dopo aver la Cassazione pronunciato una sentenza di annullamento con rinvio, il Trib. di Milano con pronuncia del 19.6.2013 ha affermato la responsabilità penale degli imputati per il reato di o-messa dichiarazione (art. 5 d.lgs. n. 74/2000) in relazione alla mancata presenta-zione in Italia della dichiarapresenta-zione della società GADO esterovestita, decisione poi confermata dalla Corte di appello di Milano il 30.4.2014.
137 Cass., sez. II, 22.11.2011, n. 7739, cit., 442.
ha assunto il ruolo di leading case, tanto che lo stesso Ufficio del Massimario della Cassazione, nella propria Relazione sull’ammini-strazione della giustizia nell’anno 2011, ha considerato la sentenza
«espressiva di un rilevante mutamento giurisprudenziale» 138.
Nel solco dell’indirizzo estensivo si inserita anche la successiva sentenza Bova del 2013 139, con cui la Cassazione ha confermato la rilevanza penale di operazioni elusive.
Dopo le oscillazioni iniziali, la giurisprudenza ha così consolidato l’interpretazione ad effetti incriminatori per l’esigenza, a fronte di nuove forme criminologiche di manifestazione del reato, di sopperire ad una (supposta) situazione di inerzia legislativa e di colmare una lacuna del diritto tributario. La giurisprudenza ha osservato che de-terminate condotte, poste in essere senza altra ragione economica che quella di ottenere un indebito sgravio fiscale, per quanto fossero formalmente conformi alle norme impositive, potessero realizzare il fine di “frodare” l’amministrazione tributaria, al pari delle condotte espressamente previste come reato. In assenza del mutamento inno-vativo, l’irrilevanza penale delle condotte elusive avrebbe portato ad un mancato adeguamento normativo rispetto all’affinamento delle nuove tecniche utilizzate per sottrarsi al pagamento delle imposte. Le ragioni a sostegno del mutamento interpretativo sono, quindi, da ri-cercarsi in considerazioni di politica criminale, volte ad evitare l’im-punità di quelle condotte idonee a determinare una riduzione (o ad-dirittura un’esclusione) della base imponibile. Inoltre, l’orientamento estensivo sarebbe in sintonia con il divieto dell’abuso del diritto ex art. 54 della Carta di Nizza, come sostenuto anche dalla sentenza del 10.11.2011 140 della Corte GUE, secondo cui l’applicazione delle nor-me di diritto non può essere estesa sino a comprendere pratiche abu-sive, ossia operazioni effettuate unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente di un vantaggio fiscale.
Per giustificare, poi, il mutamento interpretativo, sotto il profilo della prevedibilità, la giurisprudenza ha fatto ricorso a criteri
teleolo-138 Corte Suprema di Cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011, 26.1.2012, in www.giustizia.it, 193.
139 Cass., sez. III, 3.5.2013, n. 19100 in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 2078. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. V, 23.5.2013, n. 36894, in Cass. pen., 2014, 10, 3408, secondo cui «il reato tributario di dichiarazione infedele può essere integrato anche da condotte elusive ai fini fiscali purché riconducibili a quelle previste dagli art. 37, comma 3 e 37 bis, d.P.R. n. 600 del 1973».
140 Corte GUE, sent. 10.11.2011, C-126/10, Foggia – Sociedade Gestora de Parti-cipaçoes Sociales SA c. Secretario de Estado dos Asuntos Fiscais.
gici-sistematici. Nella citata sentenza Dolce&Gabbana, la Cassazione ha ritenuto, infatti, che l’estensione della rilevanza penale delle con-dotte elusive fosse «conforme ad una ragionevole prevedibilità» 141, fa-cendo leva proprio su considerazioni teleologiche legate allaratio del-la fattispecie.
In primo luogo, la Cassazione ha fatto riferimento alla definizione legislativa dell’“imposta evasa” 142, idonea a ricomprendere anche l’imposta “elusa”, intesa come il risultato della differenza tra un’im-posta effettivamente dovuta e quella dichiarata.
Inoltre, la previsione del c.d. interpello preventivo 143 in condizioni di obbiettiva incertezza sulla corretta applicazione di una norma co-stituirebbe un ulteriore indizio a sostegno della rilevanza penale della condotta elusiva. In un simile contesto, assumerebbe particolare rile-vanza l’art. 16 del d.lgs. n. 74/2000, il quale dispone che «non dà luo-go a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, av-valendosi della procedura stabilita dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 21, commi 9 e 10, si è uniformato ai pareri del Ministero delle fi-nanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielu-sive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le opera-zioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso».
Nonostante la relazione al decreto legislativo precisi che tale di-sposizione non può essere interpretata come «diretta a sancire la rile-vanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive», detta disposizio-ne induce a ritedisposizio-nere che l’elusiodisposizio-ne, al di fuori dal procedimento di in-terpello, possa avere rilevanza penale. Tale conclusione sarebbe con-fermata dalla collocazione sistematica del citato art. 16, che infatti è inserito, nell’ambito del titolo III, subito dopo l’art. 15 concernente le
«violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie».
D’al-141 Cass., sez. II, 22.11.2011, n. 7739, Dolce&Gabbana, cit., 442. Allorquando la punibilità non sia ragionevolmente prevedibile – avverte la Cassazione – si ricorre allo strumento di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 74/2000, il quale dispone che esclude la punibilità per le violazioni «dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione».
142 In base alla definizione di cui al d.lgs. n. 74/2000, art. 1, lett. f, per imposta evasa si intende infatti «la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa di-chiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di ac-conto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presenta-zione della dichiarapresenta-zione o della scadenza del relativo termine».
143 L’interpello previsto dalla l. 27.7.2000, n. 212, art. 11, si riferisce ad «obiet-tive condizioni di incertezza sulla corretta applicazione di una norma», peraltro con riferimento a «casi concreti e personali».
tro canto, non si vede per quale ragione il legislatore avrebbe dovuto prevedere un’esimente speciale se l’elusione fosse in ogni caso pe-nalmente irrilevante.
La tesi della rilevanza penale dei comportamenti elusivi sarebbe, inoltre, avvalorata dall’obbiettivo di politica criminale perseguito dal legislatore a seguito della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74/2000, che ha focalizzato la risposta punitiva sull’infedeltà della dichiara-zione annuale, per cui se il bene tutelato è la corretta percedichiara-zione del tributo, l’ambito di applicazione delle norme incriminatrici ben po-trebbe coinvolgere anche quelle condotte concretamente idonee a de-terminare un’alterazione artificiale della base imponibile.
Tuttavia, in dottrina 144 si è ritenuto che l’orientamento tivo estensivo fosse in verità il frutto di un’inammissibile interpreta-zione analogica, dato che l’art. 37-bis d.p.r. n. 600/1973 prevede e-spressamente l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria delle operazioni elusive 145. La corrispondenza del mutamento interpretati-vo alla ratio delle norme incriminatrici, per quanto ragioneinterpretati-vole, non potrebbe in alcun caso legittimare la prevedibilità di operazioni in-terpretative in contrasto con il dato letterale. In altre parole, come rilevato in dottrina, «le operazioni elusive (…) potrebbero costituire reato [solo] in un sistema che disconosc[a]: il principio di riserva di legge, il principio di tassatività, il principio di retroattività, il principio di tipicità della fattispecie e del carattere frammentario o puntiforme della tutela penale; il principio di personalità della responsabilità penale» 146.
In giurisprudenza, un ritorno all’orientamento restrittivo è rap-presentato dalla sentenza “Mythos” nel 2013 147, con cui,
discostando-144 V. in tal senso, tra gli altri, G.P. ACCINNI, Disastro ambientale ed elusione fi-scale: due paradigmatici esempi di sostanziale violazione del principio di legalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, 755 ss.; M. DI SIENA, La criminalizzazione dell’elu-sione fiscale e la dissolvenza della fattispecie criminosa, in Riv. dir. trib., 2013, 10, 194 ss.; V. MANES, Il ruolo poliedrico del giudice penale, cit., 1918 ss.; A. PERINI, La tipicità inafferrabile, ovvero elusione fiscale, «abuso del diritto» e norme penali, in Riv. dir. pen. econ., 2012, 731 ss.; P. VENEZIANI, Elusione fiscale, “esterovestizione”
e dichiarazione infedele, in Dir. pen. proc., 2012, 868 ss.
145 Così come modificato dall’art. 7, d.lgs. 8.10.1997, n. 358, l’art. 37-bis, d.p.r.
n. 600/1973, prevede che sono «inopponibili all’amministrazione finanziaria gli at-ti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere ridu-zioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti».
146 G. FLORA, Perché «l’elusione fiscale» non può costituire reato (a proposito del
«caso Dolce & Gabbana»), in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 865 ss.
147 Cass., sez. III, 16.1.2013, n. 36859, in www.penalecontemporaneo.it, 20.1.2014. Il
si dal precedente, la Cassazione ha aderito all’orientamento più re-strittivo, considerando tale soluzione più rispettosa del principio di legalità.
Anche al fine di rimediare al grave stato di incertezza venutosi a creare e di porre al riparo il contribuente dal rischio di condanne non prevedibili riguardo a comportamenti ritenuti precedentemente leci-ti, con l’art. 1, d.lgs. 5.8.2015, n. 128, il legislatore ha introdotto, nella l. 27.7.2000, n. 212, l’art. 10-bis, il quale prevede espressamente che
«le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie». Inoltre, il d.lgs. 24.9.2015, n. 158 ha modifica-to l’art. 4, d.lgs. n. 74/2000 («dichiarazione infedele»), sostituendo, tra l’altro, la locuzione «elementi passivi fittizi» in «elementi passivi ine-sistenti»: tale modifica sembra costituire un ulteriore elemento a supporto normativo della tesi dell’esclusione della rilevanza penale dell’elusione fiscale 148.
Successivamente alla riforma del 2015, la Cassazione 149 ha, quin-di, riconosciuto la sopravvenuta irrilevanza penale della condotta elusiva per intervenuta abolitio criminis parziale.
2.3.2. Il c.d. “sviamento di potere” nell’abuso d’ufficio
Rimanendo all’interpretazione di una norma extra-penale integra-tiva del precetto, non pochi problemi sono originati dalla definizione della nozione di «violazione di legge» nel reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p.
Nella sua struttura originaria, prima della riforma operata dalla l.
26.4.1990, n. 86 150, l’abuso d’ufficio rappresentava una figura
crimi-caso riguardava le vicende del c.d. gruppo Mythos, in relazione al quale la Cassazione si è soffermata sul problema della possibilità di ravvisare una responsabilità pe-nale nelle operazioni economiche contestate agli imputati (c.d. dividend washing).
148 Grazie a tale modifica terminologica, il reato sarebbe integrato anche lad-dove il contribuente abbia indicato elementi passivi formalmente esistenti, ma risultanti da condotte elusive.
149 Cass., sez. III, 1.10.2015, n. 40272, in Foro it., 2015, 10, II, 533: nel caso di specie, è stata esclusa la rilevanza penale dell’indicazione di elementi passivi frut-to di condotte elusive poste in essere attraverso la conclusione di contratti – sfrut-tock lending agreement – in assenza di un effettivo contenuto economico, consentivano un risparmio fiscale.
150 A seguito dell’entrata in vigore della l. 26.4.1990, n 86, l’art. 323 stabiliva che «il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procu-rare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio».
nosa di portata applicativa marginale 151: si trattava di una disposi-zione “di chiusura” del sistema, la cui fundisposi-zione residuale, espressa dalla clausola di sussidiarietà contenuta sia in rubrica, sia nel testo, ne limitava l’ambito di applicazione. La fattispecie non trovava, in ef-fetti, significativi riscontri nell’esperienza giudiziaria, a causa della presenza concomitante, da un lato, del delitto di interesse privato in atti d’ufficio, e, dall’altro, dell’ipotesi criminosa del peculato per di-strazione.
Con la riforma attuata dall’art. 1, l. 16.7.1997, n. 234, il legislatore ha cercato di porre rimedio all’eccessiva indeterminatezza della fatti-specie 152, eliminando il riferimento ad un comportamento generica-mente abusivo la cui portata tautologica non consentiva di seleziona-re le condotte astrattamente punibili, e circoscrivendo l’elemento og-gettivo intorno a due condotte, consistenti alternativamente nella vio-lazione di una norma di legge o di regolamento ovvero nell’omessa astensione in presenza di un interesse confliggente con quello del proprio ufficio 153.
Pur essendo finalizzata ad assicurare un più elevato coefficiente di determinatezza, la nuova formulazione è stata criticata in dottrina per la sua inadeguatezza 154: avendo strutturato la fattispecie incrimi-natrice sul modello di una legge penale parzialmente in bianco 155, la
151 La formulazione del 1930 prevedeva la punibilità del «pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un dan-no o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto dan-non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge».
152 Riscostruisce – sotto il profilo storico – gli aspetti essenziali delle riforme dal 1990 al 1997, V. MANES, Abuso d’ufficio e progetti di riforma: i limiti dell’attuale formulazione alla luce delle soluzioni proposte, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1202 ss. In chiave storico-comparatistica, v. altresì A. MANNA, Profili storici-compara-tistici dell’abuso d’ufficio, in Riv. it. dir. proc. pen., 4, 2001, 1201, il quale ripercor-re le origini del ripercor-reato di abuso d’ufficio nei paesi europei.
153 La nuova formulazione dell’art. 323 c.p. prevede, salvo che il fatto non co-stituisca un più grave reato, la punibilità del «pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzio-nalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto».
154 Profili problematici sul rispetto dei canoni di determinatezza e di tassativi-tà erano stati evidenziati da G. DE FRANCESCO, La fattispecie dell’abuso di ufficio:
profili ermeneutici e di politica criminale, in Cass. pen., 1999, 1633 ss.
155 Così, A. MANNA, Abuso d’ufficio e conflitto d’interessi nel sistema penale, To-rino, 2004, 38. La Corte costituzionale ha comunque respinto i dubbi di