AL COSTITUZIONALISMO MODERNO
1. Il modello illuministico
1.6. Eredità dell’Illuminismo tra proclamazioni solenni ed attua- attua-zione pratica
Paradigmatica del modello illuministico è la tendenza ad
anco-13 C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene (1764), Milano, ed. 1987.
rare – attraverso la riflessione filosofico-giuridica – la legittimazio-ne della legalità e dei suoi corollari ad alcuni principi fondamentali.
Con il giusnaturalismo inglese e le teorie contrattualistiche, la ra-tio del principio di irretroattività fu legata alla garanzia di certezza giuridica (Hobbes) e a quella di libertà (Locke). Grazie al pensiero di v. Feuerbach ed ai suoi studi sulle finalità della pena, l’irretroattività fu ricondotta anche al principio di colpevolezza, attraverso una felice intuizione che fu successivamente sviluppata dalla c.d. Scuola classi-ca e, in particolare, da Carrara.
Nel contesto dell’ideologia rivoluzionaria francese, trovò consa-crazione il corollario della riserva di legge, tutelato sia come garanzia formale, sia come garanzia sostanziale. Da primo punto di vista, la riserva di legge fu ritenuta lo strumento atto a garantire che il potere punitivo fosse esercitato da un organo democratico, rappresentativo della volontà generale, attraverso il procedimento legislativo. Dal punto di vista sostanziale, le caratteristiche della legge (generalità ed astrattezza) furono ritenute garanzia di giustizia.
Le qualità della precisione e della determinatezza della legge fu-rono considerate caratteristiche essenziali per assicurare la certezza giuridica, dato che in claris non fit interpretatio. Oltre che alla tutela di un diritto certo (dimensione oggettiva), la determinatezza fu rite-nuta funzionale anche alla tutela di un diritto prevedibile (dimensio-ne soggettiva). Il legame tra determinatezza, certezza e prevedibilità fu successivamente sviluppato in chiave utilitaristico da Bentham e costituì una fondamentale acquisizione dogmatica, avuto riguardo al fondamento ideologico della legalità contemporanea nella dimensio-ne europea. Da ultimo, il principio di tassatività ed il divieto di ana-logia contribuirono alla “chiusura del cerchio”, al fine di evitare che l’irretroattività e la riserva di legge venissero vanificati, in sede appli-cativa, dai possibili arbitrii dei giudici.
Il riconoscimento sinergico di tutti questi corollari (irretroattività, riserva di legge, precisione, determinatezza, tassatività) assicurò che la legalità potesse trasformarsi da mera enunciazione formale (quale appariva nella Magna Charta) a garanzia sostanziale e concretamente applicabile. Secondo la c.d. Scuola dell’esegesi, diffusasi successiva-mente al periodo illuministico, i testi di legge dovevano essere consi-derati auto-sufficienti: il diritto codificato fu, quindi, concepito come un “diritto fotografabile”, “ad alta definizione” 14.
14 Le espressioni sono di C. PIERGALLINI nella relazione intitolata “Autonorma-zione e controllo penale: verso la privatizza“Autonorma-zione delle fonti?”, in occasione del III
Non si deve però pensare che le garanzie solennemente proclama-te – che avevano trovato espressione nell’opera di “razionalizzazione”
del diritto intrapresa nella c.d. età delle codificazioni – ricevessero al contempo piena attuazione pratica. Anche durante l’Illuminismo e soprattutto nelle epoche successive, il riconoscimento dei principi a livello ideologico non trovò adeguata attuazione pratica. Ad esempio, nell’età napoleonica si fece largo uso della legislazione delegata. Inol-tre, anche nei casi in cui era la legge stessa a disciplinare la materia penale, tale fonte fu ben lontana dall’essere espressione della volontà generale, date le numerose restrizioni, ben presto reintrodotte dopo la rivoluzione, al suffragio universale, che la resero piuttosto espres-sione di una società politica monistica o monoclasse: la borghesia.
Anche il ruolo del formante giurisprudenziale – per quanto vincolato – non fu mai completamente “annullato”: a dispetto di ogni apparen-za, l’assetto istituzionale post-rivoluzionario non riuscì a mutare in profondità la forma mentis dei giuristi, che restò improntata al meto-do dell’interpretatio dell’Ancien Régime 15. Anche la stessa Scuola del-l’esegesi, che teoricamente avrebbe dovuto limitare l’interpretazione al mero dato letterale, si impegnò attraverso i Commentarii ad appro-fondire, chiarire ed integrare il significato di molte disposizioni, con esiti certamente creativi. Inoltre, il Codice napoleonico del 1810, intro-ducendo il divieto del non liquet 16, ossia il divieto per il giudice di non pronunciarsi allegando il silenzio, l’oscurità o l’insufficienza della leg-ge, ammise implicitamente che, in alcuni casi, la legge potesse rivelarsi
“oscura”, come già era avvenuto con l’istituto del référé législatif.
Del resto, verso i primi dell’Ottocento, si venne affermando, so-prattutto in Germania, la c.d. Scuola storica. Nell’opuscolo “Vocazio-ne della nostra epoca per la legislazio“Vocazio-ne e la giurisprudenza” (1814), v.
Savigny sostenne che il diritto non sarebbe “statico”, ma si evolve-rebbe continuamente sulla base di quello che Hegel definì come lo
“spirito del popolo” (Volksgeist) e che solo il diritto giurisprudenziale avrebbe potuto esprimere. Il merito della Scuola storica fu, dunque,
convegno nazionale dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale, te-nutosi a Napoli il 7-8.11.2014, sul tema la crisi della legalità. Il “sistema vivente”
delle fonti penali.
15 Cfr. U. PETRONIO, L’analogia tra induzione e interpretazione. Prima e dopo i codici giusnaturalistici, in C. STORTI (a cura di), Il ragionamento analogico. Profili storico-giuridici, Napoli, 2010, 183-292.
16 L’art. 4 del titolo preliminare del Codice napoleonico prevedeva che «il giu-dice che ricuserà di giudicare allegando il silenzio, l’oscurità o l’insufficienza della legge, dovrà risponderne come colpevole di denegata giustizia».
quello di mettere in luce il problema interpretativo/applicativo, che – nella dialettica tra certezza e giustizia del diritto – non poteva essere ridotto allo schema dichiarativo puro.
Gli influssi della Scuola storica non giunsero invero fino in Italia: i codici penali pre-unitari si ispirarono per lo più al modello di codifi-cazione napoleonica. Tuttavia, anche in tali codici 17, così come era avvenuto in Francia, alla proclamazione formale della legalità corspondeva una scarsa effettività. Furono frequenti, ad esempio, i ri-corsi dei giudici penali all’extensio in penalibus, anche se ex paritater ationis (c.d. interpretatio ad supplendum).
In fin dei conti, per quanto solennemente proclamata, sotto il pro-filo della sua concreta attuazione, la legalità assumeva contenuti uto-pistici.