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AL COSTITUZIONALISMO MODERNO

2. Il modello giuspositivistico

2.3. Legalità e giurisprudenza nello Statuto Albertino

Il modello giuspositivistico si diffuse anche in Italia, specie dopo la difficile e controversa unificazione del 1861, in ragione della ne-cessità di legittimare l’autorità della legge del nuovo Stato. La conce-zione della legalità come strumento di affermaconce-zione della sovranità statale trovò espressione nello Statuto Albertino del 1848, in un testo costituzionale dal limitato contenuto precettivo, in quanto a natura flessibile e basato sul dualismo, non giuridicamente risolto, tra prin-cipio monarchico e prinprin-cipio rappresentativo, secondo quella che è stata felicemente definita come «sovranità indecisa» 20.

Nello Statuto, il principio della riserva di legge ricevette tutela solo formale 21: non fu, cioè, espressione della “volontà generale” di memoria illuministica, giacché la reale democraticità era limitata in concreto dalle numerose restrizioni al diritto di voto. La legge fu espressione di un contesto politico-sociale omogeneo, rappresentativo solo degli inte-ressi della classe sociale borghese, ponendo in tal modo le premesse per

20 G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., 25.

21 Il principio della riserva di legge trovò consacrazione nell’art. 26 dello Statu-to Albertino, in base al quale si stabilì che «la libertà individuale è guarentita. Niu-no può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se Niu-non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch’essa prescrive».

l’unità della legislazione, senza necessità di una Costituzione rigida.

Nonostante la proclamazione formale del principio, nella prassi fu comunque assai frequente il ricorso ai c.d. regolamenti delegati, at-traverso i quali la legge conferiva in termini estremamente generici e temporalmente illimitati a successivi regolamenti il compito di intro-durre nuove norme incriminatrici ovvero di modificare norme prece-dentemente introdotte da un’altra legge (art. 6 dello Statuto). Soprat-tutto nel secondo caso, si realizzò un vero e proprio fenomeno di de-legificazione, con la conseguente abrogazione della disciplina legisla-tiva e la sua contestuale sostituzione con quella regolamentare.

Nello Statuto Albertino, conformemente al modello giuspositivi-stico, ricevettero invece piena tutela il principio di tassatività ed il di-vieto di analogia, ossia le garanzie contro i possibili arbitrii dei giudi-ci, i quali furono posti alle dipendenze dall’esecutivo 22. In base all’art.

73 dello Statuto, il potere di interpretazione della legge – considerato come un ostacolo alla certezza del diritto, in ossequio al principio sub lege libertas – fu riservato al solo legislatore.

Nonostante lo Statuto escludesse il potere interpretativo dei giudi-ci, nella realtà fu assai difficile arginare realmente tale potere. Si pen-si al caso della violenza sessuale per sostituzione di persona: nono-stante l’art. 490 del codice penale sabaudo (1859) non includesse nel reato di stupro anche l’ipotesi della sostituzione di persona, la giuri-sprudenza ritenne comunque applicabile la norma incriminatrice 23, anche se l’opinione dottrinale contraria considerava tale operazione frutto di un’interpretazione analogica.

Il tentativo di “imbrigliare” il potere interpretativo, ancorandolo ad un dato letterale univoco e autosufficiente, non sortì alcun effetto:

da uno studio del 1888 sull’ultimo quindicennio di attività giurispru-denziale emerse che ben 256 questioni di diritto penale avevano dato adito a contrasti interpretativi 24. Del resto, l’eterogeneità interpretati-va derivò anche – a partire dal 1861– dalla compresenza sul territorio nazionale di ben quattro Corti regionali, con sede a Torino, Firenze,

22 La presenza di magistrati al vertice del Ministero di grazia e giustizia oppu-re nei due rami del Parlamento fu assai significativa, confermando “l’osmosi” fra i diversi organi, tipica del periodo. Il tema del rapporto tra magistratura e politica nello Stato unitario è stato affrontato da M. DʹADDIO, Politica e magistratura 1848‐

1976, Milano, 1976.

23 V. Cass. Torino, 10.5.1884, Alemanno, in Giur. pen., vol. IV, 1884, 265 ss.;

Cass. Torino, 10.11.1885, Bottigella, ivi, vol. V, 1885, 536 ss.

24 V. lo studio di L. LUCCHINI, Le discordanze delle Corti di cassazione in mate-ria penale, in Riv. pen., 1889, 136 ss.

Napoli e Palermo, retaggio dell’attività giurisdizionale degli Stati pre-unitari. Nell’intento di offrire «la prima immagine di un Tribunale ve-ramente nazionale (…) a compimento e guarentigia dell’unità nazionale e legislativa» 25, ad esse, nel 1876, si affiancò la Corte di Roma 26, con la finalità, tra l’altro, di scongiurare il «moltiplicarsi delle discordanze tra le giurisprudenze delle Corti supreme» 27.

2.4. Legalità nel codice Zanardelli e l’influsso della c.d. Scuola classica

Si dovette attendere l’entrata in vigore del primo codice penale unitario – il codice Zanardelli 28 (1889) – perché nel Regno d’Italia l’ambivalenza della legalità trovasse un’equa composizione. Nel tenta-tivo di ricomporre ad unità le esigenze formali e quelle di libertà, il codice Zanardelli inserì il principio di irretroattività, come strumento di garanzia dei cittadini, non solo in quanto necessario ad assicurare la certezza giuridica (come già sostenuto da Hobbes), ma anche, co-me garanzia di libertà di autodeterminazione (Locke). La previa esi-stenza della norma incriminatrice venne ritenuta una condizione im-prescindibile affinché, nell’ottica della c.d. concezione bipartita del reato, fosse possibile ipotizzare al momento dell’accertamento del fatto (“forza fisica”) anche un atteggiamento “colpevole” del soggetto agente (“forza morale”).

Proclamata in apertura al codice come da tradizione illuministica, la riserva di legge fu tutelata quale garanzia sostanziale, recuperando

25 Relazione inaugurale dell’anno giudiziario 1877 dall’allora Procuratore ge-nerale del Re presso la Corte di cassazione di Roma, G. De Falco, pronunciata a Roma all’Assemblea generale del 2.1.1877, in www.giustizia.it.

26 L’istituzione della Corte di Roma costituì il primo passo verso l’accen-tramento della Cassazione in unica Corte, come si intuì dalle parole dell’allora Guardasigilli: «le Sezioni romane di Cassazione avranno evidentemente l’onore di iniziare quella Suprema Magistratura unica di cui la nuova legislazione italiana suppone la esistenza (…) sino a quel giorno in cui sarà divenuta un fatto compiuto in questa sua sede naturale» (Discorso inaugurale delle Sezioni di Corte di cassa-zione di Roma del Ministro Guardasigilli On. P.O. Vigliani, Roma, 4.3.1876, in www.giustizia.it).

27 Relazione inaugurale dell’anno giudiziario 1877, cit.

28 Il codice Zanardelli sostituì il codice sardo del 1859 che era stato esteso do-po l’Unità, con qualche modifica, all’intero territorio del Regno d’Italia, ad esclu-sione del Veneto, ove era rimasto in vigore il codice austriaco, e della Toscana ove era rimasto in vigore il codice penale dell’ex Granducato perché non conteneva la pena di morte.

la funzione di tutela della giustizia ed uguaglianza, assente nello Sta-tuto albertino. Si pensi in questo senso all’elaborazione dottrinale – di qualche decennio successiva – di Manzini, il quale ritenne che solo nella legge generale ed astratta, in cui la responsabilità penale fosse stabilita in modo eguale per tutti, potesse essere esclusa «ogni perso-nalità ed ogni impulsività» 29.

Anche il principio di determinatezza e di precisione furono ogget-to di tutela. Nella Relazione al Re, il guardasigilli Zanardelli si disse convinto che «le leggi devono essere scritte in modo che anche gli uo-mini di scarsa cultura possano intenderne il significato» e ciò soprat-tutto per il diritto penale perché a tutti «deve essere dato modo di sa-pere, senza bisogno d’interpreti, ciò che dal codice è vietato» 30. Rinne-gando la formulazione casistica o per clausole generali, venne prefe-rita per quanto possibile la c.d. “normazione sintetica”, volta a de-scrivere il disvalore del fatto mediante una astrazione sintetica dai casi concreti, con la formulazione delle fattispecie penali sulla base di tipologie di aggressione “per tipi criminosi”. Si cercò al contempo anche di ridurre il ricorso, per quanto possibile, ai concetti “elastici”, ossia a quei concetti che, pur avendo un nucleo di significato incon-trovertibile, presentano una “zona grigia”, suscettibile di alterne in-terpretazioni.

Tuttavia, come già accaduto nello Statuto albertino, anche nel co-dice Zanardelli tali principi non trovarono piena attuazione 31. Si era ben lontani dall’ideale di certezza e stabilità derivante da

un’interpre-29 V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V, Torino, 1985, 229.

30 Relazione al Re del Ministro Guardasigilli Zanardelli nell’udienza del 30.6.1889 per l’approvazione del testo definitivo del Codice penale, Roma, 1889, 184.

31 Si pensi al caso dell’ipotesi della violenza carnale per sostituzione di persona che fu considerata – come già era avvenuto durante la vigenza del codice penale sabaudo – un’ipotesi rientrante nell’art. 331, 2° co., n. 4, c.p. del 1889, che preve-deva il reato di violenza carnale allorché la vittima «non [fosse] in grado di resiste-re, per malattia di mente o di corpo, o per altra causa indipendente dal fatto del col-pevole, ovvero per effetto di mezzi fraudolenti da esso adoperati». La giurisprudenza ritenne che se la sostituzione di persona avviene in stato di dormiveglia della donna, quest’ultima non sia in grado di resistere: v. Cass. Roma, 8.5.1893, Sciar-pelletti, in Riv. pen., 1893, 325 ss. Un altro esempio significativo è quello del mu-tamento interpretativo della giurisprudenza in ordine al furto d’uso. Nonostante il codice Zanardelli non ne menzionasse espressamente la punibilità, la giurispru-denza sul finire dell’Ottocento cominciò a ritenere – attraverso un’interpretazione analogica – il furto d’uso una particolare specie di furto: v. Cass. Roma, 28.11.1900, Fenudi, in Riv. pen., vol. LIII, 1901, 312 ss.; nel caso in questione il reo aveva abban-donato il cavallo preso a prestito in aperta campagna, senza restituirlo. Conf.

Cass. Roma, 6.5.1918, in Riv. pen., vol. LXXXVIII, 277.

tazione omogenea della legge penale, così come auspicato dal forma-lismo giuspositivistico. Anche nell’esperienza italiana del secolo XIX, si registrò, dunque, un’indubbia discrasia tra il riconoscimento for-male dei principi di legalità e la loro attuazione pratica: come era già accaduto nel periodo illuministico, le aspirazioni teoriche non trova-rono piena concretizzazione nella realtà.

2.5. La rivalutazione del ruolo interpretativo dei giudici nel