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A cosa serve la memoria autobiografica?

Sulla memoria autobiografica

2 A cosa serve la memoria autobiografica?

Dunque, una delle principali funzioni della memoria autobiografica, vista come strettamente connessa alla funzione di costruzione del significato, è conferire una continuità e una coerenza individuale, ossia mantenere l’identità della persona (Neisser, Winograd)174. A tal proposito vi è chi, riflettendo su tale natura dei ricordi, ha affermato che siamo in presenza di una singolare «storiografia teleologica, in carne ed ossa, che siamo noi in rapporto al nostro stesso passato»175.

In questo senso, osserva acutamente Jerome Bruner, uno dei padri della psicologia culturale e degli studi sulle auto-narrazioni176,

«l’autobiografia ha una curiosa caratteristica: è un resoconto fatto da un narratore nel qui e ora e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome e che è esistito nel là e allora, e la storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonde con il narratore»177.

Bruner, che parla della narrazione autobiografica come «realtà coniugata al congiuntivo», sottolineandone dunque la natura soggettiva ben più che oggettiva178, afferma che

«mediante la narrativa costruiamo, ricostruiamo, in un certo senso persino reinventiamo, il nostro ieri e il nostro domani. La memoria e l’immaginazione si fondono in questo processo. Anche quando creiamo i mondi possibili della fiction non abbandoniamo il familiare, ma lo congiuntivizziamo trasformandolo in quel che avrebbe potuto essere e in quel che potrebbe essere. La mente umana, per quanto esercitata sia la sua memoria e raffinati i suoi sistemi di registrazione, non potrà mai recuperare totalmente e fedelmente il passato. Ma nemmeno può sfuggirgli. La memoria e l’immaginazione servono da fornitori e consumatori delle reciproche merci»179.

Le memorie autobiografiche, l’insieme dei ricordi che formano il nucleo dell’identità personale mettendo in relazione passato e futuro, sono così fondamentali che persino la fantascienza se ne è accorta e se ne è servita per le sue trame. A tal proposito

«sull’importanza dei ricordi personali in rapporto alla questione dell’identità, vorrei citare come esempio “estremo”, quello proposto nel 1982 da Ridley Scott in Blade Runner. La struggente ossessione dei “replicanti” – creature artificiali e tecnologicamente perfette – è quella di convincere se stessi e gli altri, gli umani, di essere in possesso di un’identità. Una ossessione che si esprime nell’affermazione di un passato personale e sociale ove situarsi e

      

173

Jonathan Cott, Sul mare della memoria. Una traversata tra scienza, storia, mito e letteratura, Frassinelli, Milano 2007, in exergo, senza numerazione di pagina.

174

Ulrich Neisser, Eugene Winograd (a cura di), La memoria. Nuove prospettive secondo gli approcci ecologici e

tradizionali, op. cit., passim.

175

  Giovanni Contini, Alfredo Martini, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, p. 30.

176

Una esaustiva disamina della vita, del pensiero e delle opere di Jerome Bruner in Marcello Cesa Bianchi, Alessandro Antonietti (a cura di), Bruner: la vita,il percorso intellettuale, i temi, le opere, Franco Angeli, Milano 2000, passim et in Mario Groppo, Valentina Ornaghi, Ilaria Grazzani, Letizia Carrubba, La psicologia culturale di Bruner. Aspetti teorici e

empirici, Raffaello Cortina, Milano 1999, passim.

177  Citato in Stefania Stame, Narrazione e memoria, in Roberta Lorenzetti, Stefania Stame (a cura di), Narrazione e

identità. Aspetti cognitivi e interpersonali, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 7. 

178

Jerome Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari-Roma 1988, passim. 179 

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nel collezionare ricordi che possano garantirne l’esistenza [...], una scarna raccolta di episodi passati e ricorrenze personali, in realtà mai avvenuti, che assume una vera e propria funzione di certificato di identità»180.

Ritornando alla memoria autobiografica

«un altro aspetto da considerare – scrive Giani Gallino – è quello messo in evidenza dai cognitivisti Georgia Nigro e Ulrich Neisser (1983) che hanno distinto i “ricordi di campo”, quelli in cui i soggetti si concentrano sui sentimenti e si vedono come attori e protagonisti, e quelli definiti “ricordi dell’osservatore”, quando, nel descrivere gli eventi, si tiene piuttosto conto della condizione oggettiva, assumendo così il ruolo di un osservatore distaccato»181.

Continuando a usare la differenziazione proposta da Tilde Giani Gallino e dovuta anche agli studi di Paul B. Baltes e Heyne W. Reese, i “ricordi di campo” costituiscono la memoria autobiografica, mentre i “ricordi dell’osservatore” danno vita alla memoria eterobiografica. La prima, essendo correlata ai ricordi che il rimembrante ha di sé, è connessa all’immagine di sé, all’autostima e a molti altri fattori emotivi che potrebbero facilmente alterare il ricordo; la seconda, invece, riguardando soggetti altri, è forse meno alterabile182. È infatti molto diverso ricordare e valutare gli eventi che riguardano noi stessi, con tutta la coorte di emozioni positive o negative che essi possono alimentare anche inconsapevolmente in noi, a livello introspettivo, e, al contrario, ricordare e giudicare episodi di cui i veri protagonisti sono gli altri. Indiretta, acuta conferma la troviamo in Antonella Tarpino che evidenzia che,

«venendo all’etimologia in latino, ci sono due termini, ci insegna Giorgio Agamben, per indicare il testimone. Il primo, terstis, significa colui che si pone come terzo in un processo o in una lite tra due contendenti. Il secondo,

superstes, indica colui che ha vissuto qualcosa, ha attraversato fino alla fine un evento e può dunque renderne

testimonianza»183.

Due punti di vista che, anche se si sovrappongono nella stessa persona, sono molto diversi. Spesso le interviste finalizzate a ricostruire storie di vita mostrano il passaggio dai primi ai secondi, dai ricordi in chiave autobiografica a quelli in chiave eterobiografica. E, d’altra parte, sappiamo bene che ci sono momenti e contesti in cui «è difficile parlare di sé», come ha scritto una volta con il suo proverbiale riserbo Natalia Ginzburg184, e si tende a superare questa difficoltà mettendo gli altri al centro del discorso.

La distinzione tra i ricordi di campo, tendenzialmente più soggettivi, e quelli dell’osservatore, tendenzialmente più oggettivi, ci dice molto circa l’importanza delle modalità con cui narriamo (e/o cerchiamo di fare narrare) storie di vita.

A proposito del cercare di far narrare storie di vita a soggetti terzi è bene richiamare brevemente l’attenzione alle conseguenze che sul ricordo ha la cosiddetta “asserzione implicativa”, particolare formulazione tendente a far supporre all’interlocutore l’accadimento di un fatto che in realtà può non aver avuto luogo. Gli studi in merito dimostrano che le asserzioni implicative sono spesso assunte dall’interlocutore come fatti reali e le domande suggestive e/o suggestionanti

      

180

Citato in Stefania Stame, Narrazione e memoria, op. cit., pp. 5-6. Cfr. Daniel L. Schacter, Alla ricerca della

memoria umana. Il cervello, la mente e il passato, op. cit., pp. 22-26.

181

Nigro e Neisser chiesero a un campione di soggetti di ricordare varie situazioni interrogandoli in proposito. La maggior parte dei ricordi, circa il 60%, fu classificato “di campo” (i soggetti si concentravano di più sui propri sentimenti) ma con una robusta minoranza, circa il 40%, costituita da ricordi “dell’osservatore” (i soggetti si concentravano di più sulle circostanze oggettive). Tilde Giani Gallino, Quando ho imparato ad andare in bicicletta.

Memoria autobiografica e identità del Sé, op. cit., p. 88.

182

  Paul B. Baltes, Heyne W. Reese (1984), “L’arco della vita come prospettiva in psicologia evolutiva”, in Età

evolutiva, 23, 1986, pp. 66-96; Albert Bandura, Autoefficacia. Teoria e applicazione, Erickson, Trento 2000, passim. 

183

Antonella Tarpino, Geografia della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, op. cit., p. 15.

184

Natalia Ginzburg, È difficile parlare di sé. Conversazioni a più voci condotta con Marino Sinibaldi, Einaudi, Torino 1999.

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producono un ricordo deformato e non veritiero. Bisogna dunque prestare grande attenzione al modo in cui vengono formulate le domande185.

Un altro aspetto da considerare quando si raccolgono le memoria di vita è che esiste è un’evidente interdipendenza tra il discorso autobiografico e la memoria collettiva186, ivi inclusi i pregiudizi187, attivi inconsciamente anche in chi consciamente li rifiuta. Ma su questo argomento, sull’interrelazione tra memoria individuale e influenza della società torneremo.

«Riandavano così nella memoria, sorridendo, abbandonandosi al piacere di ricordare: e non era il mesto ricordare senile, ma il poetico ricordare giovanile: quelle impressioni del passato in cui i sogni si fondono con la realtà, e ridevano piano, contenti di chissà che».

Lev Tolstoj188