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Parte III Ciò che si ricorda

7 Repetita juvant (et creant)

Sono numerose le ricerche che confermano che tornare più volte su un ricordo ne consolida la traccia mnestica e dunque, per così dire, la rende più presente e immediatamente disponibile di altre115.

Tra i molti studi compiuti in questo ambito sono ormai classici gli esperimenti in corpore

vili condotti per 14 anni da Marigold Linton116 e, per 6 anni, dallo psicologo olandese Willem

      

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«Benché vi siano persone che sostengano di avere una memoria fotografica, non c’è alcuna prova che esistano individui in grado di registrare istantanee mentali e di rievocarle perfettamente, nella letteratura scientifica non esiste un solo caso». Joshua Foer, L’arte di ricordare tutto, op. cit., p. 39.

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A favore della teoria di Brown e Kulik e contrastando le critiche di Neisser si schierò invece un altro notissimo studioso della memoria autobiografica, Martin Conway. Ulrich Neisser, Memory Observed: Remembering in Natural

Context, Freeman, San Francisco 1982, pp. 43-48. Cfr. Guglielmo Bellelli, Motivazione ed emozione, in Luciano

Mecacci (a cura di), Manuale di psicologia generale. Storia, teorie e metodi. Cervello cognizione e linguaggio.

Motivazione ed emozione, Giunti, Firenze 2001, pp. 290-291. Cfr. Ulrich Neisser, Memory observed, Freeman, San

Francisco 1982; Martin Conway, Recovered memories and false memories, Oxford University Press, Oxford 1997.

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Ulrich Neisser e Nicole Harsch nel 1992 chiesero a una cinquantina di studenti, esaminati due volte a distanza di due anni e mezzo, di ricordare dove si trovassero, cosa stessero facendo quando appresero la notizia dell’esplosione in fase di lancio del Challenger (1986). Cfr. Cfr. Jean Van Rillaer, Psicologia della vita quotidiana. Una riflessione scientifica

non freudiana, op. cit., pp. 228-229.

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 Michel Kruger, La violoncellista, Einaudi, Torino 2002, p. 113.

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Wagenaar117. La Linton in quel lungo lasso di tempo ha appuntato quotidianamente sul diario alcuni eventi, sui quali è tornata di tanto in tanto con la mente. Wagenaar, ricalcando e in parte modificando il modello della Linton, tra il 1978 e il 1984, ogni giorno ha riportato su un diario gli avvenimenti più significativi accadutigli, avvenimenti su cui tornava nel tempo riportandoli alla memoria, constatando, per questo solo fatto, di averli fissati meglio di altri118.

«Non essendo possibile tenere a mente liberamente e volontariamente fatti e oggetti, se si vuole essere sicuri di ricordarli a lungo è necessario occuparsi di loro regolarmente, come si fa con le piante di un giardino, altrimenti questi scompariranno. In mancanza di acqua o di sole, o se soffocate dalla comparsa della malerba, le piante muoiono. Il fatto di far rivivere spesso alcuni ricordi è l’equivalente del sole e dell’acqua per le piante: ogni singola rete di neuroni che viene attivata e riattivata nel momento in cui ci si ricorda di qualche evento viene impregnata dai fattori di crescita che li consoliderà e renderà più forti. Altrimenti altri ricordi si sovrapporranno, invaderanno le reti, parassitandole e occultando i ricordi di cui erano il sostegno originario. L’unico modo per conservare un ricordo è quello di farlo rivivere»119.

Dunque, tornare su un ricordo contribuisce al suo consolidamento mnestico. Tuttavia, al contempo, non va dimenticato che, come dimostrato da Bartlett (1932)120, se la ripetizione codifica meglio e dunque radica ancora più a fondo il ricordo, «il “metodo delle riproduzioni ripetute” mostra come la gente tenda a rendere il ricordo progressivamente più semplice, coerente e plausibile»121, anche a costo di alterarlo almeno in parte ogni volta. In questo si dimostra quanto il ricordare sia un’attività costantemente creativa e l’uomo che ricorda un «elaboratore di informazioni» sempre in azione, per usare la celebre definizione di Peter Lindsay e Donald Norman

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Marigold Linton, “Ways of searching the contents memory?”, in David Rubin (a cura di), Autobiographical memory, Cambridge University Press, New York 1986, pp. 50-67. «Nel 1972 la psicologa americana cominciò ad annotare in modo conciso e utilizzando uno stesso modulo di diario di circa tre righe diversi eventi quotidiani. Giorno per giorno annotava gli eventi uniformandoli per lunghezza attraverso le usuali tre righe per evitare di dare uno spazio diverso ai differenti ricordi e quindi facilitare la registrazione di alcuni anziché di altri. Linton trascriveva almeno due eventi al giorno e, una volta al mese, estraeva a caso le schede relative ai due fatti, le rileggeva, cercava di stabilirne la data e di rievocarli». Cfr. Alberto Oliverio, La vita nascosta nel cervello, Giunti, Firenze 2009, p. 104. «I fatti che non furono sottoposti a richiamo mnemonico rivelarono un oblio considerevolissimo in un periodo di 4 anni (il 65% dei fatti fu dimenticato). Già un singolo controllo era sufficiente a ridurre l’entità dell’oblio, mentre i fatti che erano sottoposti a controllo in altre quattro situazioni rivelavano dopo 4 anni una probabilità di oblio di solo il 12%». Alan Baddeley, La

memoria. Come funziona e come usarla, op. cit., p. 55.

117

Willem Wagenaar, “My memory. A study of autobiographical memory over six years”, in Cognitive Psychology, 1986 (18), pp. 225-252. Cfr. Cfr. Jean Van Rillaer, Psicologia della vita quotidiana. Una riflessione scientifica non

freudiana, op. cit., pp. 216-217.

118

Wagenaar «per sei anni ha preso in esame la propria memoria autobiografica, registrando giornalmente i principali eventi quotidiani (per un totale di 2400 episodi!). Ogni 12 mesi valutava la sua capacità di ricordare con precisione gli eventi descritti rispondendo alle classiche domande: chi? cosa? dove? quando? La domanda sul “quando” risultava la più difficile. Eventi insoliti ed emotivamente coinvolgenti erano stati ricordati meglio. Invece i ricordi spiacevoli tendevano a essere dimenticati più facilmente. Inoltre, alcuni dettagli che sembravano completamente dimenticati potevano essere richiamati con suggerimenti opportuni». Cfr. Adrian Furnham, 50 grandi idee della psicologia, Dedalo, Bari 2010, p. 130; cfr. Alberto Oliverio, Memoria e oblio,Rubettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 35-37.

119 Jean-Yves Tadié, Marc Tadié, Il senso della memoria, op. cit., p. 113.  120

 Frederic Barlett in Remembering (1932), opera ormai classica sintetizza gli esiti del suo esperimento. Dopo aver letto una antica leggenda indiana, in momenti diversi chiese al suo campione di narrarla. Scoprì così che quasi mai gli eventi venivano raccontati con accuratezza e fedeltà all’originale. Talvolta i soggetti ricordavano circostanze generali che avevano un senso ma non erano parte del racconto. Inoltre spesso, chiamati a raccontare la medesima storia in circostanze e momenti diversi, fornivano rievocazioni anche molto diverse tra loro, pur fedeli nella sostanza al racconto originario. Cfr. Frederick Bartlett, La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale, op. cit., passim.

121

Cesare Cornoldi, Metacognizione e apprendimento, il Mulino, Bologna 1995, p. 180; Id., Apprendimento e memoria

nell’uomo, op. cit., pp. 372-373 et 276-278.

122

  Peter Lindsay, Donald Norman, L’uomo elaboratore di informazioni. Introduzione cognitivista alla psicologia, Giunti, Firenze 1984.

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Parte IV