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Nelle metropoli e nella provincia

ovvero «elogio del magnetofono»

9. Nelle metropoli e nella provincia

A lungo le esperienze fin qui lumeggiate restarono isolate. Si ebbero brillanti intellettuali, generosi ed appassionati, rigorosamente estranei ed esterni all’establishment accademico, ma poco o nulla che andasse oltre le singole esperienze personali.

A partire dalla fine degli anni Sessanta, complice il vento di rinnovamento che attraversava l’Italia (il ’68 studentesco, il ’69 operaio), le cose mutarono radicalmente. Idealmente De Martino, Bosio e Montaldi filiarono in molte realtà italiane.

«Si assiste così, in quegli anni, alla riscoperta di Ernesto De Martino e a un fecondo incontro tra antropologia e storia nelle esperienze di Eugenio Cirese, di Annabella Rossi, di Clara Gallini. Sul piano più prettamente storiografico Cesare Bermani, Alessandro Portelli, la rivista Giorni cantati ripropongono lo stretto collegamento, l’inscindibile continuità metodologica e di approccio con le fonti orali, esistente tra l’esperienza demartiniana di ricerca sul campo, il lavoro teorico e di organizzatore di cultura di Gianni Bosio e la militanza politica e letteraria di Raniero Panzieri e di Danilo Montaldi»344.

Nacquero qui e là in Italia, nelle grandi città ma anche nei piccoli centri, gruppi che cominciarono a lavorare intensamente sull’oralità. Questa disponibilità e tale interesse, sino ad allora ampiamente polverizzati sul territorio nazionale, trovarono il loro coagulo e punto di riferimento nell’Istituto “Ernesto De Martino”sorto a Milano (poi trasferito a Sesto Fiorentino)345. Questo nacque con una finalità precisa e per così dire “di nicchia” all’interno del ben più ampio campo della oralità: dare continuità – mediante la conservazione e lo studio scientifico – al rinnovato interesse per il canto sociale popolare che negli anni Sessanta aveva trovato nuova linfa e diffusione grazie alle esperienze del Nuovo Canzoniere Italiano e dei Dischi del Sole346.

L’Istituto “Ernesto De Martino” fin da subito, con grande preveggenza, sottolineò la centralità, tra le altre, di due tematiche in precedenza – e a lungo anche in seguito – sottovalutate. Da un lato, la necessità di attrezzarsi per conservare al meglio il materiale raccolto. Dall’altra la consapevolezza della ontologica «diversità» delle fonti in questione, o, per dirla con una locuzione solo apparentemente tautologica, la riflessione sulla «oralità della cultura orale»347. Vale a dire avere coscienza di doversi confrontare con una fonte che da il meglio di sé proprio se colta e riproposta nella sua dimensione prettamente orale. Una fonte, cioè, che si impoverisce se usata in ogni altro modo, a cominciare dalla trascrizione perché, per dirla con Bosio, «la comunicazione orale resa permanente dal disco è di più della cultura scritta»348.

      

342

Rocco Scotellaro, Contadini del Sud, Laterza, Bari 1954.

343

Giovanni Contini, Alfredo Martini, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, op. cit., pp. 95-96.

344

Ivi, p. 84.

345

Franco Coggiola (a cura di), Istituto “Ernesto De Martino”. Fonti orali per la storia e l’antropologia: testimonianze

e documenti del mondo contadino e operaio, Università degli Studi di Urbino, Urbino 1986; Cesare Bermani, Il Nuovo Canzoniere Italiano. Vent’anni della nostra storia, in “Annali della Fondazione Luigi Micheletti”, n. 4, luglio 1989, pp.

349-408.

346

Cesare Bermani (a cura di), Il Nuovo Canzoniere Italiano dal 1962 al 1968, Istituto De Martino, Milano 1978.

347

Si vada in proposito Alessandro Portelli, Problemi di metodo. Sulla diversità della storia orale, in Cesare Bermani (a cura di), Introduzione alla storia orale. Storia, conservazione delle fonti e problemi di metodo, op. cit., volume II, pp. 149-166.

348

Gianni Bosio, L’Italia nelle canzoni, in Cesare Bermani (a cura di), Bosio oggi. Rilettura di una esperienza, Provincia di Mantova – Biblioteca Archivio – Casa del Mantegna – Istituto Ernesto De Martino, Milano 1986, p. 253.

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Anche in ragione di questa sensibilità l’Istituto “De Martino” divenne il punto di riferimento per la quasi totalità degli operatori culturali che, tra la metà dei Sessanta e la metà dei Settanta, si confrontavano con l’oralità.

Non è possibile rendere conto esaustivamente di esperienze che punteggiarono la Penisola tutta, dalle metropoli ai centri di provincia, talvolta originando realtà destinate a durare nel tempo producendo lavori apprezzabili, talaltra bruciando nell’espace d’un matin e senza lasciare traccia duratura della propria esistenza. E, tuttavia, anche queste ultime indicative di una temperie culturale favore all’oralità.

Pur non potendo squadernare il catalogo completo di queste realtà, per molte delle quali manca qualsivoglia lavoro documentale serio, tuttavia è bene citarne almeno alcune.

Tra coloro che più e meglio seppero valorizzare e proseguire l’esperienza di De Martino e Bosio indubbiamente primeggiò il gruppo di ricercatori che animò il circolo romano “Gianni Bosio”. Sorto nel 1969 (e nel 1971 intitolato alla memoria dell’appena scomparso autore de Il trattore ad Acquanegra), il circolo romano assurse presto al ruolo di primo interlocutore e promotore di studi sulla cultura operaia e contadina della capitale e dei suoi dintorni, lavori che trovarono ospitalità sulla rivista I giorni cantati349. Tale ventennale pubblicazione ha contribuito in modo decisivo alla diffusione in Italia della storia orale come mezzo per comprendere fenomeni e mutamenti altrimenti difficilmente interpretabili attraverso l’attenzione prestata agli elementi formali dei testi orali, l’applicazione dei metodi della critica letteraria, lo studio del contesto in cui si produce la testimonianza.

Il “Gianni Bosio” fu una autentica fucina di talenti che lì mossero precocemente i primi passi su una strada, quella dell’oralità, che avrebbero percorso con sicurezza sempre maggiore sino a divenire protagonisti delle ricerche italiane in materia350.

Basti citare Alessandro Portelli, «principe nel montaggio di testimonianze»351, con i lavori su Terni e le sue acciaierie, la morte di Luigi Trastulli, la “battaglia di Valle Giulia” e, più recentemente, sul movimento studentesco Pantera e sulle Fosse Ardeatine352. O Alfredo Martini con le sue ricerche sui cartai della Valle del Liri e sui contadini delle campagne laziali353 e Lidia Piccioni con i suoi studi sul quartiere romano di San Lorenzo durante il fascismo354.

      

349

L’elaborazione delle ricerche sul campo, prima di confluire in lavori, anche molto importanti, stampati a sé, trovò una prima generosa, per quanto necessariamente parziale, ospitalità sulla pubblicazione periodica I giorni cantati che iniziò a uscire ciclostilata nel 1973 e in rivista dal 1976, proseguì le pubblicazioni per oltre vent’anni, passando attraverso quattro serie molto diverse tra di loro, per esaurirsi infine nel 1994. Una antologia della prima fase ciclostilata è in Circolo Gianni Bosio di Roma (a cura di), I Giorni Cantati. Cultura operaia e contadina a Roma e nel Lazio, Mazzotta, Milano 1978. Un’antologia di articoli e saggi è in Alfredo Martini, Alessandro Portelli, Memoria e resistenza

umana. Vent’anni del Circolo Gianni Bosio, Arti grafiche Garroni, Roma 1991.

350

Tra i promotori e animatori del circolo romano “Gianni Bosio” vi erano Sandro Portelli, Alfredo Martini, Lidia Piccioni, Marco Muller, Susanna Cerboni, Antonello Cuzzaniti. Questo primo nucleo fu rimpolpato e rinvigorito negli Ottanta dall’irrompere sulla scena di una nuova leva di ricercatori (Massimo Canevacci, Filippo La Porta, Cristina Mattiello, Raoul Mordenti, Vincenzo Padiglione, Anna Scannavini, Domenico Starnone, Gaetano Villanella). Alessandro Portelli, Ricerca sul campo, intervento politico, organizzazione di classe: il lavoro del Circolo Gianni Bosio

di Roma, in A.a. V.v., Studi antropologici e rapporti di classe, numero monografico de “Problemi del socialismo”,

Milano 1980.

351

Alfredo Martini, Lavorare con le fonti orali, in Giovanni Contini, Alfredo Martini, Verba manent. L’uso delle fonti

orali per la storia contemporanea, op. cit., p. 151

352

Alessandro Portelli, Biografia di una città. Storia e racconto. Terni 1830-1985, Einaudi, Torino 1985; Id.,

L’uccisione di Luigi Trastulli. Terni 19 marzo 1949. La memoria e l’evento, Provincia di Terni, Terni 1999; Id., The battle of Valle Giulia. Oral history and the art of dialogue, University of Wisconsin press, Madison 1997; Id., L’aeroplano e le stelle. Storia orale di una realtà studentesca prima e dopo la Pantera, Manifestolibri, Roma 1995; Id., L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine e la memoria, Donzelli, Roma 1999.

353

Alfredo Martini, Biografia di una classe operaia. I cartai della Valle del Liri (1824-1954), Bulzoni, Roma 1984; Id.,

I contadini, la terra e il potere. Economia politica e cultura nelle campagne laziali tra Ottocento e Novecento, Bulzoni,

Roma 1985.

354

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Inoltre, soprattutto negli anni Settanta, il circolo “Gianni Bosio” si impose all’attenzione non solo per l’enorme mole di lavoro svolto sul campo che lo portò a essere uno dei più importanti laboratori italiani di storia orale. Infatti, centro culturale a tutto tondo, promosse e gestì spettacoli teatrali e performance in grado di valorizzare l’oralità, giunse persino a creare una scuola di musica popolare.

A fronte di esperienze che, come quella del circolo “Gianni Bosio”, nascevano e si sviluppavano rigogliosamente nelle metropoli, vanno almeno citate, in rappresentanza di quanto generosamente e proficuamente realizzato “ai margini dell’impero”, al Nord il gruppo di Piadena355, al Sud il gruppo di Cerignola356.

Altre decine, molte decine, sarebbero le esperienze da menzionare ma il discorso ci porterebbe lontano.

Ci limitiamo a sottolineare quanto accadde in Piemonte, ambito territoriale ove l’attenzione all’oralità trovò occhi spalancati e orecchie attente. Inizialmente si trattò di singoli o piccoli gruppi (tra gli altri, il gruppo di Omegna357) che ben presto, in ragione delle indiscutibili benemerenze culturali dimostrate, riuscirono a interloquire con gli Istituti storici della Resistenza, che, pur in continuità coll’interesse per la tematica partigiana, ampliavano cronologicamente e tematicamente i confini tradizionali attraverso lavori sulla cultura del lavoro e sulla società contadina. Forse non è un caso che a presiedere allora la rete nazionale degli Istituti storici della Resistenza fosse il piemontese Guido Quazza, preside della facoltà di Magistero dell’ateneo torinese, con Giovanni Levi il primo storico accademico ad avere usato le fonti orali in storiografia, concedendo credito ai ricercatori «scalzi» cui aprì la sua Rivista di storia contemporanea.

Riflettendo sulla sostanziale impermeabilità che in quegli anni l’ambiente accademico (Torino a parte) ostentava di fronte alle intuizioni metodologiche e alla produzione degli oralisti, Portelli che scritto:

«Un fantasma si aggira per i corridoi dell’accademia: la storia orale. La nostra comunità intellettuale, sempre sospettosa […] verso chi le propone di alzarsi per un momento dal tavolino, già si preoccupa di ridimensionarla prima ancora di sapere che cosa è e a cosa serve, e le attribuisce pretese che non ha per potersi tranquillizzare negandole»358.

Per tornare al Piemente, forse non è un caso che tra gli allievi di Quazza vi siano stati molti di coloro che in seguito si sarebbero confrontato approfonditamente e creativamente con le fonti orali. In primis Luisa Passerini che al dibattito metodologico ha dato contributi che ancora oggi sono riferimento ineludibile in materia359. E poi Marco Revelli, Brunello Mantelli, Peppino

      

355

Nel piccolo centro della Bassa lombarda, sotto la guida di Mario e Sergio Lodi e Giuseppe Morandi, nacquero una vivace Biblioteca popolare (1958) e un’attivissima Lega di cultura (1966) che, con il supporto della locale cooperativa di consumo, condussero un’ampia ricerca sulla oralità del territorio confluita, tra la fine degli anni Cinquanta e primi anni Ottanta, in una ventina di numeri della rivista “Quaderni di Piadena”. Questa esperienza gemmò nei territori limitrofi ispirando e facendo sorgere gruppi nel Cremonese e Mantovano, nuclei di ricerca certo meno prolifici e longevi ma di grande importanza culturale per le comunità di riferimento. Cfr. Quaderni della Lega di Cultura di Piadena, La Lega: dieci anni di attività delle leghe di cultura e dei gruppi del cremonese e mantovano, Cremona 1975.

356

Animato da Roberto Cipriani, Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero, il gruppo di Cerignola per una decina d’anni (1973- 1983) condusse approfonditi e innovativi studi sulla storia del bracciantato nel Foggiano. Coinvolgendo attivamente un centinaio di braccianti, protagonisti e testimoni al contempo, il gruppo documentò e ripropose un mondo economico ormai declinante realizzando registrazioni audio prima e audiovisive poi, fotografando, allestendo recital di canzoni, curando drammatizzazioni teatrali. Fu così prodotta un’enorme massa documentale, forse la più significativa del Sud Italia, che, terminata repentinamente l’esperienza, fu dispersa tra le molte biblioteche del territorio.

357

Avendo come orizzonte spaziale il Novarese il gruppo di Omegna (Cesare Bermani, Filippo Colombara, Alberto Lovatto e Gisa Magenes) ha scandagliato l’associazionismo operaio e contadino, il ventennio fascista, storie di vita di militanti e partigiani, l’internamento militare.

358

Alessandro Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, op. cit., p. 6.

359

Tra le benemerenze di Luisa Passerini va ricordato il lavoro volto a promuovere nel nostro Paese la conoscenza e il confronto con le principali esperienze oralistiche straniere (inglesi e francesi in particolare), oltre ad evidenziare l’elemento autorappresentativo del testimone, la forte valenza di questo tipo di fonti, l’importanza di ascoltarle e non soltanto di leggerle, la rilevanza degli aspetti conservativi dei documenti sonori. Cfr. Luisa Passerini, Storia orale. Vita

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Ortoleva. Proprio questi ultimi, unitamente a Liliana Lanzardo, rappresentarono “la gamba piemontese” della rivista lombardo-piemontese Primo maggio che, incentrata sull’inchiesta operaia costruita attraverso le fonti orali, fin da subito brillò per la sua pretesa di contribuire a una storiografia orale dichiaratamente “militante”. Come ebbe a dire uno storico “militante” come loro, Tiziano Merlin, «per molti di noi fare storia era un altro modo di fare politica»360. La dimostrazione empirica di quanto fosse militante la storia orale italiana a cavallo dei Sessanta e Settanta è data dalle stesse tematiche scelte: le complesse trasformazioni sociali e culturali rurali e urbane del Belpaese travolto da una industrializzazione vertiginosa; lo studio dei gruppi sociali marginali e delle ideologie minoritarie; la storia della Resistenza e delle forme del conflitto sociale.