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Un caso letterario di memoria assoluta: Funes, el memorioso

Appendice Le memorie estreme

1 Un caso letterario di memoria assoluta: Funes, el memorioso

Forse non esiste un omaggio letterario al valore (e, contemporaneamente, al peso) della memoria più grande di quello reso negli anni Quaranta dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges con il suo racconto Funes, el memorioso208.

La novella evidenzia plasticamente quale insopportabile disgrazia sarebbe possedere la cosiddetta memoria perfetta o assoluta. Memoria che, come detto, in natura non esiste209. E, per fortuna perché, per dirla con Victor Hugo, tale «insieme di impressioni, ricordi, realtà, fantasmi indefiniti, ridenti o lugubri, che la coscienza potrebbe contenere, riemersi e rievocati, parola per parola, sospiro per sospiro [ci precipiterebbe] in un’unica cupa marea» di ricordi210.

Ma torniamo al racconto di Borges. Ambientato nell’Uruguay degli anni Ottanta dell’Ottocento, il narratore ci presenta il protagonista, Ireneo Funes, un ragazzo che sorprendeva la gente capace com’era di dire l’ora esatta in qualsiasi momento senza guardare l’orologio.

La voce narrante, e con lui il lettore, incontrano Funes allettato, dopo un grave incidente che ne ha fortemente limitato la mobilità.

«Udii d’un tratto la voce alta e burlesca di Ireneo. Questa voce parlava in latino. [...] Risonavano le sillabe romane nel patio di terra; il mio timore le credette indecifrabili, interminabili; poi, nell’enorme dialogo di quella notte, seppi che erano il primo paragrafo del capitolo ventesimoquarto del libro settimo della Naturalis Historia di Plinio».

Non è un caso che Borges citi quella sorta di enciclopedia del I secolo che è la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. In quelle pagine l’autore latino fa forse il primo elenco di personaggi storici, a lui contemporanei, o di poco precedenti, che si volevano dotati di memoria assoluta, proprio come Funes:

«Il re Ciro – annotava Plinio – chiamava per nome tutti i soldati delle sue armate, Scipione tutti gli individui del popolo romano; Cinèa, ambasciatore del re Pirro, tutti i senatori e cavalieri di Roma, il giorno seguente il suo arrivo in città. Mitridate, re di ventidue nazioni, le processava in altrettante lingue, dopo aver condotto l’arringa senza interprete. Il greco Charmadas recitava, come stesse leggendoli, i libri che gli venivano indicati all’interno di una biblioteca»211.

Funes, lascia intendere Borges, era come loro. Anzi, ancora più di loro dotato mnemonicamente.

«Noi, in un’occhiata, percepiamo tre bicchieri su una tavola. Funés tutti i tralci, i grappoli e gli acini di una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata di un libro che aveva visto una volta sola, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia. Due o tre volte aveva ricostruito una giornata intera; non aveva mai esitato ma ogni ricostruzione aveva richiesto un’intera giornata.

Mi disse: “Ho più ricordi io da solo di quanti non ne avranno avuti tutti gli uomini messi insieme, da che mondo è mondo”. Anche disse: “I miei sonni sono come la vostra veglia”. E anche disse: “Signore, la mia memoria è come un deposito di rifiuti”. Un cerchio su una lavagna, un triangolo rettangolo, un rombo, sono forme che noi possiamo intuire

      

208

 Per la verità anche la letteratura ottocentesca ci ha lasciato un personaggio dalla proverbiale prodigiosa memoria, il balzachiano Louis Lambert. Cfr. Honoré de Balzac, Louis Lambert, Lucarini, Roma 1984.

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«Da un punto di vista biologico l’ipotesi che la memoria fissi ogni esperienza non è probabile. I ricordi vengono immagazzinati in un tessuto cerebrale che subisce ogni sorta di mutamento organico: crescita, metabolismo, danneggiamento, decadimento, morte. Il fatto che alcune tracce di esperienze restino inalterate per tutta la vita è ormai accertato, ma che tutte la tracce sopravvivano è molto dubbio». Douwe Draaisma, Perché la vita accelera con l’età.

Come la memoria disegna il nostro passato, op. cit., p. 266.

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 Citato in Jean-Yves Tadié, Marc Tadié, Il senso della memoria, op. cit., p. 151. 

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pienamente; allo stesso modo Ireneo vedeva i crini rabbuffati di un puledro, una mandria innumerevole in una sierra, i tanti volti di un morto durante una lunga veglia funebre. Non so quante stelle vedeva nel cielo. […]

Locke nel XVII secolo propose (e rifiutò) un idioma impossibile in cui ogni singola cosa, ogni pietra, ogni uccello, ogni ramo avesse un nome proprio. Funes aveva pensato, una volta, a un idioma di questo genere, ma l’aveva scartato parendogli troppo generico, troppo ambiguo. Egli ricordava, infatti, non solo ogni foglia di ogni albero di ogni montagna ma anche ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata. […]

Dice Swift che l’imperatore Lilliput discerneva il movimento delle lancette di un orologio; Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spettatore di un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso»212.

Mano a mano che procede la conversazione agli occhi del narratore e dei lettori l’immagine di Funes cambia: lo stupore e la quasi invidia iniziali per una memoria così prodigiosa, cedono presto il posto alla pena. El memorioso, proprio in ragione della sua memoria, si mostra ben presto per quello che, suo malgrado, è: un infelice. La sua memoria assoluta lungi dall’essere una benedizione si rivela una maledizione.

Funes giace il più a lungo possibile nella sua stanza, tenendosi lontano dalla finestra oltre la quale il suo sguardo spazierebbe libero nutrendo ulteriormente la spossante bulimia mnemonica del suo cervello. L’unico momento di quiete arriva al calare delle tenebre quando, al buio, per addormentarsi deve immaginare case nere, sconosciute e per questo senza alcuno di quei dettagli che altrimenti lo imprigionerebbero. Solo concentrandosi su quelle tenebre omogenee il sonno giunge a concedergli una tregua.

A proposito della «memoria perfetta» o quasi va detto che questa non solo non sarebbe auspicabile ma, in ogni caso, nulla avrebbe a che spartire con l’intelligenza. A lungo nel sentire popolare memoria perfetta e acuta intelligenza sono state considerate locuzioni equivalenti. La scienza ha invece dimostrato che spesso le forme più sviluppate e impressionanti di capacità mnemoniche sono presenti in individui caratterizzati da pesanti deficit intellettivi.

In questo ambito forse il caso più noto è quello del newyorkese Martin A., il «melomane enciclopedico» studiato da Oliver Sacks213. Tale soggetto, pur senza sapere leggere la musica, ricordava tutti i particolari di circa duemila opere liriche nelle infinite variazioni legate alle innumerevoli rappresentazioni allestite. E tutto ciò dopo aver assistito o ascoltato l’opera o un oratorio una sola volta. La cosa impressionante è che questa prodigiosa capacità mnemonica conviveva in Martin A. con un gravissimo ritardo mentale di cui egli soffriva a causa della meningite contratta in età infantile.

In tali casi siamo in presenza di ciò che la letteratura clinica ottocentesca definiva savant214, «una condizione estremamente rara in cui le persone che soffrono di gravi handicap mentali […] presentano spettacolari “isole” di talento o intelligenza che spiccano per il loro contrasto paradossale con la gravità dell’handicap»215.

      

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Jorge Luis Borges, Funes, o della memoria, in Id., Tutte le opere, Mondadori, Milano 1984, volume I, pp. 707-715.

213

Olkiver Sacks, Il melomane enciclopedico, in Id., L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano 1986, pp. 111-112.

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Darold A. Treffert, il più acuto studioso novecentesco dei cosiddetti savant mnemonici, li ha divisi in tre categorie. Il primo gruppo è formato da savant dotati di «abilità frammentarie» che hanno memorizzato un determinato insieme di dati poco significativi. Il secondo gruppo, definito «savant di talento», è composto da persone che possiedono competenze in un settore più ampio (il disegno, la musica), e le cui abilità sono degne di nota solo perché in netto contrasto con la loro invalidità. Infine, la terza categoria, quella dei «savant prodigio», comprende persone dotate di capacità che sarebbero considerate spettacolari con qualunque metro di giudizio, anche se non fossero associate ad alcun handicap. Cfr. Darold A. Treffert, Isole della mente, Pan, Milano 1990, passim.

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