Il Granaio «glocale» nell’era di Internet
7 Virtualità, limiti e potenzialità
La nascita e l’imporsi dell’era del personal computer prima e di Internet poi ha rivoluzionato la vita dell’umanità, almeno di quella porzione di umanità che un tempo si usava definire primo mondo, e di una parte rilevante di quello che era chiamato secondo mondo (realtà le cui differenze tendono sempre più ad assottigliarsi).
I mutamenti resi possibili dalla tecnologia hanno migliorato le nostre vite. Su questo non vi è ombra di dubbio.
Tuttavia un interrogativo comincia a farsi strada: davvero la rivoluzione informatica ha solo segno positivo? E, cosa più cogente ai nostri fini, davvero la rivoluzione informatica ha apportato solo benefici alla memoria comunque intesa?
Non pare avere dubbi in proposito Clive Thompson che, riponendo illimitata fiducia nella memoria artificiale data da pc, memorie esterne e Internet, afferma che «scaricando i dati nel silicio liberiamo la nostra materia grigia per compiti più propriamente “umani” come il brainstorming o il sognare a occhi aperti»549.
Altri studiosi, invece, pur riconoscendo le straordinarie potenzialità insite nel mezzo, non esitano a evidenziarne alcuni limiti, propri del mezzo o da questo generati.
546
Luisa Passerini, Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria, op. cit., p. 55.
547
Sulla querelle relativa al «naso di Cleopatra», affrontato dallo storico J. B. Bury, si veda Edward H. Carr, Sei lezioni
sulla storia, op. cit., pp. 107-113. A tal proposito si chiede causticamente Robert Aron: «Bisogna essere contrari alla
tradizione pascaliana e dire che “se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la faccia del mondo sarebbe stata cambiata”? Oppure, inversamente, affermare che se la cartilagine nasale della regina d’Egitto fosse stata un promontorio alla Cirano o una specie di depressione cosmica al centro del suo viso, la battaglia di Anzio avrebbe avuto non di meno lo stesso svolgimento?». Robert Aron, Prefazione, in René Grousset, Bilancio della storia, Jaca Book, Milano 1978, p. 13.
548
Nuto Revelli, I conti con il nemico. Scritti di Nuto e su Nuto Revelli, Aragno, Torino 2011, pp. 118-119.
549
Citato in Nicholas G. Carr, Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Raffaello Cortina, Milano 2011, p. 216.
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Tra questi ultimi i neuro scienziati, gli psicologi e sociologi dell’apprendimento evidenziano l’affermarsi di una generazione plasmata dai nuovi mezzi di comunicazione. È la cosiddetta «Mtv generation», la generazione che si è formata negli anni Novanta e Duemila nutrendosi quotidianamente del noto canale televisivo a vocazione giovanilista, costitutivamente ispirato alla velocità e ai tagli550. Velocità e tagli che improntano di sé anche il mondo virtuale e che hanno non secondarie conseguenze sulle modalità stesse dell’apprendimento con la crescente difficoltà a sviluppare il ragionamento sequenziale, elemento quest’ultimo che ricerche ancora pionieristiche cominciano a evidenziare. Si ha l’impressione di essere di fronte a una nuova fase nell’evoluzione del genere umano.
«Tra il 1985 – anno della diffusione di massa del pc a interfaccia grafica e dei sistemi operativi a finestra – e il 1996 – l’inizio della rivoluzione di Internet – si è affermata rapidamente una “versione 2.0” dell’Homo sapiens: si tratta dei “nativi digitali”. I nativi sono molti diversi da noi “figli di Gutenberg”. Sono nati in una “società multi schermo” e interagiscono con molti di questi sistemi fin dalla più tenera età»551.
Oltre ai problemi per così dire cognitivi, si presenta un sempre più serio problema di trasmissione di sapere e saperi tra le generazioni precedenti e quella che si va affermando, tra i «figli di Gutenberg» e i «nativi digitali»552.
«Questo nuovo stile cognitivo e di apprendimento pone a noi figli del libro un problema cruciale: come stabilire un linguaggio comune con loro, come superare il digital divide intergenerazionale? Non si tratta di un problema piccolo: la cultura alfabeta sta cedendo il posto a quella digitale e non è facile traghettare al digitale la memoria analogica della cultura dell’Homo sapiens 1.0 per renderla disponibile anche ai nativi che appartengono alla specie dell’Homo digitalis o dell’Homo sapiens 2.0»553.
Come se non bastasse, Tomas Maldonado, uno dei più acuti studiosi dei complessi legami tra rivoluzione informatica e processi cognitivi, ha affermato che la nostra contemporaneità è caratterizzata da «opulenza informativa»554 evidenziando che possedere molte, troppe informazioni è come non possederne affatto555.
«Gli studiosi dei fenomeni della percezione hanno dimostrato empiricamente che la nostra attenzione e la nostra curiosità sono fortemente selettive. Attenzione e curiosità si acutizzano o si indeboliscono a seconda della novità, dell’intensità e della frequenza dello stimolo. […] La ridondanza, oltre una determinata soglia critica, porta alla noia percettiva, che si esprime come apatia, come rigetto e persino come disgusto di fronte a messaggi troppo ripetitivi. Lo stesso accade anche quando i messaggi sono troppi e scarsamente differenziati. In queste situazioni […] i messaggi non vengono più recepiti come figure contrapposte a un fondo. Tutto diventa fondo, rumore di fondo. […] Una cosa, piaccia o meno, dobbiamo dare per definitivamente acquisita: gli umani […] sopportano male l’impatto con la sovrabbondanza
550
È interessante osservare che la velocizzazione del discorso verbale ha riguardato anche i più paludati palinsesti della Rai tanto che vi è chi ha evidenziato che oggi nei telegiornali si giunge a pronunciare 6,5 sillabe al secondo, una enormità ove si pensi che il limite massimo concepibile per la voce umana è di 8 sillabe al secondo. Cfr. Stefano Pivato,
Vuoti di memoria. Uso e abuso della storia nella vita pubblica, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 197.
551
Paolo Ferri, Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011, p. 1.
552
«I “nativi” sono diversi da noi perché a scuola, a casa, con gli amici sono sempre accompagnati dalle loro protesi comunicative ed espressive digitali che contribuiscono a delineare il perimetro del loro sé e del loro agire. Per questo i “nativi” si espongono su Facebook, sui blog o su Youtube, vivono nello e sullo schermo, allo stesso modo in cui abitano il mondo reale. Questo rende il loro modo di vedere e costruire il mondo molto differente dal nostro». Paolo Ferri,
Nativi digitali, op. cit., p. 2.
553
Ivi, p. 4.
554
Tomas Maldonado, Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano 1997, p. 88.
555
Tomas Moldonado scorge nella opulenza informativa una cifra intimamente antidemocratica. «È oggi in atto un mutamento radicale nelle modalità di attuazione del disegno coercitivo del potere. Nel passato, anche quello più recente, tale disegno faceva ricorso all’indigenza informativa, ora invece è l’opulenza informativa che viene privilegiata. […] Di fronte alla prodigiosa quantità di informazioni che lo raggiungono, non tutte affidabili e verificabili, il cittadino è destinato a reagire, prima o poi, con crescente disinteresse, e persino con insofferenza nei confronti dell’informazione. Perché, in fin dei conti, nelle pieghe più nascoste dell’opulenza informativa si cela l’indigenza informativa». Tomas Maldonado, Critica della ragione informatica, op. cit., pp. 90-91.
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d’informazione. Siamo troppo svagati e volubili, soprattutto troppo insofferenti nei confronti dei messaggi che non ci appaiono in alcun modo legati alla sfera dei nostri quotidiani interessi, pulsioni e speranze»556.
Inoltre, «il nuovo e più agguerrito nemico del sapere che è, senza ombra di dubbio, l’eccesso di informazione» ha una non secondaria conseguenza:
«la quantità eccesiva e sempre crescente di dati e di informazioni divora in germe il tempo della riflessione, del meditare, della pacata fioritura del pensiero. Il nostro è il tempo dell’eccesso. Eccesso di merci, di notizie, di velocità, di spostamenti. Tutto gronda un intollerabile di più, sovrabbonda, straborda»557.
Il che ha indotto un acuto studioso come Stefano Vitali a definire coloro che usano Internet per informarsi «surfisti del web», cioè utenti interessati a restare sulla superficie di un oceano informatico e informativo sterminato e poco propensi (o incapaci) di approfondire558.
Volendo essere più clementi verso i «surfisti del web» si potrebbe ipotizzare che la loro superficialità sia frutto non di scelta ma di necessità, cioè imposta dal soffocante e soverchiante «eccesso di informazione, questa nuova e sottile forma di violenza, di manipolazione della personalità, di distruzione della memoria»559. A tal proposito ha acutamente sottolineato Giovanni De Luna che
«ad Arnaldo Momigliano bastò una sola iscrizione (quella di Behistun-Bisutun – posta dal re Dario su una roccia alta 300 piedi sulla strada) per desumere il modo di pensare dei persiani riguardo alla storia […]. Oggi gli storici hanno esattamente il problema opposto, quello cioè della sovrabbondanza del materiale documentario»560.
Questo problema, quello della soffocante sovrabbondanza, riguarda a maggior ragione coloro che, privi di opportuni strumenti culturali, più di altri rischiano di affogare nel nostro presente informatico irrimediabilmente polifonico. Anzi, non più solo polifonico ma apertamente cacofonico, cioè caratterizzato dall’emissione di suoni indistinti, tratto qualificante di quella che Ralph Ellison ha definito «ricca babele dell’espressione idiomatica»561.
A ciò si aggiunga che è ormai percezione diffusa che un uso smodato dei social network, vera spina dorsale di quel simulacro di universo abitato noto come Internet, anziché produrre maggiore socializzazione raggiunga il fine opposto generando ancora più solitudine. È «la solitudine degli interconnessi» di cui parla Charles Seife562. Insomma, molti vantano migliaia di amici su Facebook e, contestualmente, non ne hanno uno in carne e ossa con cui condividere un caffè. A molti pare che la rivoluzione dei social network ben lungi dall’aver dilatato i rapporti e le relazioni le abbia in realtà ridotte. I social network diventano addirittura un alibi e una rassicurazione: «Come posso essere solo se ho migliaia di amici raggiungibili mediante un click?»563. In proposito Zygmunt Bauman, con la consueta lucidità, ha scritto parole definitive:
«all’Uomo senza qualità di Musil si è sostituito l’Uomo senza legami. Le “qualità” sono oggi maggiormente accessibili, di facile appropriazione e possono essere messe in bella vista con disinvoltura […;] i legami, invece, diventano sempre più fragili e volatili, difficili da alimentare per periodi prolungati, bisognosi di una vigilanza continua,
556
Ivi, pp. 88-89.
557
Piero Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili, op. cit., p. 38. La critica forse più radicale mossa all’universo dei moderni mezzi di comunicazione di massa, con particolare attenzione all’eccesso di informazione, è in Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano 1997.
558
Stefano Vitali, Navigare nel passato: la ricerca archivistica in Internet, “Contemporanea”, 2001, 2.
559
Piero Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili, op. cit., p. 38.
560
Giovanni De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, op. cit., p. 122.
561
Citato in Alessandro Portelli, Il testo e la voce. Oralità, letteratura e democrazia in America, op. cit., p. 111.
562
Charles Seife, Le menzogne del Web. Internet e il lato sbagliato dell’informazione, Bollati Boringhieri, Torino 2015, p. 66.
563
Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Apogeo, Milano 1997; José Antonio Jàuregui, Cervello ed emozioni. Come, dove e perché nascono sensazioni e sentimenti, Pratiche, Milano 2001.
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inaffidabili. I networks prendono il posto delle “strutture” (di amicizia, affinità, comunità); la fedeltà/devozione viene sostituita dalle “connessioni” […], il veloce deterioramento di qualunque conoscenza, competenza, merito accumulato nel tempo […] rende il ghiaccio su cui tutti noi pattiniamo sempre più sottile e pericoloso, come mai in passato»564.
Lo sgretolarsi (o l’evolversi in forme fino a ieri inimmaginabili) dei rapporti sociali, di cui i social network sono spia, conseguenza e concausa al contempo, contribuisce all’inaridirsi della oralità. È noto infatti che l’oralità si nutre di socialità. In fondo non è un caso che nell’immaginario collettivo il termine oralità sia legato a tempi, luoghi e momenti istituzionalmente votati alla socialità. Basti pensare alle veglie contadine d’un tempo nelle stalle o alla socialità diffusa delle osterie. Mentre le veglie (e le stalle) sono scomparse, le osterie sopravvivono ancora ma senza più assolvere a quella funzione565. I luoghi intessuti di socialità creativa erano così numerosi che lo scrittore statunitense Ralph Ellison, riflettendo sulla oralità che ha punteggiato la sua infanzia, può scrivere che
«i luoghi in cui una ricca letteratura orale funzionava davvero erano le chiese, i cortili delle scuole, le botteghe di barbiere, i campi di cotone; luoghi dove si alimentavano il folklore e il pettegolezzo. La farmacia dove lavoravo era un posto del genere, dove quando faceva cattivo tempo gli uomini anziani si venivano a sedere e fumare la pipa, e raccontavano storie fantastiche, aneddoti di caccia, versioni casalinghe di classici. Fu qui che sentii storie di tesori nascosti e di cavalieri senza testa, che erano poi le versioni raccontate da mio padre molto tempo prima»566.
Ma, al netto delle pur fondate critiche, la rivoluzione imposta da Internet presenta anche tali e tanti aspetti positivi, così presenti nella nostra vita quotidiana, che non vi è bisogno di alcuna ulteriore dimostrazione. Tuttavia, forse, sono meno immediate le potenzialità che la Rete può offrire alla oralità, potenzialità che il Granaio della Memoria tenta di sfruttare appieno, come già parzialmente anticipato. Vediamo allora di comprenderle meglio.