Sulla memoria autobiografica
1 La memoria autobiografica
L’interesse dell’uomo per i meccanismi della memoria è antico quanto l’uomo stesso e affonda le sue radici in un’epoca così lontana che non è possibile fissarla neppure con approssimazione.
Come detto in precedenza, sino ad epoche a noi prossime, la riflessione e l’indagine sulla memoria sono state prevalentemente, se non esclusivamente, affidate alla speculazione filosofica.
Solo nella seconda metà dell’Ottocento, a partire dai citati studi sperimentali di Galton ed Ebbinghaus, la memoria è divenuta oggetto di ricerca scientifica, soprattutto da parte degli psicologi cognitivisti che per un secolo l’hanno indagata in condizione di quasi monopolio. Monopolio rotto, a partire dagli anni Sessanta, dalle allora incipienti e ora impetuose neuroscienze155. Ma fino agli anni Ottanta
«psicologi cognitivisti e neuro scienziati – studiosi della mente e studiosi del cervello – rappresentavano tribù separate. I cognitivisti non ritenevano rilevante riferirsi all’evidenza empirica delle neuroscienze per spiegare la mente, mentre i neuro scienziati, nel tentativo di comprendere come funziona il cervello, non facevano alcuno sforzo per capire come funziona la mente. Per fortuna negli ultimi anni le cose sono cambiate e oggi lo studio dell’organizzazione cognitiva della mente umana è strettamente collegato allo studio dell’organizzazione neuronale dei sistemi nervosi che sono alla base delle diverse funzioni. Il risultato è stato lo sviluppo di un’area di ricerca che unifica le conoscenze proveniente dai due ambiti: la neuroscienza cognitiva»156.
Nel contesto dei grandi rivolgimenti dovuti all’imporsi della neuroscienza cognitiva157 emerse con sempre maggiore evidenza il ruolo insostituibile svolto da colui che Alessandro Treves con immagine potente e suggestiva definì «sua emittenza il neurone»158, cosa che, sia detto en
passant, da un lato ridimensionò radicate visioni olistiche della memoria159 e dall’altro indusse i
filosofi a nuove riflessioni su significato, potenzialità e limiti della memoria160.
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Duccio Demetrio, antesignano degli studi in Italia sulle valenze educative e formative del ricordo autobiografico, citato in Tiziana De Caro, Costruire il Sé attraverso i ricordi… la memoria autobiografica, in Marisa Marsala (a cura di), La memoria nei contesti di vita, Franco Angeli, Milano 2005, p. 44.
155 Per una sintesi del contributo fornito dalle neuroscienze alla conoscenza dei meccanismi mnemonici cfr. Bianca
Gallo, Neuroscienze e apprendimento, Ellissi, Napoli 2003, passim.
156
Maria Antonietta Brandimonte, Psicologia della memoria, op. cit., pp. 91-92.
157
Per una sintesi del contributo apportato dalla neuroscienza cognitiva cfr. William Bechtel, Adele Abrahamsen, George Graham, Menti, cervelli e calcolatori. Storia della scienza cognitiva, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 124-147; Daniel J. Sieger, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza personale, Raffaello Cortina, Milano 2001,
passim; Valentin Braitenberg, I tessuti intelligenti, Bollati Boringhieri, Torino 1980, passim; Id., Il cervello e le idee,
Garzanti, Milano 1989, passim; Luciano Mecacci, Identikit del cervello, Laterza, Roma 1984, passim.
158
Alessandro Treves, Come funziona la memoria, Bruno Mondadori, Milano 1998, p. 37.
159 A partire dal Settecento il mondo scientifico si è chiesto: le memorie sono codificate in modo estremamente
specifico in ben determinate aree del cervello o, al contrario, i ricordi hanno origine da un complesso procedimento di ricostruzione delle esperienze depositate non in siti specifici ma nella globalità dei circuiti nervosi? A questo interrogativo hanno tentato di rispondere generazioni di studiosi divisi in due schieramenti opposti: da un lato i riduzionisti, sostenitori di una rigida localizzazione delle funzioni cerebrali e quindi della memoria; dall’altro gli olisti, sostenitori della cosiddetta “equipotenzialità” del cervello, cioè della compartecipazione di gran parte (o di tutti) i suoi territori corticali e sottocorticali alle funzioni dell’apprendimento e della memoria. La disputa tra i fautori di una localizzazione delle funzioni cognitive e i fautori della concezione opposta perdura ancora ai nostri giorni anche se l’indubbia centralità oggi riconosciuta alle funzioni mnestiche assicurate dai neuroni ha determinato una perdita di terreno da parte dei fautori della visione olistica. Tra i classici del riduzionismo cfr. Cfr. Wilder Penfield, Il mistero del
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Fondamentale in quella temperie di innovazioni metodologiche fu un’altra grande novità: la fuoriuscita dal laboratorio, unico luogo ove fino ad allora si erano condotte analisi e sperimentazioni sulla memoria.
Certo, il laboratorio assicura osservazioni in ambiente artificiale e dunque consente di avanzare elaborazioni scientifiche più lineari. Ma la memoria si nutre di vita e si può comprendere e misurare pienamente solo alla luce delle multiformi relazioni che con questa istituisce, molte delle quali non sperimentabili in laboratorio. Eppure, nonostante l’evidente buon senso di questa posizione, fu necessario affrontare una battaglia campale, tanto che uno dei suoi promotori, Ulrich Neisser161, ebbe a dire polemicamente «se x è un aspetto della memoria interessante o significativo dal punto di vista sociale, allora difficilmente gli psicologi studieranno x!»162. Laddove, invece, chiosa Tomas Maldonado, «il soggetto della ricerca, per dirla con una metafora, non dovrebbe essere la memoria in cattività ma la memoria allo stato brado della vita quotidiana»163.
Alla fine, tuttavia, la novità metodologica si impose e gli studi sulla memoria poterono acquisire nuovo slancio vitale mano a mano che, a partire dagli anni Settanta, si diffuse e consolidò quello che allora si chiamava approccio «ecologico».
«Il merito di essersi opposto per primo alla rigida regolamentazione degli studi di laboratorio, che non consideravano la complessità della memoria e la sua funzione nella vita delle persone, è oggi unanimemente attribuito a Ulrich Neisser (1978) […]. In ogni caso si è dovuto aspettare fino agli anni Ottanta prima che si pubblicassero saggi come quello di Cohen in cui si citava “la memoria quotidiana”, e libri, come quello a cura di Rubin, intitolato Memoria
autobiografica, in cui ricercatori discutevano su questa tematica e si ponevano domande su di essa, a cominciare dal
chiedersi che cosa fosse la memoria autobiografica»164.
È questo il contesto in cui ricercatori come Loftus, Neisser, Baddeley, Rubin, Conway, Wagenaar focalizzarono la loro attenzione su ciò che Neisser definì everyday memory, cioè il funzionamento della memoria in circostanze naturali165.
«La proposta di Neisser suscitò un grande entusiasmo: furono molti i ricercatori che attraverso l’utilizzo di diari, questionari e osservazioni dirette, condussero ricerche naturalistiche su tutti quegli aspetti di memoria attivati dagli individui in contesti non artificiali, affrontandone lo studio, singolarmente, in base ai loro interessi personali. A questo periodo risalgono le prime ricerche sulla testimonianza oculare (Loftus e Palmer, 1974), sul ricordo dell’apprendimento scolastico (Bahrick, 1984), sulla memoria autobiografica (Rubin, 1986), sui ricordi di eventi, luoghi e persone (Gruneberg, Morris e Sykes, 1988), sui flash di memoria (Conway, 1995) e sulla tradizione orale (Rubin, 1995)»166.
processi cognitivi, Rizzoli, Milano 1989, passim. Per una visione d’insieme cfr. Alberto Oliverio, Ricordi individuali, memorie collettive, op. cit., pp. 47-56.
160 Tra le opere che fanno il punto sui risultati cui è pervenuta la riflessione filosofica circa la mente e il rapporto mente-
memoria alla luce delle scoperte delle neuroscienze cfr. Eddy Carli (a cura di), Cervelli che parlano, Bruno Mondadori, Milano 1997, passim; Douglas R. Hofstadter, Daniel C. Dennet (a cura di), L’Io della mente, Adelphi, Milano 1995,
passim; Richard L. Gregory, La mente nella scienza, Mondadori, Milano 1985, passim.
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La summa dell’approccio metodologico adottato e promosso da Neisser è condensato in Ulrich Neisser, Psicologia
cognitivista, Martello-Giunti, Milano 1976, passim; Id., Conoscenza e realtà. Un esame critico del cognitivismo, il
Mulino, Bologna 1981, passim; Id. (a cura di), La percezione del sé: le fonti ecologiche e interpersonali della
conoscenza di sé, Bollati Boringhieri, Torino 1999, passim.
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Frase pronunciata nel 1978 a Cardiff nella relazione che tenne alla prima conferenza sugli aspetti pratici della memoria. Cfr. Marisa Marsala, Introduzione, in Marisa Marsala (a cura di), La memoria nei contesti di vita, op. cit., p. 15 e, più in generale, sulle conseguente di tali innovativi approcci, pp. 13-26; cfr. Juan Carlos Lopez, Il telaio della
memoria. Come il cervello tesse la trama dei ricordi, Dedalo, Bari 2004, p. 139.
163
Tomas Maldonado, Memoria e conoscenza. Sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Feltrinelli, Milano 2005, p. 57.
164
Tilde Giani Gallino, Quando ho imparato ad andare in bicicletta. Memoria autobiografica e identità del Sé, op. cit., pp. 65-67.
165
Per l’illustrazione degli aspetti che hanno caratterizzato l’approccio «ecologico» alla memoria cfr. Ulrich Neisser, Eugene Winograd (a cura di), La memoria. Nuove prospettive secondo gli approcci ecologici e tradizionali, Cedam, Padova 1994, passim.
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Anche in questo caso decisivo si è rivelato il contributo di Endel Tulving che, in un suo saggio del 1972, ipotizza la presenza di sistemi di memoria che elaborano differenti tipi di informazione, la memoria episodica e la memoria semantica, cui in seguito aggiunse un terzo tipo di memoria, quella procedurale. Vediamoli brevemente167.
La memoria procedurale riguarda le abilità apprese e le abitudini acquisite, il complesso delle nostre conoscenze conquistate a suo tempo. Diversamente dalle altre memorie, quella procedurale è definita conoscenza «tacita» o «implicita» perché non richiede attenzione conscia per essere richiamata. L’esempio classico di memoria procedurale è l’andare in bicicletta, cosa che, una volta appresa, possiamo fare senza doverci pensare su168.
La memoria semantica invece comprende le informazioni generali sul mondo, le conoscenze concettuali e tutto il sapere acquisito nel corso della vita (dall’Inno alla gioia di Beethoven alle sottrazioni passando per il numero del telefono di casa).
Eccoci infine (e soprattutto) alla memoria episodica che è frutto dell’esperienza soggettiva del «ricordante»169, per usare la terminologia di Tulving, e permette di tornare in qualsiasi momento su determinati episodi della propria vita che la rendono unica, diversa da ogni altra. La memoria episodica tende dunque, per sua natura, a essere autobiografica e riguarda l’immagazzinamento e il recupero di avvenimenti ed episodi personali, temporalmente databili e localizzabili nello spazio.
È dunque la memoria episodica, che d’ora in poi definirò autobiografica, a fare di noi quello che siamo.
Focalizzando ulteriormente l’attenzione su questo tipo di memoria, due pionieri presto assurti ad autorità in materia, Martin Conway e David Rubin, postulano tre tipi di conoscenza autobiografica organizzati gerarchicamente. Il livello più alto comprende i periodi di vita (lunghi segmenti misurati in anni o decadi), il livello intermedio assorbe gli eventi generici (episodi ampi ed eterogenei misurati in giorni, settimane o mesi), infine, il livello più basso è riservato alla conoscenza specifica di singoli eventi (misurati in secondi, minuti od ore). Questi tre tipi di conoscenza, a detta di Conway e Rubin, sono di solito presenti contemporaneamente e si alternano quando il ricordante narra la propria storia di vita170. Dunque, sintetizza Daniel L. Schacter,
«ciò che viviamo come conoscenza autobiografica nasce dalla conoscenza dei periodi di vita, degli eventi generici e degli episodi specifici. Quando riuniamo tutte queste informazioni cominciano a raccontare la nostra vita»171.
Il che ha una immediata traduzione pratica, evidenziata con la facilità narrativa che le è propria, dalla scrittrice Isabel Allende:
«Nelle lunghe ore di silenzio mi si affollano i ricordi, tutto mi è accaduto nello stesso istante, come se la mia vita intera fosse un’unica insondabile immagine. La bambina e la ragazza che fui, la donna che sono, la vecchia che sarò, tutte le tappe sono acqua dello stesso impetuoso torrente. La mia memoria è come un murales messicano in cui tutto accade simultaneamente»172.
167
Ho sunteggiato i tre tipi di memoria attingendo a Tilde Giani Gallino, Quando ho imparato ad andare in bicicletta.
Memoria autobiografica e identità del Sé, op. cit., pp. 75-79 et 83-88.
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Sugli studi dedicati alla memoria procedurale a partire del saper andare in bicicletta cfr. Michael Polanyi, La
conoscenza personale, Rusconi, Milano 1990, passim.
169
Tulving osserva che «il particolare stato di coscienza che denota l’esperienza del ricordo comprende la convinzione da parte del ricordante che il ricordo sia più o meno la copia fedele dell’evento originale, anche se solo frammentaria e nebulosa, come pure la convinzione che l’evento sia parte del proprio passato. Ricordare è per lui un viaggio mentale nel tempo, come rivivere qualcosa che è accaduto in passato». Cfr. Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria
umana. Il cervello, la mente e il passato, op. cit., p. 5.
170 Cfr. Antonietta Curci, Tiziana Lanciano, Testimonianza, memorie ed emozioni, in Guglielmo Gulotta, Antonietta
Curci (a cura di), Mente, società e diritto, op. cit., pp. 142-145.
171
Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria umana. Il cervello, la mente e il passato, op. cit., p. 89.
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47 «Il dio scandinavo Odino aveva due corvi: Pensiero e Memoria. Tutte le mattine all’alba li inviava in giro per il mondo a raccogliere notizie e informazioni. Al calar della sera i due uccelli tornavano ad appollaiarsi sulle spalle del padrone e passavano la notte raccontandogli quanto avevano visto e sentito. Ma un giorno Odino si chiese: e se uno dei due corvi non tornasse più? A quale avrebbe potuto rinunciare? E solo allora capì che avrebbe potuto vivere senza Pensiero ma non senza Memoria». Leggenda scandinava173