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Il costo del credito commerciale.

Nel documento La gestione del credito commerciale (pagine 86-94)

PARTE SECONDA: PROFILI GESTIONAL

5. I rischi e i costi del credito.

5.2 Il costo del credito commerciale.

La concessione di credito mercantile rappresenta un'attività onerosa per l'azienda venditrice, sotto molteplici punti di vista.

Numerosi sono infatti i costi che vengono sopportati con riferimento alle dilazioni di pagamento accordate alla clientela.

Tuttavia, spesso si tratta di costi che vengono sostenuti inconsapevolmente. Cioè, alla concessione di credito non è connesso direttamente alcun tipo di onere.

Risulta pertanto difficile, non solo quantificare, ma addirittura individuare tali componenti.

A ben vedere, essi possono essere raggruppati sostanzialmente in due categorie:

indiretti ed indotti107.

I costi “indiretti” del credito commerciale.

Senza dubbio è più immediata la comprensione dell'onerosità di una dilazione commerciale dal punto di vista dell'azienda debitrice.

In questo caso il costo del credito (ricevuto) è inglobato all'interno del prezzo di acquisto ed è rappresentato da un interesse implicito. Quest'ultimo tende a corrispondere all'entità dello sconto per pronto cassa, ovviamente proporzionato in funzione dell'ampiezza temporale della dilazione108.

Anche dal punto di vista del concedente, il credito mercantile presenta degli oneri. Si tratta, essenzialmente, di operare una valutazione del costo-opportunità connesso alla concessione della dilazione stessa.

Per spiegare tale assunto in termini elementari, occorre riflettere sul fatto che, per bilanciare questi impieghi, si rendono necessarie fonti di uguale importo.

107Un'altra interessante classificazione dei costi del credito è quella proposta da Dallocchio, il quale distingue fra costi fisiologici e costi patologici. MAURIZIO DALLOCCHIO, La gestione del credito commerciale e il

credit manager, Egea, Milano, 1989, pag.120.

108Supponiamo che la compravendita preveda il pagamento di 100 euro a 60 giorni e uno sconto per il pagamento in contanti pari al 3 %. Ciò significa che la dilazione di due mesi comporta il pagamento di una maggior somma a titolo di interessi (impliciti) pari a 3,09 [(3 %) / (100 - 3)] euro. Il tasso effettivo bimestrale corrisponde pertanto al 3,09 %. Considerando che un anno è composto da sei periodi di due mesi, calcolando il tasso annuale composto, [(1 + 0,03)12 – 1], si ottiene un saggio pari al 19,4 %. Se lo sconto del 3 % fosse

In altre parole, per poter concedere delle dilazioni, l'azienda venditrice è costretta a ricorrere a finanziamenti ulteriori, evitabili qualora la compravendita fosse regolata per contanti.

Secondo questa chiave di lettura il costo della dilazione concessa tende a coincidere con quello che tali fonti di finanziamento aggiuntive comportano.

Il relativo onere è funzione di tre variabili: il tempo di dilazione, il capitale investito nell'operazione ed il tasso di interesse applicato.

La crescita anche di una sola di esse comporta pertanto una dilazione del relativo costo.

Queste variabili non sempre sono però determinabili con semplicità e precisione. Per quanto concerne il tempo esso corrisponde all'intervallo che intercorre fra la consegna del bene o la prestazione del servizio e l'effettivo incasso del credito.

Tale intervallo viene determinato dal venditore, quindi è, in qualche misura, noto e governabile.

Tuttavia, il debitore può ritardare il pagamento: il relativo allungamento dei tempi comporta pertanto un incremento del costo del credito a carico del venditore109.

Per quanto riguarda il capitale investito in credito alla clientela, sembrerebbe corretto identificarlo con l'ammontare del credito concesso maggiorato dell'IVA.

A ben guardare, però, tale ragionamento è coerente solo in linea di prima approssimazione.

Infatti, se si procede alla scomposizione di tale aggregato nelle sue due componenti fondamentali, ci si accorge che l'ammontare del credito concesso è riferibile non a due, ma ad almeno quattro differenti grandezza: i costi variabili, la quota di costi fissi110

109In ogni caso, è bene ricordare che il ritardo nel pagamento implica l'addebito “automatico” all'acquirente degli interessi di mora.

110In generale nell'ambito di una definita area di rilevanza, si distinguono: 1) costi costanti o fissi; 2) costi variabili; 3) costi misti. Si definiscono costi costanti quelli che non variano al variare del volume di attività, costi variabili quelli che variano rispetto a tale volume. Un esempio di costo costante è costituito dal fitto annuale di un capannone industriale, considerato nell'arco di un anno, rispetto al volume di produzione; si tratta di un costo costante in quanto non varia al variare del numero di unità prodotte. La forma matematica di una funzione di costo costante (indicando con “C” la funzione di costo) è: C = K (con K costante). Un esempio di costo variabile proporzionale è dato dal costo della materia prima rispetto al numero di unità prodotte; in generale, rispetto ad un prodotto, il contenuto di materia prima, ed il suo costo, raddoppiano se il volume di produzione raddoppia, triplicano se il volume triplica e così via, mantenendosi costante il rapporto costo variabile totale/volume prodotto. La formula matematica della funzione di costo variabile proporzionale è: C = v x Q, dove v = coefficiente angolare o costo variabile unitario e Q = quantità prodotta.

non specificamente imputabile al prodotto e che, pertanto, l'azienda avrebbe comunque

sostenuto, il margine atteso111 sulla transazione e l'IVA.

Quindi, a stretto rigore, il capitale prestato dovrebbe coincidere solo con i costi variabili e l'IVA, che sono riferibili a somme effettivamente spese a fronte della specifica fornitura.

Infine, per quanto riguarda il tasso di interesse, la questione è ancora più complessa. Si rileva anzitutto un notevole campo di variabilità, dovuto alla presenza di numerose tipologie di finanziamenti a cui si può attingere e a cui corrispondono diversi “costi” - che possono essere impliciti o espliciti - per il relativo utilizzo.

Ciascuna fonte conduce al sostenimento di un determinato onere.

Si va infatti dal costo nullo connesso agli apporti dell'imprenditore o dei soci, spesso anche a titolo di capitale di credito112, al costo implicito connesso alle dilazioni

ricevute, al costo contrattuale, aumentato degli eventuali oneri accessori, relativamente ai prestiti attinti sul mercato.

Per il fondamentale principio della correlazione fonti-impieghi, le passività che meglio si prestano a fornire risorse finanziarie allo scopo di permettere la concessione di

I costi misti comprendono i costi semi-variabili e i costi a scalini. I costi semi-variabili sono composti da una quota fissa ed una quota variabile (esempio: costi telefonici, ove esiste un costo di canone fisso ed una quota variabile costituita dalla tariffazione a scatti). La formula matematica della funzione di costo semi-variabile è C = K + v x Q, dove K = componente fissa del costo, v = coefficiente angolare o valore unitario della componente variabile, Q = quantità prodotta. I costi a scalini o a scatti si hanno quando vi sono incrementi nei costi all'interno dell'area di rilevanza a intervalli di variazione del driver. Un esempio può essere costituito dallo stipendio di un supervisore fissato per contratto per un massimo di 20 dipendenti da controllare; dal ventunesimo dipendente e fino a 40 dipendenti è necessario un secondo supervisore, dal quarantunesimo scatta l'esigenza di un terzo supervisore e così via; in questo caso il cost driver è costituito dal numero dei dipendenti da controllare. PAOLA MIOLO VITALI, Corso di economia aziendale, volume 2, Giappichelli Editore, Torino, 2000, pag. 106-107.

111Si definisce margine di contribuzione unitario la differenza tra il prezzo di vendita unitario ed il costo variabile unitario che sono rispettivamente il ricavo ed il costo associati ad una variazione unitaria del volume di output. MdCU = PdVU – CVU. La somma dei margini di contribuzione unitari relativi ad un periodo dà il margine di contribuzione di periodo. Quando il margine di contribuzione del periodo è uguale al totale dei costi fissi del periodo si raggiunge il punto di pareggio. Quando il margine di contribuzione è maggiore dei costi fissi si genera l'utile. Il concetto di margine di contribuzione può essere utilizzato per una riclassificazione del conto economico utile a valutare l'effetto sul reddito di variazioni del volume di vendita o del fatturato. Tale riclassificazione si ottiene deducendo dai ricavi i costi variabili. Ricavi - Costi Variabili = margine di contribuzione lordo di primo livello; Ricavi - Costi variabili - Costi fissi = margine di contribuzione di secondo livello, detto anche margine di contribuzione netto o semi-lordo.

112Il capitale proprio viene remunerato solo in via eventuale in caso di presenza di utili. Peraltro, l'imprenditore o i soci possono rinunciare a tale remunerazione per favorire il processo di autofinanziamento aziendale. Oltre a ciò, spesso si riscontra, sopratutto nelle combinazioni produttive di modeste dimensioni, la presenza di prestiti operati dai medesimi senza interessi oppure con interessi notevolmente inferiori rispetto a quelli di mercato.

dilazioni sono rappresentate dagli scoperti di conto corrente113 o da altri fonti “a

breve”.

In questo senso, il tasso di interesse da prendere in considerazione dovrebbe corrispondere a quello applicato a tale tipo di indebitamento.

Si tratta, però, di una semplificazione.

Peraltro, è opportuno segnalare che qualora l'interesse implicito applicato sulle dilazioni, quindi il relativo rendimento, fosse superiore al costo del debito finanziario, la concessione di credito commerciale potrebbe costituire per l'azienda addirittura un'attività conveniente.

Ma non è questa l'unica variabile da prendere in considerazione.

Esiste, infatti, anche un altro costo indiretto o implicito delle dilazioni concesse, legato alla perdita di opportunità, in senso economico, connesse ad impieghi alternativi. Infatti, vincolando risorse nelle dilazioni commerciali il venditore si preclude la possibilità di operare altri investimenti.

Si tratta, quindi, di effettuare un confronto ponderato tra il rendimento delle dilazioni concesse ai clienti e di tali investimenti alternativi.

A questo proposito pare opportuno riflettere su alcune fondamentali circostanze. Anzitutto, per essere omogeneo, il confronto dovrebbe essere effettuato fra impieghi caratterizzati dal medesimo tasso di rischio.

Proseguendo nell'analisi, occorrerebbe suddividere i crediti in fruttiferi ed infruttiferi, a seconda che maturino, o meno, interessi.

I primi dovrebbero poi essere ulteriormente distinti in crediti il cui tasso contrattuale è

113Lo scoperto del conto corrente, chiamato anche fido, è una sorta di finanziamento che la banca fa al proprio correntista, sia persona fisica che giuridica. È uno strumento ampiamente utilizzato in Italia per coprire un'assenza momentanea di liquidità. Grazie al fido, il correntista può continuare ad operare anche in assenza di liquidità sul conto, attraverso bonifici, prelievi, emissione di segni. Un fido può essere concesso a tempo determinato o indeterminato. Nel primo caso, viene fissata una data ben precisa per il rimborso, mentre nel secondo caso non vi è alcun limite. L'apertura del credito si distingue in: apertura di credito semplice, quando la cifra messa a disposizione del cliente può essere usata solo una volta, anche se con diversi prelievi nel tempo; apertura di credito in conto corrente, quando il cliente ha totale libertà di movimenti. Naturalmente, come ogni tipo di finanziamento, anche nello scoperto di conto corrente rientrano alcuni interessi passivi. Ma questi sono spesso molto elevati, motivo per cui ricorrere allo scoperto di conto potrebbe essere una pericolosa trappola. Lo scoperto di conto corrente può essere utile in assenza transitoria di liquidità, quando ad esempio abbiamo ritardi nell'incassare pagamenti o tante scadenze accumulate. Ma considerato il suo costo elevato, non conviene stare con il cosiddetto “conto in rosso”, perché nel tempo questo potrebbe risultare disastroso sia per un soggetto privato che per un'azienda.

“in linea” con quello corrente di mercato e crediti il cui tasso contrattuale non risulta “in linea”, in quanto maggiore o minore a quello di mercato.

In definitiva, le partite creditorie possono essere raggruppate, secondo un ordine di rendimento crescente, nel seguente modo:

crediti infruttiferi;

crediti con fruttuosità inferiore a quella di mercato;

crediti con fruttuosità in linea con quella di mercato;

crediti con fruttuosità superiore a quella di mercato. Ne deriva che si possono manifestare situazioni differenziate.

La situazione “neutra” è rappresentata dai crediti con onerosità in linea con quella di mercato.

Si ha quindi una sostanziale “indifferenza economica” delle due opposte serie di interessi, che, in buona sostanza, si annullano.

Negli altri tre casi ci si discosta, più o meno marcatamente, dalla richiamata situazione di equilibrio.

Più in particolare, i crediti ad onerosità nulla impongono all'azienda di attendere la loro scadenza per poterli incassare, e nel frattempo non generano alcun profitto.

Si ha, pertanto, una “perdita di interessi” in capo al venditore da calcolarsi in funzione del tasso di mercato applicato agli investimenti alternativi e del periodo di dilazione (media) concessa.

Il caso intermedio fra i due precedenti è rappresentato da crediti che inglobano interessi impliciti corrispondenti ad un tasso inferiore rispetto a quello di mercato. Anche in questa circostanza si originerà una “perdita di interessi”, benché minore della precedente, calcolabile applicando la differenza negativa fra il tasso implicito e quello di mercato alla quantità ed al tempo delle dilazioni concesse.

Per completezza, occorre esporre anche il caso in cui la concessione del credito risulti favorevole, dal punto di vista economico, all'azienda venditrice.

Ciò si manifesta quando il tasso di interesse implicito delle dilazioni risulta superiore a quello di mercato.

In tal caso si manifesta, infatti, un “profitto di interessi”, generato dalla differenza positiva fra i due tassi richiamati.

Ciò posto, occorre riflettere su un'ulteriore ed importante circostanza.

Sull'economicità della gestione la concessione del credito commerciale, oltre che gli

effetti diretti, comporta anche una serie di effetti indiretti.

Infatti, anche qualora si riscontrasse una perfetta e sincronica variazione dei debiti destinati a “finanziare” la concessione di credito commerciale ed i relativi tassi fossero esattamente “in linea”, si dovrebbe ancora riflettere sull'effetto indotto dalla conseguente modifica della struttura finanziaria aziendale.

Per spiegare tale fenomeno si ricorre ad una semplificazione elementare. Ipotizziamo che un'azienda presenti una situazione finanziaria “ottimale”.

Ciò comporta che il costo medio complessivo del capitale attinto al prestito sia al livello minimo.

Date le richiamate circostanze, ne deriva che la scelta dell'azienda di concedere una dilazione di pagamento ad un cliente comporta un'alterazione di tale equilibrio, quindi l'inevitabile incremento dell'onerosità dei finanziamenti.

E tale pregiudizio sarà tanto maggiore, quanto più la situazione finanziaria risulterà deteriorata in seguito alla concessione della dilazione.

Tale situazione è ideale ma indicativa, in quanto, ci permette di appalesare la presenza di un costo invisibile, che una combinazione produttiva deve sostenere per alimentare la concessione del credito mercantile.

I costi “indotti” dal credito commerciale.

Accanto ai costi indiretti connessi al credito mercantile, all'interno dell'unità aziendale concedente si possono riscontrare anche una serie di costi “indotti” ad esso inerenti. Si tratta, essenzialmente, dei maggiori costi di carattere amministrativo che la combinazione produttiva deve sostenere per garantire la cura, il coordinamento ed il controllo delle dilazioni concesse114.

114Per questo motivo, molte aziende preferiscono affidare all'esterno – ad apposite società di factoring – la gestione dei crediti commerciali, tra l'altro al fine di sostituire tale costi “indotti” con oneri espliciti connessi al servizio ricevuto.

L'importo dei costi di amministrazione risente, in linea di prima approssimazione, dell'influsso delle seguenti variabili: il numero dei clienti da amministrare, la tipologia, la quantità delle transazioni che intervengono mediamente con ogni cliente, la frequenza dei casi di insolvenza e di contenziosi.

Tuttavia, all'atto pratico sovente si riscontra una sostanziale indipendenza di tali costi rispetto all'importo unitario dei crediti, nonché rispetto al numero dei clienti affidati. Quindi, ai fini della loro determinazione incide più che altro il volume e la qualità dei

crediti concessi.

Molto spesso, infatti, questi oneri assumono una configurazione “a scatti”115.

Ciò in quanto il superamento di determinati volumi di dilazioni comporta lo “scatto” di costo, quindi un incremento dell'onerosità connessa alla loro gestione.

Nell'ipotesi più favorevole l'incremento del volume dei crediti concessi potrebbe rendere necessario l'allestimento di un ufficio specifico o supplementare rispetto a quelli già dedicati, quindi dotarlo di attrezzature adeguate e di personale qualificato. Invero, anche qualora si possano evitare investimenti di tipo strutturale, potrebbe comunque richiedersi l'assunzione di ulteriore personale che si occupi specificamente di tale problematica, oppure che affianchi coloro che già operano in tal senso.

Pertanto, sotto questo profilo, all'azienda non converrebbe concedere dilazioni oltre un determinato limite, pena il sostenimento di ulteriori costi.

A quelli appena richiamati si devono sommare i costi necessari per effettuare le opportune indagini sull'affidabilità della clientela, nonché gli oneri da sostenere in caso si debbano esperire procedure di recupero relative a crediti di difficile riscossione. Inoltre, non bisogna trascurare le perdite connesse alla manifestazione di determinati rischi sui crediti concessi, quali le perdite per interessi non percepiti e le perdite per

insolvenza totale o parziale.

Con particolare riferimento a quest'ultima fattispecie, si ricorda che l'azienda può

115Per “costi fissi” si intendono quei costi che non variano al variare della produzione. Per costi “a scatti” o “a salti” si intendono invece “quei costi che hanno la proprietà di essere, entro determinati limiti, indipendenti dal grado di attività e di subire , al di là di essi, uno scatto fino a raggiungere un nuovo limite superiore al quale rimangono fissi per un certo intervallo di tempo”. EGIDIO GIANNESSI, Il “kreislauf” tra costi e

prezzi come elemento determinante delle condizioni di equilibrio del sistema d'azienda, Giuffrè, Milano,

garantirsi contro tali eventualità stipulando apposite polizze assicurative – che comportano il sostenimento di un costo – oppure mediante forme di auto-

assicurazione.

Essa può essere di tipo generico, ovvero attuata mediante l'accantonamento di utili netti a riserva, oppure di tipo specifico, qualora si effettuino accantonamenti a specifici fondi rischi.

In quest'ultimo caso si genera un altro tipo di onere – non monetario – connesso alla

svalutazione che sui crediti viene operata sistematicamente al termine di ogni esercizio

amministrativo per tenere conto della presunta inesigibilità a loro carico116.

Infine, la concessione di dilazioni di pagamento implica un incremento delle scorte di magazzino, quindi dei relativi oneri di gestione.

Invero, la concessione di credito, di norma, favorisce l'incremento delle vendite, il quale, a sua volta conduce ad un accrescimento del volume delle scorte, sia in termini di materie prime che di prodotti finiti per consentire di soddisfare la maggiore domanda indotta dalle dilazioni di pagamento.

116In verità, tale accantonamento rappresenta un'aspettativa di perdita, destinata a trasformarsi in una perdita effettiva al momento della manifestazione dell'insolvenza.

Nel documento La gestione del credito commerciale (pagine 86-94)