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I crediti commerciali in valuta estera.

Nel documento La gestione del credito commerciale (pagine 186-193)

PARTE TERZA: PROFILI DI BILANCIO.

8. La valutazione del credito commerciale.

8.3 I crediti commerciali in valuta estera.

I crediti commerciali devono essere iscritti in bilancio al presunto valore di realizzo, il che significa considerare il loro valore nominale e rettificarlo per le ragioni ampiamente descritte in precedenza.

Tuttavia, se il relativo credito è espresso in moneta non di conto, si presenta un ulteriore elemento che incide su tale valore presunto di realizzazione, che deve essere preso in debita considerazione.

Prima di approfondire l'argomento è però necessario effettuare una puntualizzazione. I crediti espressi in valuta estera comportano, per il redattore del bilancio, tre ordini di problemi, fra loro intimamente connessi:

la scelta del tasso di cambio da utilizzare all'atto della rilevazione dell'operazione di vendita;

la scelta del tasso di cambio da utilizzare all'atto della valutazione dei relativi crediti ai fini della redazione del bilancio di esercizio;

il trattamento delle eventuali differenze risultanti fra i valori contabilizzati durante l'esercizio e quelli derivanti dalla valutazione di fine periodo.

La prima questione è senz'altro di più agevole soluzione.

Di norma, alle vendite all'estero si applicano i valori della moneta di conto al tasso di

cambio registrato sui mercati alla data in cui esse hanno avuto luogo214.

In questo senso, risolutiva è la disposizione introdotta con il D.Lgs. n. 6/2003, in virtù del quale, l'art. 2425 bis, secondo comma215, dal 1 gennaio 2004, contiene proprio la

disposizione che prevede che i ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta debbano essere determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è stata compiuta.

Anche la questione inerente la scelta del tasso di cambio da utilizzare per la

214Un'eccezione a questo criterio, generalmente accettato, si può avere nel caso in cui l'azienda, a fronte di un'operazione in valuta, ponga in essere dei contratti di copertura del rischio di cambio. In questo caso, le poste espresse in valuta estera, specialmente se di breve termine, possono essere convertite in moneta di conto direttamente al cambio risultante dal contratto di copertura del rischio.

215Nel dettaglio, l'art. 2425 bis, secondo comma, così recita: “I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta”.

valutazione dei crediti a fine periodo parrebbe, in linea teorica, di agevole soluzione:

occorre infatti procedere alla conversione in moneta di conto delle partite interessate applicando un certo rapporto di cambio.

Tuttavia, tale conversione comporta numerosi problemi di carattere operativo e normativo.

Anzitutto, da un punto di vista tecnico, la scelta del cambio più opportuno non è affatto semplice.

Invero, il cambio del giorno coincidente con la data di chiusura del bilancio, a prima vista ineccepibile, potrebbe risultare meno significativo di un cambio medio, il cui utilizzo permetterebbe di eliminare o smorzare eventuali fluttuazioni erratiche presenti in un dato di tipo puntuale.

Ma in questo caso si aggiungerebbe una serie di variabili soggettive, prima fra tutte il periodo di tempo da assumere per il calcolo di tale media, quindi un notevole fattore di aleatorietà.

E potrebbero risultare significative anche altre configurazioni, quali un cambio a termine più prossimo alla maturazione del credito, oppure il cambio all'epoca in cui tale credito nacque, salvo definire poi le differenze al momento dell'effettiva riscossione, oppure, ancora, una stima che ponga a fondamento le previste variazioni future del cambio.

A ciò va aggiunta la necessità di dover considerare anche le eventuali differenze risultanti fra i valori contabilizzati durante l'esercizio e quelli di fine periodo, le quali, salvo il caso rarissimo che non vi siano state variazioni del tasso di cambio, si riflettono sul reddito dell'esercizio.

Dal canto suo, per queste due specifiche problematiche, il dettato normativo non aiuta a risolvere il problema.

Infatti, il vigente codice civile fa pochissimi riferimenti espliciti sull'argomento, mentre il testo unico introduce una serie di comportamenti, ovviamente dettati dallo scopo di garantire la certezza del reddito, ma proprio per questo motivo non sempre in grado di fornire la soluzione migliore dal punto di vista economico-aziendale.

poste in valuta nell'art. 2426 inerente i criteri di valutazione.

L'unica indicazione esplicita è presente all'interno dell'art. 2427 - disciplinante, al contempo, la nota integrativa - il quale, al primo comma, n° 1, richiede, peraltro molto laconicamente, di indicare in tale documento “i criteri applicati nella conversione dei valori non espressi all'origine in moneta avente corso legale nello Stato”.

La chiave di lettura della norma civilistica non può che essere la seguente: il legislatore ha preferito non fissare al riguardo specifici criteri di comportamento, rimandando ancora una volta alla prassi ed ai principi contabili il compito di colmare le relative lacune, con l'unico vincolo di dover spiegare quanto operato nella nota integrativa.

Dal 1 gennaio 2004, in virtù del D.Lgs. n.6/2003 tali lacune sono state colmate anche nel codice, in quanto nell'articolo 2426 è stata introdotta una specifica disciplina. Il nuovo punto 8-bis216 dispone infatti che gli utili e perdite su cambi devono essere

imputati al conto economico dell'esercizio, mentre l'eventuale utile netto presunto deve essere accantonato in un'apposita riserva non distribuibile fino al realizzo.

Ciò appare, peraltro, in sintonia con quanto stabilito dai principi contabili nazionali in materia.

Si deve quindi passare ad interpretare le dinamiche connesse ai crediti commerciali in valuta estera alla luce dei principi contabili nazionali.

Per i crediti in valuta si fa riferimento al documento n° 26 del giugno 1999, predisposto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri, intitolato: “Operazioni e partite in moneta estera”217.

Esso fornisce chiarimenti in merito alle seguenti questioni:

la rilevazione dei crediti in moneta estera nel momento in cui sorgono;

la rilevazione degli utili e delle perdite su cambi al momento dell'incasso;

216Nel dettaglio, l'art. 2426, punto 8 bis, così recita: “ le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni, rilevate al costo in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell'esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole”.

217CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI, Principio Contabile n° 26. Operazioni e partite in moneta estera, Giuffré, Milano, 1999.

il valore da attribuire ai crediti in valuta alla data di chiusura dell'esercizio. In primo luogo bisogna occuparsi della determinazione del valore dei crediti commerciali in moneta estera nel momento in cui sorgono.

Al riguardo, il principio contabile n° 26 conferma l'impostazione di carattere economico-aziendale.

Pertanto, tali crediti devono essere valorizzati in moneta di conto al cambio in vigore alla data dell'operazione.

Per quanto riguarda invece il valore da attribuire ai crediti commerciali in valuta alla

data di chiusura dell'esercizio, la questione crea maggiori difficoltà interpretative.

Anzitutto, si segnala che il principio contabile nazionale prevede un diverso trattamento in relazione alla scadenza dei crediti in valuta, in funzione del breve e del medio-lungo termine.

Per quanto concerne i crediti commerciali in moneta estera a breve scadenza, ovvero con scadenza entro i dodici mesi, essi devono essere esposti in bilancio al cambio in

vigore alla data del documento medesimo.

Tale scelta viene giustificata dal fatto che, pur comportando una variazione definitiva in senso assoluto, “il cambio ufficiale alla data di chiusura dell'esercizio, confrontato con il cambio, provvisorio, applicato al momento di effettuazione dell'operazione, evidenzia una differenza che esprime con certezza ed obbiettività la variazione intervenuta alla suindicata data di chiusura”218.

Questo, almeno, in via generale. Invero, viene rilevata la possibilità che il mercato possa generare, in determinate circostanze, differenze di cambio altamente erratiche. In questo caso, il tasso di cambio alla chiusura dell'esercizio può differire, in maniera

chiara ed in misura rilevante, con l'andamento relativo al periodo compreso fra la

chiusura dell'esercizio medesimo e la data di formazione del bilancio.

Se, in particolare, ciò conduce a rilevare tassi di cambio persistentemente sfavorevoli, per il fondamentale principio della prudenza, occorre tenere conto di tale andamento negativo ed introdurre un minor valore di realizzazione dei crediti rispetto a quello

218CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI, Principio Contabile n° 26. Operazioni e partite in moneta estera, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 13.

determinabile sulla base del cambio di fine esercizio219.

Anche per quanto riguarda i crediti commerciali in moneta estera a media-lunga

scadenza, ovvero con scadenza oltre i dodici mesi220, vale anzitutto la regola generale

dell'esposizione nel documento di sintesi al cambio in vigore alla data del medesimo. Tuttavia, vengono successivamente rilevate due possibili eccezioni.

La prima riguarda il trattamento contabile degli utili di conversione. La seconda il

trattamento contabile degli utili e delle perdite di conversione.

Qualora dalla conversione di crediti a medio-lungo termine scaturiscano

esclusivamente utili, tali crediti devono essere comunque esposti al cambio in vigore

alla data del bilancio, ma gli utili vanno differiti e riconosciuti nell'esercizio in cui diventeranno correnti.

La motivazione di tale scelta è da ricercare nel fatto che tali crediti continueranno, per un periodo non breve, ad essere soggetti alle fluttuazioni dei cambi e, pertanto, il principio della prudenza deve prevalere su quello della competenza221.

Se, invece, dalla conversione di crediti a media-lunga scadenza al cambio in vigore alla data del bilancio dovessero scaturire sia utili che perdite, essi dovrebbero essere

considerati congiuntamente.

In altri termini, se gli utili eccedono le perdite, l'utile netto deve essere differito, mentre se le perdite superano gli utili, in ottemperanza al principio di prudenza, la perdita netta deve essere addebitata al conto economico222.

219Deve sottolinearsi che tale deroga al principio generale non deve essere applicata qualora la variazione sfavorevole del mercato nel periodo successivo alla chiusura dell'esercizio dipenda da eventi economici o politici di natura eccezionale ed è comunque non collegabile all'esercizio precedente, nel qual caso, infatti, la variazione del cambio non deve essere tenuta in considerazione nelle valutazioni di fine esercizio. Qualora si manifestasse tale eventualità il principio contabile suggerisce comunque di darne notizia nella “relazione sulla gestione”, fra i “fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio” (art. 2428, punto 5, c.c). 220Da cui vengono escluse le “quote correnti”, in quanto inserite fra i “crediti a breve scadenza” ai fini della

presenta valutazione.

221Il principio contabile n° 26 suggerisce di operare tale “differimento” degli utili di conversione mediante il loro accantonamento in una specifica voce denominata “fondo utili differiti su cambi”, da esporre nella voce B.3 del passivo dello stato patrimoniale, in quanto esprimente il rischio, insito negli utili, i quali sono destinati a realizzarsi in via definitiva dopo un periodo di tempo non breve e comunque eccedente i dodici mesi dalla chiusura dell'esercizio. Per quanto riguarda invece gli utili sulle quote correnti dei crediti a medio- lungo termine, essi non devono essere differiti, ma imputati al conto economico dell'esercizio quali proventi finanziari. CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI, Principio Contabile n° 26. Operazioni e partite in moneta estera, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 15-16.

222Anche in questo caso, il “differimento” degli utili di conversione deve essere operato tramite il loro accantonamento in un “fondo utili differiti su cambi”, da esporre nella voce B.3 del passivo dello stato

Infine, occorre operare qualche riflessione alla luce delle disposizioni tributarie, le quali inducono a considerazioni ancora diverse.

Esse sono contenute nell'art. 72 TUIR intitolato “accantonamento per rischi di

cambio”.

Tuttavia, deve essere considerato anche l'art. 76, recante le “norme generali sulle

valutazioni”, il quale prevede, in termini generali, che la valutazione dei crediti in

moneta estera avvenga in base al cambio del giorno in cui esso è sorto, oppure, in via subordinata, al cambio del giorno antecedente più prossimo, oppure - in mancanza dei precedenti - secondo il cambio del mese.

In deroga a quanto sopra affermato, per gli incassi che avvengono prima del giorno in cui il componente di reddito può considerarsi conseguito, per esempio a causa della corresponsione di un anticipo, ci si dovrà riferire al giorno in cui è avvenuto tale incasso.

Fondamentale, comunque, è il disposto dell'articolo 72 TUIR, ai fini del calcolo di un accantonamento considerato fiscalmente detraibile ai fini delle imposte sui redditi. In questo senso, il testo unico richiede di esplicitare la posizione estera netta, ovvero il saldo netto dei crediti/debiti espressi in valuta del giorno di contabilizzazione ed il saldo netto dell'ultimo mese dell'esercizio.

Quindi, viene considerata fiscalmente rilevante sia la differenza negativa che positiva fra i due saldi indicati, ovvero la diminuzione del saldo attivo o l'aumento del saldo passivo. Questa è la regola fiscale, in assenza di un fondo oscillazione cambi.

Qualora sia invece presente tale partita contabile, la deduzione delle perdite presunte sui cambi viene bilanciata, in caso di inversione di tendenza, dal recupero del fondo precedentemente accantonato a tassazione, nella misura in cui esso è divenuto superiore al nuovo risultato del confronto.

In altri termini, nel primo esercizio di formazione, il fondo è inizialmente costituito dal

patrimoniale, mentre le perdite andranno imputate al conto economico nella voce C.17. Il principio contabile esamina succintamente anche il caso di trattamento degli utili da conversione conseguiti dopo perdite da conversione e delle perdite da conversione conseguite in presenza di utili da conversione differiti. CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E CONSIGLIO NAZIONALE DEI RAGIONIERI, Principio Contabile n° 26. Operazioni e partite in moneta estera, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 17-18.

saldo tra le differenze negative di conversione e quelle positive, nel caso in cui l'importo delle prime sia superiore alle seconde.

Negli esercizi successivi, se il saldo delle suddette differenze dalla data del bilancio risulta superiore all'ammontare già accantonato e non utilizzato, la relativa eccedenza costituisce un ulteriore accantonamento ad incremento di tale fondo.

Se, al contrario, il saldo di tali differenze è inferiore all'ammontare già accantonato e non utilizzato, la parte del fondo eccedente rappresenta un componente reddituale positivo, da riprendere a tassazione secondo la logica delle sopravvenienze attive.

Nel documento La gestione del credito commerciale (pagine 186-193)